Discorso sul testo della Commedia di Dante/XII

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[p. 144 modifica]XII. Bensì l’editore studiandosi — di radunare e porre in chiaro ciò che nascosto è negli archivj, e di considerare attentamente cose trasandate dagli altri — accatta fede a’ suoi storici per via di non so quali croniche inedite, e vite patriarcali ultimamente stampate, e genealogie e documenti di città e di famiglie le quali ricoverarono Dante. E le sono, pur troppo, autorità efficaci a provare, che niuna città gli fu patria, e come poi tutte millantando d’essere state le nudrici o levatrici del suo ingegno, pigliarono pretesto alle loro misere gare anche dalla gloria dell’uomo, che primo e più fieramente le detestò e le compianse. Dante fu nel Friuli e per tutta l’Italia. — «Veramente io sono stato legno senza vela e senza governo, portato a diversi porti e foci e lidi - per le parti quasi tutte dove questa lingua si stende, peregrino sono andato.»1 - Ma i tempi de’ suoi tristi pellegrinaggi sono incertissimi, e gli bastò dire ch’ei scriveva ramingo. Se non che la vanità provinciale de’ Fiorentini col Boccaccio; e i Veronesi col Maffei; e poscia capitanati da pigmei emuli de’ giganti, i Romagnoli e Friulani e Alpigiani e Tirolesi semitaliani, e monasteri e villaggi contesero che la Divina Commedia fosse o incominciata, o composta in parte, o compiuta dove il poeta era nudrito del grano cresciuto nel lor territorio. E tuttavia i panegirici municipali, capitolari, abbaziali e patrizj, citati sotto nome di documenti d’archivj, sfidano a battaglia gli archivj di tutte le città d’Italia. La puerilità delle loro vanaglorie si fa manifesta; [p. 145 modifica]ma il vero rimane più sempre confuso: e al veleno della discordia sono per lo più mescolate le sozzure dell’adulazione, sicchè Dante fu talora esaltato e talor calunniato in grazia degli altrui mecenati. Anzi è tale che andò magnificando tutto il Poema con impropierj contra chiunque non trova sovrumana ogni sillaba, e con ejaculazioni d’ammirazione perpetua fin anche ove le imperfezioni palesano che la è pure opera d’uomo, e nondimeno non sì tosto certi antenati de’ padroni del critico sono biasimati da Dante, l’estatico ammiratore diviene in un subito esecratore fanatico, e accusa il poeta di trascuraggine rea e di accanita malignità.

Note

  1. Convito, pag. 70, ed. Zatta.