Della moneta/Libro V/Capo II

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Capo II - De' debiti dello stato e della loro utilità

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Capo II - De' debiti dello stato e della loro utilità
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CAPO SECONDO

de’ debiti dello stato e della loro utilitá


Origine de’ debiti pubblici — Loro vera natura — Utilitá de’ debiti pubblici — Danni delle rendite sui debiti pubblici — Il maggior danno de’ debiti pubblici è per la qualitá de’ creditori.

Da poco piú di due secoli a questa parte hanno i principi usato, per soccorrere alle necessitá delle guerre, prender dagli uomini privati danaro; e, per incitargli a darlo di buona voglia, l’hanno renduto fruttifero, smembrando una porzione di dazi e concedendola a’ prestatori, che ne dividono il profitto tra loro. Per l’innanzi, non essendo tanta virtú ne’ principi né tanta fede ne’ popoli, che per qualunque speranza gli movesse a confidare nel proprio sovrano, la persecuzione de’ giudei e de’ mercatanti italiani, che prestavano ad usura, era l’ordinaria via da trovar le ricchezze.

Intorno a tali rendite, dette «debiti dello Stato», hanno disputato lungamente i politici s’esse fossero profittevoli o dannose; e mi pare la colpa di tale dissensione essere stata l’oscura cognizione avuta della loro natura: perciò, quando l’avrò qui spiegata, sará facile giudicarne.

Essendo il principe quella persona che rappresenta tutti i sudditi suoi, i quali si può in certo modo dire che in lui vivano, operino e si sostengano; siccome è impossibile ch’ei sia debitore a se medesimo, cosí non può esser vero debitore de’ suoi sudditi stessi. Le ricchezze sue sono le contribuzioni esatte da’ cittadini ed in pro loro spese: dunque, qualora ha speso il danaro prestatogli, giá l’ha renduto. Nelle storie dell’antiche [p. 298 modifica] repubbliche si leggono frequenti esempi de’ cittadini, che a gara hanno recate le proprie sostanze a riempiere il tesoro pubblico. Oggi, che la patria e la libertá non sono piú come divinitá idolatrate dagli uomini, ammaestrati a conoscere d’esser altrove la vera patria e l’eterna libertá, non si vedono frequentemente somiglianti esempi. Perciò ne’ bisogni si prendono danari in prestanza, e poi o si restituiscono o se ne paga l’interesse. Ma, siccome l’uno e l’altro si fa mediante un nuovo dazio, è chiaro che il giro ritorna onde cominciò, e si rivolge in se medesimo; e perciò l’imprestito, renduto con nuovo danaro riscosso da chi prestò, non è diverso dal non renduto. È vero che il dazio non si pone direttamente su que’ soli che prestarono; ma è vero ancora esser l’unione della societá in una cittadinanza tale, che, ovunque il peso si ponga, o aggrava ogni parte o distacca e tira giú quella ove è stato appiccato, quando non è tanto tenacemente unita al tutto, sicché possa sostenerlo. Appunto come l’uomo del pari è impedito a saltare per un peso, o ch’ei l’abbia a’ piedi, o che l’abbia sulla testa o sulle braccia, e, se gli è legato alle vesti, o queste si strappano, o ne resta aggravata tutta la persona.

Sicché le vere utilitá de’ debiti pubblici sono:

I. Che della gran somma, raccolta tutta in un tempo, il peso si divide sopra molti anni, ne’ quali forse si potrá goder pace e tranquillitá.

II. Sono utili al traffico ed a’ contratti, ne’ quali è sempre desiderabile l’assicurazione sopra partite d’arrendamenti, piú sicure assai e di rendita piú certa de’ terreni.

III. Le chiese, gli ospedali, i monti e tanti altri luoghi pii dovrebbono esser ricchi solo di simili rendite, come quelle che non richiedono le cure e i pensieri del padrone affezionato e vegliante, sono sicure dalla cattiva amministrazione e non esposte a vicende di fertilitá e di sciagure. E, siccome le istituzioni pie sono rivolte all’utile pubblico, cosí sarebbe cosa giustissima se co’ dazi fossero sostenute.

Ma i danni de’ debiti pubblici, se non superano, eguagliano certamente i vantaggi. [p. 299 modifica]

In primo nutriscono la pigrizia ne’ ricchi, pur troppo inclinati a giacervi dentro, ed opprimono il povero ad un grado quasi intollerabile. Né può essere maggior disordine in uno Stato che i tributi (per pagare i quali il contadino pena e s’affanna) sieno destinati a pascere la gente agiata senza pensiero e fatica alcuna.

In secondo luogo danneggiano l’agricoltura, si perché rendono vile il prezzo delle terre in confronto del loro, che per la maggior faciltá e certezza de’ frutti è piú pregiato, sí perché, non comprandosi da’ ricchi i poderi, ne resta la proprietá in mano a’ miserabili villani, privi del sostegno de’ ricchi nella coltivazione. E sará sempre peggio coltivato quel paese, dove il terreno è sminuzzato in innumerabili pezzetti di terre possedute da gente poverissima, di quello, ove i coloni, pagati con mercede da’ ricchi possessori di vaste tenute, non corrono i rischi delle cattive ricolte.

Ma di tanti danni il gravissimo è quando lo Stato contrae debiti dopo le sciagure di lunga e grave guerra. Trovandosi allora i sudditi esausti di danaro, gl’imprestiti sono fatti per la maggior parte da’ popoli confinanti, o al piú da coloro che in mezzo alla universale miseria sono arricchiti. Quanto sia grave male l'esser uno Stato debitore agli stranieri, è cosa cosí manifesta, che non richiede dimostrazione. Détte dunque cattivo consiglio e da nemico l’abbate di San Pietro, quando propose al governo di Francia la creazione di nuove rendite sur l’Hotel de ville e tanto l’esaltò; non avvertendo che sarebbero state acquistate parte dagli olandesi e parte da que’ finanzieri stessi, ch’egli avea chiamati le «sanguisughe della Francia».