Dopo il divorzio/Parte seconda/Cap. XV

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Cap. XV

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XV.

Appena si sparse la voce del ritorno di Costantino, la catapecchia del pescatore si riempì di gente, e tutto il giorno fu un andirivieni di amici, di parenti, di persone che prima non avevano mai scambiato parola col poveretto, ed ora venivano, lo [p. 237 modifica] abbracciavano, gli offrivano la loro casa. Le donne piangevano, lo chiamavano «figlio mio», lo guardavano con occhi pietosi. Una vicina mandò pane e salsiccie.

Ebbene, tutte queste dimostrazioni di stima e di pietà stizzivano il giovane. Diceva ad Isidoro:

— Perchè hanno compassione di me? Cacciateli via: andiamo in campagna.

— Andremo, andremo, figlio di Dio, abbi pazienza, — rispondeva l’altro, curvo sul focolare a cuocer le salsiccie. — Ah, come sei diventato cattivo! Possibile?

Ecco, dopo lo scoppio di dolore avvenuto all’alba, zio Isidoro non aveva più soggezione di Costantino, anzi cominciava a prendersi delle libertà, sgridandolo come un bambino. Nei pochi momenti in cui restavano soli, cominciava e ricominciava a narrare i fatti: Costantino ascoltava avidamente, e si seccava quando la gente veniva ad interrompere il racconto.

Venne anche il sindaco, che era ancora quel pastore dal viso di Napoleone I. Questa visita, veramente, commosse Costantino.

— Noi ti daremo pecore e vacche, gli disse il sindaco, dopo essersi soffiato il naso con le dita. — Sì. Ogni pastore ti darà un pecus1. Se hai bisogno di qualche cosa dillo subito. Nel mondo siamo tutti fratelli, ma specialmente lo siamo nei piccoli paesi.

Costantino pensò a ciò che i fratelli del suo piccolo paese gli avevano fatto, e scosse il capo. [p. 238 modifica]

— Ah, — disse — i fratelli fecero a me ciò che Caino fece ad Abele. Non bastano vacche e pecore per ridonarmi vita e compensarmi!

— Ebbene, questo non importa, — riprese il sindaco, fisso nella sua idea. — Tu che hai viaggiato, dimmi, hai visto da un’alta montagna i paesi sparsi nelle sottostanti campagne? Ebbene, non sembra di vedere tante case, in ognuna delle quali vive una famiglia?

Costantino cominciò a seccarsi per i discorsi del sindaco, e rispose che voleva lasciare il paese, andarsene via, lontano, non tornare mai più.

— Tu non andrai via. No, non andare, — gli consigliò l’altro. — Dove vuoi andare? Devi restare qui, dove tutti siamo fratelli.

Poi venne il dottor Puddu, con un grande ombrello grigio-sporco, e andò a guardare cosa c’era dentro la pentola.

— Voi siete tanti delinquenti perchè mangiate delle porcherie, — cominciò a gridare con la sua voce rauca, picchiando con l’ombrello sulla pentola.

— Non la rompa! — disse Isidoro, — e scusi tanto che quella non è porcheria. Son fave e lardo e salsiccie.

— E il lardo non viene dal porco? Siete tutti porci, qui.... Tu dunque sei tornato, buona lana? — si rivolse a Costantino. — Io ho visto morire colui. — Chi? chi? — Giacobbe Dejas! Egli è morto di mala morte, come meritava. Tu ti prenderai una purga, domani. Dopo un viaggio è assolutamente necessaria. [p. 239 modifica]

Costantino lo guardava e taceva.

— Tu mi credi pazzo! — gli gridò il medico, andandogli addosso e minacciandolo con l’ombrello. — Una purga, capisci, una purga!...

— Ho sentito, — disse Costantino.

— Oh, meno male! Ho sentito anche io, che tu vuoi andar via. Viaaa! Va magari a casa del diavolo, ma va via. Prima, però, va al camposanto, a quel letamaio che voi chiamate cam-po-santo! E scava, scava come un cane, e roditi le ossa di Giacobbe Dejas.

Digrignò i denti, come rosicchiando delle ossa: era ridicolo e orribile, e Costantino tornò a guardarlo con stupore.

— Perchè mi guardi così? Tu sei stato sempre un cretino, caro mio, piccola bestia. Eccolo lì, tranquillo e pacifico come un papa! Ti hanno tolto tutto, ti hanno tradito, ammazzato, ti hanno percosso vilmente, come se percuotessero un cadavere, e tu stai lì istupidito e rimbambito. Ma perchè non ti muovi? Perchè non vai da quella mala femmina e da sua madre e da sua suocera, e le prendi per i capelli, e le attacchi alle code delle vacche che ti vogliono dare per elemosina, e metti fuoco alle loro sottane, e poi slanci le vacche per il paese, in modo che si incendi tutto? Tutto, capisci? Capisci, animale?

Gli urlava sul viso, emanando dalla bocca un pestilenziale odore d’assenzio, cogli occhi iniettati di sangue. Costantino indietreggiava, e le parole di colui lo facevano tremare.

Ma subito l’orribile uomo si allontanò, andò via, e volgendosi sulla porta agitò l’ombrello. [p. 240 modifica]

— Mi fai venire il desiderio di rompertelo sul muso, — disse. — Gli uomini come te meritano ciò che fu fatto a te. Ebbene, prenditi almeno la purga, stupidone.

— Quello lo farò! — esclamò Costantino. E rise; ma le parole del «dottore» gli lasciarono una profonda impressione. Ah, sì, in certi momenti sentiva impeti ardenti di disperazione: egli diceva di voler andar via, ma non sapeva precisamente ove sarebbe andato, e non sapeva che avrebbe fatto se rimaneva in paese. Pensava:

— Io non ho casa, io non ho nessuno. Oggi vengono a salutarmi, per curiosare, ma domani nessuno più si ricorderà di me. Io sono come un uccello senza nido. Che farò io?

Le parole del «dottore» gli rombavano nella mente. Andare, andar là, piombare come la folgore, distruggere quelli che avevano dissipato la sua vita.

— ...No, Costantino, essa non è felice, — ricominciò Isidoro, quando si misero a mangiare le salsiccie ed il pane bianco che la vicina aveva mandato in regalo. — Essa non è felice. Io non l’ho guardata più in faccia; e quando la vedo provo una cosa strana, come quando si vede la tentazione2. Eppure, vedi, io ho compassione di lei. Essa ha una figliuola che, mi dicono, rassomiglia ad una fava fresca, tanto è sottile e verde. Come possono esser belli i figli del peccato mortale? E la bambina è stata battezzata come una bastarda: il prete non [p. 241 modifica] l’accompagnò a casa, la gente sogghignava per la strada.

— Ah, ricordate il mio bambino? — chiese Costantino tagliando il lardo giallognolo e grasso. — Egli, no, non sembrava una fava. Ah, se egli fosse vissuto!

— È meglio che egli sia morto, — cominciò a filosofare il pescatore. — La vita è piena di miserie. Meglio morire innocenti, andare, volare lassù, al di là del cielo azzurro, nel paradiso disteso al disopra delle nuvole, al di sopra del vento, al disopra di tutte le disgrazie umane. Bevi, Costantino, — disse poi; questo vino non è buono, ma non è ancora aceto. Ecco, mi ricordo, l’anno scorso, il giorno dell’Assunzione, Giacobbe Dejas mi invitò a pranzo da lui. Egli aveva paura di me; credeva che io sapessi... e voleva darmi sua sorella in isposa! Se tu vedessi quella donna non rideresti più. Essa venne con me e col prete dal giudice, a Nuoro. Così il Signore mi assista nell’ora della morte, se io vidi mai una donna più coraggiosa: ella parve sollevarsi da terra.

Poi ella s’è curvata, s’è raggrinzita, sai, come quei frutti che si disseccano sulla pianta prima di maturare. Io vado sempre a trovarla; per divertirla le dico: ebbene, vogliamo sposarci, granellino d’orzo? — Ella sorride, io sorrido; ma abbiamo voglia di piangere. Chi poteva mai pensarlo? Ecco dunque, volevo dire: Giacobbe sembrava felice e contento; arricchiva, pensava di prender moglie. Ed ecco ad un tratto — pum! egli cade a terra come una pera fracida. E così è la vita. Bachisia Era mercanteggiò [p. 242 modifica] sua figlia, credendo di cambiare stato, ed ora muore di fame peggio di prima: Giovanna Era fece quel che fece, credendo di raggiungere il cielo in terra, ed invece si trova come una rana infilzata viva in una pertica.

— Ma la bastona, colui? — domandò Costantino, cupo.

— Egli non la bastona, ma vi sono maltrattamenti peggiori delle bastonate. L’hanno presa per una serva, sai; per una schiava, anzi. Sai come gli antichi trattavano gli schiavi? Così ella vien trattata in quella casa.

— Ebbene, che crepi! Beviamo alla sua dannazione! — disse Costantino alzando il bicchiere.

Nell’udire che Giovanna era infelice, egli provava la gioia crudele, fatta di spasimo quasi fisico, che provano i bambini nel veder bastonato un loro compagno malvoluto.

Dopo pranzo i due uomini uscirono fuori e si coricarono all’ombra del fico selvatico. Il meriggio era caldo; l’aria immobile odorava di papaveri, l’orizzonte svaporava cenerognolo come nei meriggi estivi, e le api ronzavano suonando le loro piccole trombe monotone. Costantino, stanco, disfatto, s’addormentò subito; ma il pescatore non potè chiudere occhio. Una cavalletta verde saltava sull’erba e sui papaveri con un aspro tic-tic; ed Isidoro allungò il braccio e cominciò a darle la caccia, mentre pensava:

— Io so perchè egli vuole andarsene. Egli le vuole ancora bene, povero fanciullo: s’egli resta qui soffrirà come San Lorenzo sulla graticola. Eccolo lì, [p. 243 modifica] povera creatura. Sembra un fanciullo malato. Ah, cosa hanno fatto di lui! Lo hanno sbranato. Ecco che ti ho presa!

Ed una cosa curiosa avvenne in lui: mentre stava per sbranare la cavalletta, pensò che essa avrebbe sofferto come soffriva Costantino. E la lasciò andare.

Un’ombra apparve in fondo al sentiero; zio Isidoro riconobbe prete Elias, balzò in piedi, gli andò incontro, e lo attirò entro la catapecchia, non volendo svegliare Costantino; ma costui aveva il sonno leggiero, si svegliò, udì parlare, si alzò, e nell’avvicinarsi alla porta sentì che discorrevano di lui:

— È meglio che se ne vada — diceva il prete con voce grave. — È meglio. È meglio.

Costantino, non seppe perchè, si turbò nell’udire quelle parole.


Ma egli non se ne andò.

I giorni scorsero, la gente finì di molestare il reduce che cominciò a girare per il paese senza esser più oggetto di curiosità alle donnicciuole ed ai ragazzi. Coi denari guadagnati nella reclusione egli si provvide di cuoio, suola e spago, ma non si metteva mai a lavorare. Ogni giorno comprava carne, frutta e vino, mangiava e beveva molto, e pretendeva che Isidoro lo imitasse. Gli pesava l’ospitalità del pescatore, aveva paura che nel paese si credesse ch’egli vivesse di scrocco, e teneva a mostrarsi generoso con Isidoro e con tutti. Conduceva nella bettola [p. 244 modifica] frotte di conoscenti, li ubbriacava, si ubbriacava anch'egli, ed allora cominciava a raccontare la sua vita al reclusorio, e ingrandiva le cose in modo straordinario.

Così i suoi soldini se ne andavano, e quando Isidoro lo sgridava, egli diceva:

— Ebbene, io non ho figli, io non ho nessuno a cui pensare. Lasciatemi in pace.

D'altronde contava sull'eredità dello zio assassinato, eredità che i parenti promettevano di restituirgli senza ricorrere alla giustizia.

— Allora, — diceva, — venderò tutto, e me ne andrò. A voi darò cento scudi, zio Isidoro.

Ma il povero uomo non voleva niente. Voleva soltanto che Costantino ritornasse quello che era prima della disgrazia, buono, laborioso, non finto.

Perchè il vecchio sentiva che il disgraziato fingeva, e ne provava un dolore profondo: spesso però lo sorprendeva con le lacrime agli occhi ed allora il suo vecchio cuore sussultava di gioia.

— Che hai, figlio di Dio? — gli chiedeva. Ma Costantino si metteva a ridere mentre le lagrime gli solcavano le guancie. Ciò era orribile.

Qualche volta andavano assieme alla pesca delle sanguisughe, e mentre Isidoro stava con le gambe ignude immerse nell'acqua giallognola e morta, in un punto ove il ruscello stagnava, Costantino, sdraiato sui giunchi, raccontava storielle sulla vita dei compagni di pena, e guardava l’orizzonte con strana nostalgia.

Andarsene! Andarsene! Egli avrebbe voluto [p. 245 modifica] andarsene, perchè lassù, sotto quel cielo fatale, nella morta solitudine dell’altipiano, vigilata dalle sfingi immani delle montagne, si sentiva come stretto da un cerchio di ferro rovente. Tutte le cose, dai fili dell’erba crescente sulle straduccie, ai picchi delle montagne, gli ricordavano il passato. Ogni notte egli si aggirava cauto come una volpe intorno alla casa di Giovanna. Una sera vide la figura alta della giovine donna uscire dal portico e andare verso la loro casetta. Era la prima volta che rivedeva Giovanna, e la riconobbe tosto, nonostante l’oscurità umida della sera un po’ annuvolata: il cuore gli battè violentemente, ed ogni pulsazione era un dolore diverso, un ricordo, un impeto disperato. Egli fu per precipitarsi addosso alla donna, abbracciarla, ucciderla. Poi non gli bastò vederla così, di nascosto, all'ombra: fu invasato dal desiderio di vederla e di farsi vedere alla luce del sole; ma ella non usciva mai, ed egli di giorno aveva paura di passare davanti alla casa bianca.

Un’altra sera, un sabato, udì il riso di Brontu risuonare nel portico, e gli parve udire anche il riso di lei. Gli occhi gli si offuscarono, e provò un’impressione simile a quella sofferta nella traversata da Cagliari a Napoli, quando s’era svegliato col mal di mare.

Intanto fingeva, non sapeva perchè; e tutti gli abitanti di Orlei gli sembravano odiosi. Tutti, anche zio Isidoro Pane.

Qualche volta si domandava meravigliato:

— Perchè sono tornato qui? [p. 246 modifica]

— Io me ne andrò, — diceva al pescatore, nella quiete infinita dell’altipiano, chiusa dagli sfondi dell’orizzonte d’un azzurro-carnicino, sui quali i selvaggi boschi di corbezzoli sorgevano come una nuvola verde. — Io ho scritto al mio amico Burrai. Egli può tutto, sapete: se anche fossi stato colpevole, egli mi avrebbe fatto graziare dal re.

— Questo me lo hai già detto, — rispose un giorno Isidoro, mentre stava con le vecchie gambe scarne e pelose entro l’acqua giallastra. — Ora sono seccato di sentirtelo ripetere; ma intanto colui non ti risponde.

— Egli cercherà il posto per me. Sì, me ne andrò. Ma ditemi la verità, perchè il prete vuole che me ne vada? Ha paura che io ammazzi Brontu Dejas?

— Sì, per ciò appunto.

— No, non è per questo. Io gli dissi: prete Elias, lei capisce che se avessi voluto ammazzare qualcuno l’avrei fatto subito. Ed egli ripete sempre: Vattene, vattene, è meglio. — Che cosa dite voi, zio pescatore: devo andarmene o no?

— Io non so niente, — disse l’altro con rimprovero. — Ciò che so è che tu sembri un cane accidioso. Perchè non lavori, dimmi, perchè pensi a questo tuo Burrai, cattiva lana, il quale, d’altronde, non pensa a te?

— Ah, egli non pensa a me? — disse Costantino offeso. — Ecco che io vi farò vedere se egli pensa o no a me. Ecco qui!

Si alzò, trasse una lettera dalla tasca interna della giacca, e cominciò a decifrarla; era del Burrai, il [p. 247 modifica] quale scriveva da Roma, dove aveva impiantato un piccolo spaccio di vini sardi. Naturalmente il re di picche ingrandiva le cose, diceva di essere proprietario d’un gran deposito di vini; offriva ospitalità a Costantino, rimproverandogli di non essersi fatto trasferire a Roma, e gli assicurava del lavoro. Gli occhi azzurri del pescatore s’aprirono, infantilmente meravigliati.

— Oh guarda, oh guarda! — cominciò a dire. — Perchè non lo dicevi prima? Perchè nascondevi la lettera? Quanto occorre per andare a Roma?

— Cinquanta lire, ecco tutto.

— E tu le hai?

— Io le ho, sicuro.

— Ah! allora va, va pure! — esclamò il vecchio, stendendo la mano verso l’orizzonte.

Tacquero un momento. Il pescatore curvò il viso verso l’acqua, fissando in fondo al ruscello i ciottoli bianchi come uova, e Costantino guardò con indifferenza avanti a sè. Al di là del ruscello la brezza curvava le alte erbe dorate della pianura; i lunghi steli d’avena tremavano sullo sfondo azzurro come in un velo d’acqua. Zio Isidoro credette giunto il momento di spiegare a Costantino perchè molti volevano che egli lasciasse il paese.

— Giovanna non ama il marito: tu e lei potreste rivedervi...

— E se ci rivediamo?

— Niente!... Potreste, ecco tutto...

— Ecco niente! — gridò Costantino, e la sua voce risuonò forte nel silenzio della riva. — Io disprezzo quella donna immonda. Io non la voglio... [p. 248 modifica]

— Tu non la vuoi! Ed intanto ti aggiri intorno alla sua casa come la mosca intorno al miele.

— Ah, voi sapete ciò, — disse Costantino colpito. — Non è vero... ebbene, sì, è vero. Io mi aggiro intorno alla sua casa. Che cosa vi importa?

— Niente. Tu devi andartene.

— Io me ne andrò. Vi sono di peso?

— Costantino! Costantino! — disse il vecchio con voce accorata.

Costantino strappò un ciuffo di giunchi, lo buttò via, tornò a guardare in lontananza. Il suo viso si mutava, come quel giorno del ritorno, dopo che egli aveva chiuso la porta di zio Isidoro; la fossetta del suo mento tremava. Inghiottì parecchie volte la saliva amara che gli riempiva la bocca, poi parlò:

— Ebbene, perchè anche il prete vuole che me ne vada? Non sono io il vero marito di Giovanna? Se ella tornasse con me, non sono io il suo vero marito?

— Se ella tornasse con te, caro mio, Brontu Dejas vi potrebbe ammazzare o mettere in carcere.

— Non abbiate paura; io non la voglio. Ella è per me una donna perduta. Io me ne andrò lontano, io sposerò un’altra donna...

— Tu non farai questo; tu sei un buon cristiano, — mormorò il vecchio con voce carezzevole.

— Io non farò questo... — ripetè Costantino, come suggestionato da quella voce carezzevole.

— Tu non farai questo... tu non lo farai... tu sei un buon cristiano... — ripetè il vecchio, e la sua [p. 249 modifica] voce diventò triste, perchè l’antica esperienza mormorava entro la mente dell’umile savio:

— Se egli non lo farà non è soltanto perchè egli sia un buon cristiano...

  1. Capo di bestiame.
  2. Il diavolo