Della ragione di stato (Settala)/Libro III/Proemio

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Proemio

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Libro III Libro III - Cap. I.
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Proemio.


Si meravigliò Senofonte, nel principio dell’Istruzione di Ciro, che di tante republiche che nella mente si rivolgeva, cosí poche si fossero a lungo andare conservate; o che fossero da pochi, o da molti governate: e ricercatane con ogni diligenza le cagioni, pensò di tal cosa non altra essernela che gli errori commessi da coloro, a’ quali è concessa la somma dell’imperio, e che governano; e il degenerare da quelli ordini, che bene da principio furono istituiti: essendo che la superbia, l’oro, l’intemperanza, l’ambizione, l’avarizia e la negligenza fa che lo stato della repubblica si corrompa, e si muti in altra forma, per lo piú degenerando nella contraria. Il qual parere molto piú mi piace, che quello di Platone (benché in ciò seguito da Cicerone), che nell’ottavo della Republica disse che, ancorché la republica fosse benissimo regolata e fondata in ordini perfettissimi, e ornata di giustissime leggi, alla fine però si farebbe guasta e disciolta, non potendo cosa alcuna perpetuarsi, che abbi avuto principio. Imperciocché, se in qualche maniera si potesse ottenere che i cittadini di continuo bene operassero e seguitassero le cose oneste e fuggissero le brutte, perpetua sarebbe la buona republica, purché quelli che la governano sostenessero il popolo sdrucciolante: perché si come dalle loro cupiditá tutta la cittá s’infetta di vizi, cosí si emenda e corregge con la continenza. Conciosiacosa che non vi è cosa che piú conservi e renda stabile l’unione de’ cittadini, che la virtú e gli ottimi costumi e le buone regole di coloro che reggono; le quali non solo conservano le cose del popolo, ma ancora fanno perpetue le republiche e accrescono [p. 91 modifica] mirabilmente le dignitá e gli imperi: come insegnò Senofonte con l’esempio de’ lacedemoni, mostrando che Sparta, che da principio aveva pochissimo popolo, in cosí breve tempo a tanta potenza, moltitudine, dignitá e imperio non era pervenuta, se non con le eccellenti leggi dategli da Licurgo e dalla prudenza civile di coloro che governavano. Tanto adunque sará per durare la buona republica, quanto in quella dureranno le virtú civili, e le buone leggi saranno ben custodite; e se non vi sará né l’ambizione né la cupidigia, e che vi sia sbandita la superbia, e il lusso distruttore delle ricchezze, e le altre bruttissime fiere distruggitrici d’ogni bene nelle republiche, — saranno, dico, stabili, e si perpetueranno. Ma perché bene spesso avviene, che per ben che quelli, che sono nei magistrati, siano e giusti e prudenti, e che altra mira non abbino, oltre il ben de’ popoli, che di conservare lo stato della republica nello stato, nel quale da’ suoi maggiori è stata posta: non manchino però in tanta moltitudine chi, o sazi di quella maniera di governo, o mal contenti per non poter ottenere qualche magistrato e dignitá, o per esser per qualche loro misfatto castigati, che procurino che si muti forma di republica, sperando che variandosi e andando le cose sossopra possano ottenere miglior fortuna; o che tutto il popolo minuto non avendo abito alle dignitá né essendo partecipe della republica, essendo tutta nelle mani degli ottimati e principali.....;—sará necessario in questo libro trattar della ragione di stato della republica aristocratica, con la quale considerando le infermitá, che da molte parti, e in molti modi gli soprastanno, si possano trovare gli opportuni rimedi per conservarla; e questa pure è la ragion di stato aristocratica.