Donne illustri/Donne illustri/Isabella Andreini

Da Wikisource.
Isabella Andreini

../Bianca Cappello ../Vittoria Colonna IncludiIntestazione 13 novembre 2022 100% Da definire

Donne illustri - Bianca Cappello Donne illustri - Vittoria Colonna

[p. 74 modifica]ISABELLA ANDREINI [p. 75 modifica]









CCsabella Andreini fu maggiore e più fortunata di molti grandi comici di cui non resta che il grido; ella lasciò la sua immagine ne’ propri scritti, che rendono credibile, in buona parte, quello che di lei rapporta la fama.

Ella era nata nel 1562 a Padova, città ricca delle tradizioni di Trifon Gabriele e di Sperone Speroni, rispetto alle lettere, e quanto all’arte di quelle del Ruzzante, un Toselli del secolo XVI, ma un Toselli scrittore felicissimo nel proprio dialetto. Ella sapeva appena leggere quando si pose a comporre la Mirtilla, favola boschereccia che non ebbe grande favore, e non lo meritava, ma è argomento di un genio singolare alle rappresentazioni sceniche — dal quale [p. 76 modifica] fu tratta all’arte comica, ritenendo tuttavia l’amore e il culto della poesia. Ella fu dei Comici gelosi, e sposò uno di questa fratellanza, Francesco Andreini, pistoiese, il famoso Capitan Spavento da Valle Inferna, che la amò senza fine ed ebbe da lei il più famoso Giovan Battista, l’autore dell’Adamo, ove alcuni vedon lampeggiare l’idea del Paradiso perduto di Milton. Ella fece furore non solo in Italia, ma in Francia.

In Francia Enrico IV la trattò con quell’onore che si apparteneva alle dame e non si concedeva alle comiche. Ma la bellezza e la intemerata onestà della Isabella la facevano singolare dalle altre attrici. Elle avait, dice il Bayle, une chose qui nest pas des plus communes parmi les excellentes actrices; c’est quelle était belle; de sorte qu’elle charmait sur le théatre et les yeux et les oreilles en même temps. Gli occhi dovevano essere sfolgoranti, poichè il Marini cantò iperbolicamente:

Veggio la luce ardente
Degli occhi, che già vivi
De’ teatri festivi
I chiari lumi abbarbagliàr sovente.


E soggiungeva rimpiangendola:


Ma la lingua eloquente
Non odo articolar l’alta favella.


Dovea veramente essere eloquente, massime parlando d’amore; di ciò fanno fede non solo le sue Rime, ma i [p. 77 modifica] Frommenti pubblicati dopo la sua morte. Era poi abile nel canto e nel suono, sapeva lo spagnuolo e l’italiano: e non è da stupire che le sue lodi stancassero mille lingue: e a darne un saggio si stancherebbero mille orecchie: come se riferissimo le sciocche iperboli del bergamasco Comin Ventura, che in una dedica le dice «che portava sulle labbra l’olivo di Pallade, in faccia gli orti d’Adone, in seno il convitto de’ Dei, nel petto il cinto di Venere, tra le braccia il casto Amore e la celeste Venere». Meglio si direbbe di lei quello che il Garzoni notò di un’altra famosa comica: «Quella divina che fa metamorfosi di sè stessa in scena.... quella bella maga d’amore che merita d’esser pòsta come un compendio dell’arte, avendo i gesti proporzionati, i moti armonici e concordi, gli atti maestrevoli e grati, le parole affabili e dolci, i sospiri ladri e accorti, i risi saporiti e soavi, il portamento altero e generoso, e in tutta la persona un perfetto decoro». Questa donna miracolosa morì d’aborto a 42 anni, il 10 giugno 1604 in Lione, e quella comunità la onorò d’insegne e di mazzieri, e fu accompagnata con grossi doppieri da tutto il corpo dei mercatanti. La mort de cette comédienne, dice il Bayle, mit en pleurs tout le Parnasse: ce ne furent que plaintes funèbres en latin et en italien. E sotto il nome di Pianto d’Apollo furono raccolte queste poesie da Giovan Battista suo figlio.

Ma assaggiamo le sue poesie, ch’ella stampò nella nostra città, e intitolò, con lettera del 22 settembre 1601, al cardinale Cintio Aldobrandini. Nel sonetto proemiale vuol far credere che i suoi canti d’amore fossero un giuoco: [p. 78 modifica]

S’alcun fia mai che i versi miei negletti
Legga, non creda a questi finti ardori
Che sulle scene imaginati amori,
Usa a trattar con non leali affetti,


Con bugiardi non men che finti detti
Delle Muse spiegai gli alti furori:
Talor piangendo i falsi miei dolori,
Talor cantando i falsi miei diletti;


E come ne’ Teatri or donna ed ora
Uom fei rappresentando in vario stile
Quanto volle insegnar Natura ed Arte;


Così la stella mia, seguendo ancora
Di fuggitiva età nel verde aprile,
Vergai con vario stil ben mille carte.


Ma in alcuni versi v’è troppo vero affetto, perchè si possa credere ch’ella scherzasse sempre. Appunto perchè pudica, sentì forse più vivamente l’amore.

Ella, oltre i sonetti e le canzoni petrarchesche, che sono benissimo condotti, tentò la sestina, difficile anche ai maestri. Scrisse alcuni scherzi e canzonette di tessitura chiabreresca, parecchie egloghe, e alcuni capitoli in cui ogni terzo verso è del Petrarca. Prevalse nei madrigali. Ci par vago codesto:

Or che Nerina mia
Stende la bianca mano
E quel vermiglio fior coglier desia,
Amor, se mai ti mosse prego umano,

[p. 79 modifica]

Cangiami questa forma,
E ’n quel fior mi trasforma:
Onde la man che m’ha l’alma ferita
Mi svelga ancor la vita.


Se ne togli il quinto verso, ch’è inutile, si può dire perfetto. Qui poi si vede che non solo in teatro facea le parti da uomo, ma anche ne’ versi, per rendere credibile la protesta che abbiamo citata — che non facesse davvero.

Ecco alcune strofe d’uno scherzo:

Con quai giri lascivetti
Oggi alletti,
Zeffiretto, la mia Clori?
Del suo bel ti vai pascendo,
Ahi! fingendo
Rasciugarle i bei sudori.
Tu scherzando or fuggi or riedi;
Or ti siedi
Lievemente in quel bel petto;
Or increspi i capei biondi,
Or t’ascondi
Entro ’l labbro amorosetto.
Con quant’arte l’aure molci,
Come dolci
Movi e freschi i tuoi sospiri,
Come intanto lusingando
Vai predando
Quell’odor che grato spiri.
Non però le rose e i gigli,

[p. 80 modifica]

Onde pigli
Le tue grazie perdon mai
Il tesor che stassi accolto
In quel volto
Ch’è del sol più chiaro assai....


Ma leviamoci con la poetessa da queste fuggitive vaghezze, e chiudiamo con un bel sonetto spirituale:


Ahi alma, ahi di te stessa ornai t’incresca:
Se fosti sol per l’alte sfere eletta,
A che, folle, del mondo agogni l’esca,
Mentre all’occaso il mio viver s’affretta?


In terra quanto i desir nostri invesca,
Quasi mortal veleno i sensi infetta:
Consenti dunque che l’età men fresca
Almen doni al Signor, che pio n’aspetta.


Di Cristo solo il glorioso nome
Formin gli accenti miei, ned altro core
Abbia ’l petto, nè ’l core altro desio.


Sgombra de’ falli tuoi le antiche some,
Lavi sordido limo acqua d’obblio,
Nè senso altro sia in me che di dolore.