Della storia d'Italia dalle origini fino ai nostri giorni/Libro settimo/38. Continua

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[p. 173 modifica]38. Continua. — Giá il notammo: uno de’ privilegi piú indubitabili degli uomini meridionali è la disposizione naturale alle arti belle, a quelle principalmente pel disegno. Grecia e Italia produssero, tra esse due, piú cose belle che non tutto il resto del mondo; e dopo esse è terza Spagna. Quindi noi, che crediamo possa e debba l’Italia prender molto e delle lettere e delle scienze straniere, pur notammo che in fatto d’arti ella non ha a prender quasi nulla; e che, quando prende, ella prende male, quasi contra natura. Ciò si conferma nella storia del nostro secolo decimottavo. Al principio di esso continuarono l’arti nostre a decader cosí, che appena vi si possono nominare un Solimene [1657-1747], un Crespi [1665-1747], Zuccarelli [1702-1788], Battoni [1708-1787], fra’ pittori; Collino [1724-1793], fra gli scultori; Benedetto Alfieri [1700-1767], Vanvitelli [1700-1773], Temanza [1705-1789] fra gli architetti. — Intanto incominciavano a sorgere in Inghilterra, e risorgevano in Francia e Germania, alcuni [p. 174 modifica]artisti migliori, Reynolds, Hogard, Mengs, Angelica Kauffmann, Vien, e David finalmente; e continuavano i piú di questi a pur accorrere a Italia, a Roma. Allora per la prima volta i nostri imitarono gli stranieri, e sorsero cosí Landi [1756-1830], Appiani [1761-1817], Bassi [1776-1815], Benvenuti e Camuccini, ed alcuni altri pittori. Ma questi imitatori dei nostri imitatori, prendendo forse piú de’ loro vizi che di lor qualitá, mostrarono col fatto quanto poco buona sia tal via, quanto migliore sarebbe stato risalire direttamente agli antichi e larghi stili italiani. Tutto diverso, piú originale, piú italiano, piú grande fu senza dubbio Canova; e se anch’egli non andò libero d’ogni grettezza o secchezza allor corrente, se dopo lui s’aggrandí forse lo stile della scultura, e s’accostò a que’ monumenti del Partenone ateniese ch’ei non conobbe se non negli ultimi anni; io crederei che sia appunto al presente una soverchia preoccupazione di tale stile quasi unico, e che si tenga quindi da alcuni in troppo poco conto il Canova. Ad ogni modo, ei regnò solo nella scoltura, e sommo nelle arti italiane al tempo suo [1747-1822]. Nell’architettura, tra il fine dell’un secolo e il principio dell’altro non sorser guari, oltre al Cagnola [1762-1833], grandi artisti; e per la buona ragione che, tranne l’arco di trionfo di Milano, non furono fatti grandi monumenti; e ciò per l’altra buona ragione che l’Italia sconvolta non aveva agio né danari a ciò. L’architettura è, di tutte l’arti, anzi di tutte le colture, quella che ha piú bisogno di protezione pecuniaria. — Questo poi fu il secolo aureo della musica; fiorirono tra non pochi altri Porpora [1685-1767], Marcello [1686-1739], Tartini [1692-1770], Durante [1693-1755], Leo [1694-1744], Galuppi [1703-1785], Pergolese [1704-1737], Guglielmi [1727-1804], Sacchini [1735-1786], Paesiello [1741-1816], Zingarelli [1752-1837], Cimarosa [1754-1801], Paër [1771-1834]; famosi nomi, superati tuttavia da quelli posteriori di Rossini e Bellini; stupenda lista della piú piccola fra le grandezze nazionali. Ma cosí va il mondo: si producono gli uomini come le merci, in proporzione della richiesta, del bisogno, del mercato. Finché la richiesta fu di musica, e il piú bel giorno d’ogni cittá d’Italia era la prima [p. 175 modifica]sera dell’opera, noi avemmo maestri; quando invece dell’opera, o piuttosto del cicalio e del beato ozio de’ palchi, noi ci compiaceremo di conversazioni socievoli, eleganti, avremo pur queste: ed ora che l’iniziata libertá italiana avrá bisogno d’uomini politici e guerrieri, ella li riavrá certamente. Il suolo d’Italia è incessantemente ferace sempre e dove non si tema la sua feconditá. A voi, giovani, l’augurio: noi fummo ciò che potemmo a’ tempi nostri. Il suol d’Italia fu e può tornar fecondo a tutto; quando si volesse, o sol che non si temesse, la sua feconditá.