Dialoghi degli Dei/5

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5. Giunone e Giove

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Luciano di Samosata - VIII. Dialoghi degli Dei (Antichità)
Traduzione dal greco di Luigi Settembrini (1862)
5. Giunone e Giove
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5.

Giunone e Giove.


Giunone. Dacchè, o Giove, menasti qui quel garzonetto frigio che rapisti dall’Ida, non ti dái più pensiero di me.

Giove. E già t’ingelosisci, o Giunone, anche di lui sì semplice ed innocentissimo? Io ti credevo acerba alle sole donne che s’impacciano con me.

Giunone. Sta male e sconviene a te, che sei signore di tutti gli Dei, lasciar me tua legittima moglie, e discendere su la terra a trescar con le donne, divenendo ed oro, e satiro, e toro. Almeno quelle tue pratiche rimangono in terra: ma questo fanciullo Ideo l’hai rapito, o fortissimo degli Dei, ce l’hai messo in casa, e proprio in capo a me sotto nome di coppiere. Forse ci mancavan coppieri, ed Ebe e Vulcano sono già vecchi ed inutili? Tu non prendi la coppa da lui, se pria non lo baci al cospetto di tutti; e quel bacio ti sa più dolce del nèttare; però spesso non hai sete, e chiedi bere; e talvolta appena assaggi, e gli ridai la tazza, e mentre egli beve, gliela ritogli, e bevi il rimanente dove il fanciullo ha attaccate le labbra, sicchè tu e bevi e baci. Ieri tu, re e padre di tutte le cose, deposta l’egida ed il fulmine, sedevi a giocare a dadi con lui, ed hai tanto di barba. Tutto questo io lo vedo, e non credere che non capisca.

Giove. Che male è, o Giunone, baciare un fanciul sì leggiadro mentre si beve; e godere insieme e del bacio e del nèttare? Se gli permettessi di baciare una volta anche te, non mi riprenderesti più che io stimo il bacio più soave del nèttare.

Giunone. Tu parli come un fanciullaio.1 Non sarei io sì pazza da accostar le labbra a cotesto zanzero di Frigia, così molle e infemminito. [p. 236 modifica]

Giove. Non parlar male dei fanciulli, chè questo infemminito, questo barbaro, questo zanzero, mi è più caro e desiderato.... ma via, non voglio dirtelo per non farti andare più in collera.

Giunone. Di’ pure che te lo godi per far?... Ma ricòrdati quanti insulti mi fai per cotesto coppiere.

Giove. Oh lui no, ma dovevam farci mescere da Vulcano tuo figliuolo, zoppo, uscito della fucina, tutto bruciato di scintille, e che allora lascia le tanaglie? da quelle mani prendere la tazza e abbracciare intanto e baciare lui, che neppur tu, sua madre, avresti cuore di baciargli quella faccia lorda di fuliggine? Quegli era più leggiadro, non è vero? Quel coppiere conveniva assai meglio al convito degli Dei: bisogna rimandar tosto sull’Ida Ganimede, che è sì pulitino, sì grazioso nel presentar la tazza con quelle manine di rosa, e, quel che più ti duole, che dà baci più savorosi del nèttare.

Giunone. Ora è zoppo Vulcano, e non ha mani degne da porgerti la tazza, ed è pieno di fuliggine, e l’hai a schifo vedendolo, da quando l’Ida ci ha allevato questo bel zazzerino. Prima non le vedevi queste cose: nè le scintille, nè la fucina ti facevan rivolger la faccia quand’egli ti porgeva bere.

Giove. O Giunone, tu affanni te stessa con cotesta gelosia, e niente più; e cresci l’amor mio. Se ti spiace un bel fanciullo per coppiere, abbiti il figliuol tuo. Tu, o Ganimede, a me solo porgerai la tazza, ed ogni volta mi darai due baci, uno quando me la presenterai piena, ed un altro quando la riprenderai. Che è questo? tu piangi? Non temere: chi ti vorrà punto di male, guai a lui.


Note

  1. Fanciullaio. Avrei potuto dir pederaste, e serbare la stessa parola del testo: ma ho voluto usare, anzi coniar questa, che parmi più conforme all’indole della lingua italiana, nella quale abbiamo altre parole simili. A chi non piace questa parola nuova, vi metta la vecchia greca, o altra, se la sa, migliore.