Dialoghi delle cortigiane/3

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3. Filinna e la Madre

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Luciano di Samosata - LVI. Dialoghi delle cortigiane (II secolo)
Traduzione dal greco di Luigi Settembrini (1862)
3. Filinna e la Madre
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3.

Filinna e la Madre.


La Madre. Eri pazza, o che avevi al banchetto ieri, o Filinna? È venuto Difilo da me stamane piangendo, e m’ha contato che gli hai fatto patire. Che bevesti bene, e ti levasti, e uscisti in mezzo a ballare, mentr’egli te lo vietava: che poi baciasti Lampria suo compagno; che come ei ti si mostrò sdegnato, tu lo piantasti, te ne andasti vicino a Lampria, e lo abbracciasti: e lui la rabbia lo soffocava. E credo che non ti se’ neppure corcata con lui stanotte; che l’hai lasciato a piangere, e ti se’ seduta sola sovra il vicino sgabello, e cantavi per fargli dispetto.

Filinna. E il suo, o mamma, non te l’ha contato, il suo? Oh, non lo difendere quel birbante. Egli staccatosi da me andò a parlare con Taide l’amica di Lampria, prima che costui venisse; e poichè vide ch’io mi sdegnava e con gli occhi lo minacciava, egli che stava con la bocca proprio all’orecchio di Taide, come ella piegò il collo, v’attaccò tale un bacio che non ne voleva più spiccare le labbra. E poi i’ piangeva, ed ei rideva, e seguitava il pissi pissi all’orecchio di Taide, contro di me certamente, chè Taide mi guardava e sorrideva. Quando poi s’accorsero che Lampria stava per giungere, se ne satollarono di baci entrambi. Eppure io a tavola m’adagiai vicino a lui per togliere quest’ultima occasione. Taide poi si levò e ballò essa prima, facendosi veder molto delle gambe, la sola cosa bella che ha. Quando ella finì, Lampria taceva, e non diceva niente: ma Difilo si sbracciava a lodarla: che grazia, che maestria, come il piè va a tempo con la cetera, che bella gamba! e mille altre cose, come se ei lodasse la Sosandra di Calamide, e non Taide, che anche tu la vedesti, quando si lavò con noi, come ella è fatta. E poi sai che mal bottone mi gettò Taide? Disse così: Chi non si vergogna di aver le gambe [p. 175 modifica]sottili esca in mezzo a ballare. Che posso dirti, o mamma? Mi levai, e ballai. Che doveva fare? Tenermelo, per mostrar vero il frizzo, e lasciar Taide regina del banchetto?

La Madre. Troppa furia, o figliuola: non ci dovevi badare. Ma dimmi che fu dipoi.

Filinna. Tutti gli altri mi lodavano, e Difilo solo sdraiato così alla supina guardava la soffitta; finchè stanca cessai.

La Madre. Ed è vero che baciasti Lampria, ed andasti ad abbracciarlo? Tu taci? Questo poi non è perdonabile.

Filinna. I’ volevo rendere il dispetto a lui.

La Madre. E poi neppure corcarti con lui, e cantare mentr’egli piangeva? E non capisci, o figliuola, che noi siamo povere? e non ricordi quanto bene abbiamo ricevuto da lui, e come avremmo passato questo inverno, se Venere non ci avesse mandato questo aiuto?

Filinna. E che? debbo tenermi per ciò gl’insulti suoi?

La Madre. Sdègnati sì, ma non fargli altri insulti. Tu non sai che gli amanti insultati cessano, e rientrano in sè stessi? Tu se’ troppo acerba con lui sempre: bada, che chi troppo la tira la spezza.