Ercole (Euripide)/Terzo stasimo

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Euripide - Ercole (423 a.C./420 a.C.)
Traduzione dal greco di Ettore Romagnoli (1928)
Terzo stasimo
Terzo episodio Quarto episodio
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coro

Strofe I

a
Avviene un tramutare di mali: il prisco, il forte
nostro signore, vivo ritorna ancor dall’Ade.
Viva viva! La Sorte
e il Destino dei Numi batton novelle strade.
b
Su te, pur tarda, la Giustizia cade:
ché tu oltraggiavi i migliori di te.
c
Dagli occhi il pianto a rivi sgorga per l’esultanza.
È ritornato — innanzi, chi mai pur la speranza
ne concepia? — di questa terra il re.
d
Vecchi, dentro il palagio ora spiamo,
se qualcuno ebbe la sorte ch’io bramo.

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Dall’interno del palazzo si leva un altissimo urlo di Lico.
lico
Ahimè, ahimè!
coro

Antistrofe I

Lungi non è la morte: tale suona un concento
dentro la reggia: a udirlo l’animo mio ne gode.
Con questo suo lamento
il tiranno preludia di morte alla melode.
lico
Terra di Cadmo, son morto di frode!
b
Perché uccider volevi: adesso espii.
c
Qual fu l’uomo che i Numi contaminare volle
con l’iniqua calunnia, che, con parola folle,
privi di possa proclamò gl’Iddii?
d
È spento già lo scellerato, o vecchi:
la nostra schiera al canto or s’apparecchi.

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coro

Strofe II

Danze, danze e convivi
di Tebe odi suonar fra i muri santi.
Non di doglia or si lagrima:
mutò fortuna, e prospera
ispira i nostri canti.
È spento il nuovo re, l’antico impera
che lasciò l’Acheronte: verisimile
non fu la mia speranza; eppur s’avvera.

Antistrofe II

Importa, importa ai Superi
che con gli onesti il reo non sia confuso.
Ma l’anime degli uomini
l’oro e il successo sviano,
sí ch’elle faccian di sue forze abuso.
Niun, che le leggi vïolò, mai l’occhio
volge al futuro; e, ligio ad ingiustizia,
di sua fortuna spezza il negro cocchio.

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Strofe III.

Di fior’ cingiti, Ismene:
o vie di Tebe levigate, empietevi
di gioiose carole;
e voi, limpide vene
di Dirce, e voi, dell’Àsopo figliuole,
del padre abbandonate ora le linfe,
qui venite, e le glorie
belle, gli agoni d’Ercole,
con me cantate, o Ninfe.
Pito, rupe ch’ài d’alberi corona,
fanciulle d’Elicona,
Tebe e le sue settemplici
porte cantate. Qui balzâr dal suolo
gli Sparti, bronzei scudi: essi tramandano
da figliuolo a figliuolo,
della terra il retaggio:
questo è di Tebe il raggio.

Antistrofe III

Deh, uniche e diverse
nozze, dell’uomo e del Signore Olimpio,
che giacente sorprese
la nipote di Perse1!
Che fu tuo quel prodigio ora è palese:
contro ogni speme, o Giove, ora si vide
il tuo poter: tangibile
il tempo rese e fulgida
l’alta possa d’Alcide:
della terra gli abissi, e di Plutone
ei lasciò la magione.
Quanto dei nuovi príncipi

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miglior sei tu, del tristo lor lignaggio!
Ma, venuti al pericolo,
or, delle spade al saggio,
veduto s’è ben chiaro
se ai Numi il giusto è caro.



Note

  1. [p. 301 modifica]La nipote di Perse è Alcmena, figlia di Elettrione, che era figlio di Perse.