Faust/Parte seconda/Atto primo/Giardino di diporto

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Atto primo - Giardino di diporto

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Johann Wolfgang von Goethe - Faust (1808)
Traduzione dal tedesco di Giovita Scalvini, Giuseppe Gazzino (1835-1857)
Atto primo - Giardino di diporto
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GIARDINO DI DIPORTO.

È un bel mattino, illuminato da Sole raggiante.


L’IMPERATORE e la sua corte, uomini e donne; FAUSTO, MEFISTOFELE con abito decente, senza caricatura, alla moda; s’avanzano entrambi e piegano a terra il ginocchio.

Fausto. Ci perdonerai tu, o sire, per l’incendio del carnovale? [p. 249 modifica]

L’Imperatore fa loro segno di alzarsi. Mi auguro d’avere spesso di consimili farse. — E’ fu un istante ch’io mi vidi attorniato da vivo fuoco, tal che parevami essere Plutone. Un abisso di tenebre e di carboni, divampante a un punto ed in fiamme! di qua, di là, per entro alle voragini un turbinio mille e mille strane fiammelle che andavano a mescersi l’una coll’altra e confondersi a foggia di volta ardente; guizzanti linguette che dirompevano e squarciavano di tempo in tempo una cupola maestosa ognora in piedi, e ognora crollantesi e lì lì per isfasciarsi. E tra la bufera di quegli ardenti vortici, scorgeva alla lontana lunga tratta di popolo commuoversi, e precipitarsi nel vasto cerchio a rendermi l’omaggio che sempre m’ebbero a profferire. E de’ miei cortigiani v’ebbi a conoscere in quella ressa parecchi, talchè sembrava il re delle Salamandre.

Mefistofele. E tu ’l se’ veramente, o sire! da poi che ogni elemento riconosce l’assoluta tua maestà. Che la fiamma ti sia sottomessa il vedesti non ha guari. Ed ora, fa prova di sommergerli nel mare dove meglio infuria e imperversa, e non prima co’ piedi avrai tocco il fondo smaltato di perle, mirerai di subito formarsi ribollendo uno splendido cerchio. E dal sommo all’imo ti verranno veduti i flutti verdastri, pronti al cenno e spumosi, dilatarsi gonfiando in magnifico e regale palagio dattorno a te, quasi a centro. Al mutare de’ tuoi passi, que’ splendidi soggiorni ti verranno anch’essi seguendo per tutto: chè le pareti medesime, come avessero il dono della vita, si muovono colla prestezza del baleno, e [p. 250 modifica]vanno e tornano giusta il tuo beneplacito. I mostri marini s’accalcano per contemplare lo spettacolo nuovo, incantevole; e van di sè intrecciando una siepe, e niuno più vale ad entrarvi. Lottano colà i dragoni chiazzati di vari colori, e colle squame dorate: il pesce cane guaisce e latra, e tu nelle fauci di lui ghigni al sicuro. Per quanti spettacoli ti venisse fatto di scorgere nella incantata tua reggia, mai non ti si parò dinanzi una calca simile a quella. Nė darti a credere che di gradevoli oggetti vadano povere quelle scene; chè le Nereidi curiose traggono da vicino al magnifico palagio eretto in seno all’eterna freschezza delle acque; le più giovani, timide e salaci sembianti a’ pesci, prudenti le altre: e già Tetide è a giorno di ogni cosa, e sporge al novello Peleo la tornita mano e le coralline sue labbra, e dágli un seggio nella reggia immortale d’Olimpo.

L’Imperatore. Per ciò che riguarda gli spazi aerei, te la passo; imperocchè molto non ci va a levarsi grado a grado fin colassù.

Mefistofele. E la terra? tu l’hai nel pugno, eccelso monarca!

L’Imperatore. Qual rara ventura ti ha qui tratto di balzo dalle Mille e una notte? Se tu agguagli in larghezza Scheherazade, vo’ che sia tuo il più grande fra’ miei favori. Tienti ognor pronto, se mai accada che il mondo monotono mi venga in uggia, siccome intervienmi ad ogni poco.

Il Maresciallo, correndo tutto affannato. Grazioso monarca, non mi passò mai per la mente ch’io avessi in mia vita a riferirti un avvenimento fausto per guisa, che tutto mi fa gongolare, e mi trae fuori [p. 251 modifica]di me. Ogni debito è estinto, ogni polizza ė pagata: noi abbiamo sfamate le ingorde sanne degli usurai, ed eccomi por una volta affrancato da tutti que’ spasimi infernali. Giubilo pari a quello ch’io provo, pensomi trovarsi appena lassù nel cielo.

Il Gran Maestro delle Armi, correndo tutto affannato. Il soldo fu pagato per punto, l’intera armata è presta ingaggiarsi di bel nuovo, i lanzi son là disposti, e l’oste e le fanciulle son tutte allegre e festose.

L’Imperatore. Oh! come il cuore vi si dilata! come si spiana ogni ruga sulle vostre fronti! Or donde avviene l’andar vostro cotanto affrettato?

Il Tesoriere, che sopravviene. Chiedetene a chi operò tutto questo.

Fausto. Al cancelliere s’appartiene il dichiarare ogni cosa.

Il Cancelliere, traendosi a lento passo. Quale ventura per l’età mia avanzata! Io ne morrò ora pago e contento. Ascoltate dunque, e meco allentamente considerate la gran pagina del destino che ogni male in bene tramutava di tratto: (legge) «Sia ad ognuno manifesto che il biglietto presente vale mille corone. E a sicura malleveria vien dato un numero incalcolabile di tesori nel suolo dello impero sepolti. Son già date le necessarie disposizioni perchè una tanta ricchezza, resa omai più che certa, valga ad estinguere il montare di essi biglietti.»

L’Imperatore. Un tale alto mi fa sospettare di qualche enorme reato, di qualche trufferia madornale! Chi fu dunque il temerario che osava [p. 252 modifica]fare le cifre imperiali? Un misfatto di tal natura andrà dunque impunito?

Il Tesoriere. Rammenta, o sire, che tu stesso segnavi il decreto, non più tardi della scorsa notte. Rappresentando tu la persona del gran dio Pane, ci recammo il cancelliere ed io a parlarti in questi termini: «Consacra il tripudio della presente festa, consacra la salvezza pubblica con alcun tratto di penna:» e tu scrivevi allora quanto or ora si è letto. Migliaia di artisti ebbero tantosto le memorande parole riprodotto a migliaia. E acciò potesse il beneficio riuscire incontanente profittevole a chicchessia, fa nostra cura di fare bollare all’istante biglietti da valere quali dieci, quali trenta, quali cinquanta, quali cento. Non puoi figurarti quanto pro ne risulti pel nostro popolo. Mira la tua città, in isfacelo pur dianzi, e presso a dare gli ultimi tratti, vedila risorta tutta quanta da morte a vila, ed ebbra e tripudiante da un capo all’altro! Avvegnachè il tuo nome sia da gran tempo cagione di felicità al mondo intero, non fu mai che venisse con amore sì intenso letto e considerato. Quind’innanzi inutile ci torna l’alfabeto, quelle poche lettere bastando a rendere ogni uomo beato.

L’Imperatore. Consentono dunque i miei sudditi che ciò abbia il valore dell’oro sonante? Mostransi dunque, l’armata e i cortigiani, soddisfatti che sieno con ciò pagati i loro stipendi? Per quanto sia grande in me lo stupore, debbo però lasciare che così proceda la cosa?

Il Maresciallo. Arrogi, che impossibile fora oggimai il rattenere la carta nella precipitosa sua circolazione, [p. 253 modifica]mentre va essa discorrendo colla rattezza del fulmine. Il banco de’ cambiatori è spalancato: e non vi è titubazione veruna a dare per cotali biglietti e oro ed argento, con un po’ di sconto, gli è vero. E di là vassene poi, chi al beccaio, chi al panattiere, e chi all’osteria. Della gente, una metà altro non medita che lauti conviti, mentre l’altra metà con indosso vesti di gala si pavoneggia. Il merciaio taglia; il sarto cuce; il vino zampilla nelle bettole al grido non interroito di: Viva l’Imperatore! i bicchieri spumano, gli spiedi girano, le stoviglie sono in moto perpetuo.

Mefistofele. Chi va passeggiando al solitario in sui terrazzi, s’imballe colla bella infra le belle sfarzosamente azzimata; va ella guardando soltecchi per di sotto a’ trafori del suo ventaglio di piume; ti fa un risolino, ti lancia un’occhiata.... e a’ larghi favori d’amore schiudesi la via più ratto assai che non farebbe forza d’ingegno o prestigio di eloquenza. Non fa più mestieri di borse e di tasche, chè una cartaccia può bene agevolmente riporsi in seno, in buona compagnia co’ biglietti amorosi. Il ministro se la reca con devozione entro il breviario, e il soldato, ond’essere più svelto alle manovre, non è tardo ad alleggerire la sua cintura. Mi sia facile di perdono la Maestà Vostra, se apprezzando l’opera stupenda ne’ suoi più tenui vantaggi, paio qui attenuarla.

Fausto. La pienezza dei tesori, che giace dormente sottesso il suolo de’ tuoi Stati, non dà profitto veruno. L’intelletto più vasto mal saprebbe farsi capace di cosiffatta dovizia; la fantasia ne’ più sublimi suoi voli — checchè si tenti, — non è da ciò; ma gli [p. 254 modifica]Spiriti cui è dato di addentrarsi nel profondo, ben concepiscono per l’infinito una infinita confidenza.

Mefistofele. Una tal cartuccia, in iscambio d’oro e di perle, mette pur bene! Noi sappiamo alla prima il nostro conto, senza tanto pesare o cangiare, e possiamo scialare a ufo colle donnette e col vino. Vuolsi aver poi oro od argento? Un cambiatore è lì pronto sempre; e ove il metallo ci manchi, non si ha che a smuovere un pocolino la terra, porre all’incanto coppe e catenelle, e la carta monetata scompare di tratto in barba a’ miscredenti che ci beffavano insolentemente. Come poi la cosa va pe’ suoi piedi, ad altro più non si pensa; e da oggi in appresso ne’ felici Stati dello Imperatore avrannosi a macca oro, gemme, e biglietti.

L’Imperatore. Voi avete ben meritato del nostro regno, e il guiderdone ha da esser tale, che possibile — il beneficio reso pareggi. Noi vi rendiamo arbitri di quanto lo Stato contiene sotterra; chè indarno si cercherebbe chi più degno fosse di custodire tali tesori. Voi conoscete per punto qual sia nascondiglio più recondito e più basso; facciansi dunque gli scavi pel vostro cenno unico e solo. Stringetevi ora, voi, che donni costituiamo de’ nostri tesori; stringetevi, dico, in perfetto accordo; fate di compiere con zelo a’ doveri del commessovi ministero in cui s’accolgono i mondi esteriori ed interni, dappoichè volle fortuna porvi l’uno all’altro da presso.

Il Tesoriere. Stia lunge da noi ogni lieve ombra di discordia: beato me cui vien dato a collega l’incantatore. (Esce con Fausto.)

L’Imperatore. S’io colmo ora di presenti quanti [p. 255 modifica]son qui a corteggiarmi, dichiari ciascuno qual uso è disposto a farne.

Un Paggio, ricevendo il suo dono. Io vivrommene lieto, contento, e mai più non vo’ sapere che sia mattana.

Un altro, come sopra. Ed io, vo issofatto a comperare per l’amica mia, anella e catenelle di lucido oro.

Un Valletto, come sopra. Io corro su due piè a bere più largo, e del migliore che mi riesca d’avere.

Un altro, come sopra. I dadi mi crocchiano fin d’ora nel taschino.

Un Signore alfere, con circospezione. Io ne vo’ pagare i debiti che gravitano sul mio castello, e sulle mie tenute.

Un altro, come sopra. Cazzica! un tesoro! Io mel vo tosto a sotterrare insieme con altri tesori!

L’Imperatore. Mi dava a credere che avrei trovato in voi cuore e intelletto vaghi di nuovi intraprendimenti; ma chi vi conosce, vi legge dentro senza fatica. Ben ora mi accorgo, che fra le splendidezze e la dovizia, voi rimanete pur sempre quello che per lo avanti già foste.

Il Folle. Poi che siete sul dispensar grazie, non vi spiaccia ch’io altresì ne partecipi.

L’Imperatore. Come mai tu se’ qui, vivo e sano? Sbevendo butteresti via tutto in un attimo!

Il Folle. Que’ vostri portentosi biglietti! Non me n’intend’io gran fatto.

L’Imperatore. Mel credo, da poi che tu ne fai sì tristo uso.

Il Folle. Ed ecco altri ne cadono! Per me non so a che mi sien per valere. [p. 256 modifica]

L’Imperatore. Prendili dunque, questo io ti regalo. (Esce.)

Il Folle. Cinque mila corone in mia mano!

Mefistofele. E per giunta due gambe; eccoti rialzalo un’altra volta!

Il Folle. Il che m’avviene ad ogni poco; non fu mai per altro ch’io stessi tanto bene come adesso.

Mefistofele. Sì grande e intenso è il tuo giubilo, che ne trasudi fino a’ capegli.

Il Folle. Ma, ditemi in grazia, gli è proprio oro codesto?

Mefistofele. Tu n’avrai quanto v’è di leccardo pel tuo ventre e pel tuo gorgozzule.

Il Folle. E posso io comperarmene campi, case, bestiame?

Mefistofele. Ma senza fallo! Non bai che ad offrire, e nulla ti mancherà.

Il Folle. E un castello, entrovi il bosco, il roccolo, e il vivaio?

Mefistofele. Canchero! Caro avrei non poco che tu fossi mio padrone.

Il Folle. Non vo’ che passi la giornata che non m’accolgano in grave sussiego i miei nuovi dominii. (Esce.)

Mefistofele solo. Chi è che dubiti dopo ciò che il nostro Folle abbia cervello e giudizio?