Filocolo/Libro terzo/36

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Libro terzo - Capitolo 36

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Era il pianto e la voce di Fileno sì grande, però che in luogo molto rimoto gli parea essere da non dovere potere essere udito, che un giovane il quale a piè del salvatico monticello passava, sentì quello, e avendovi grandissima compassione, per grande spazio stette ad ascoltare, notando le vere parole di Fileno; ma poi volonteroso di vedere chi sì dolorosamente piangesse, seguendo la dolente voce, si mise per lo inviluppato bosco, e con grandissimo affanno pervenne al luogo ove Fileno piangendo dimorava. Il quale egli nel primo avvento rimirando appena credette uomo, ma poi che egli l’ebbe raffigurato, il vide nel viso divenuto bruno, e gli occhi, rientrati in dentro, appena si vedeano. Ciascuno osso pingeva in fuori la ragrinzata pelle, e i capelli con disordinato rabuffamento occupavano parte del dolente viso, e similmente la barba grande era divenuta rigida e attorta, i vestimenti suoi sordidi e brutti: egli era divenuto quale divenne il misero Erisitone, quando sé, per sé nutricare, cominciò a mangiare. Nullo che veduto l’avesse ne’ tempi della sua prosperità, l’avrebbe per Fileno riconosciuto. Ma poi che il giovane l’ebbe assai riguardato, così gli disse: - O dolente uomo, gl’iddii ti rendano il perduto conforto. Certo il tuo abito e le tue lagrime con le tue voci m’hanno mosso ad avere compassione di te; ma se gl’iddii i tuoi disiderii adempiano, dimmi la cagione del tuo dolore: forse non sanza tuo bene la mi dirai; e ancora mi dì, se ti piace, perché sì solingo luogo hai per poterti dolere eletto -. Maravigliossi Fileno del giovane quando parlare l’udì, e voltatosi verso lui, non dimenticata la preterita cortesia, così gli rispose: - Io non spero già che gl’iddii mi rendano quello che essi m’hanno tolto, perché io i tuoi prieghi adempia: ma però che la dolcezza delle tue parole mi spronano, mi moverò a contentarti del tuo disio. E primieramente ti sia manifesto che per amore io sono concio come tu vedi -; e, appresso questo, tutto ciò che avvenuto gli era particularmente gli narrò. Dopo le quali parole, ancora gli disse: - La cagione per che in sì fatto luogo io sono venuto, è che io voglio sanza impedimento potere piangere. E, appresso, io non voglio essere a’ viventi essemplo d’infinito dolore, ma voglio che infra questi alberi la mia doglia meco si rimanga -. Udito questo, il giovane non poté ritenere le lagrime, ma con lui incominciò dirottamente a piangere, e disse: - Certo la tua effigie e le tue voci mostrano bene che così ti dolga, come tu parli; ma, al mio parere, questa doglia non dovria essere sanza conforto, con ciò sia cosa che persone, che molto l’hanno avuto maggiore che tu non hai, si sono confortate e confortansi -. Disse allora Fileno: - Questo non potrebbe essere: chi è colui che maggior dolore abbia sentito di me? -. - Certo - disse il giovane, - io sono -. - E come? - disse Fileno. A cui il giovane disse: - Io il ti dirò. Non molto lontano di qui, avvegna che vicina sia più assai quella parte alla città di colui i cui ammaestramenti io seguii, e dove tu non molto tempo ci fosti sì come tu di’, era una gentil donna, la quale io sopra tutte le cose del mondo amai e amo: e di lei mi concedette Amore, per lo mio buon servire, ciò che l’amoroso disio cercava. E in questo diletto stetti non lungo tempo, ché la fortuna mi volse in veleno la passata dolcezza, che quando io mi credea più avere la sua benivolenza, e avere acquistato con diverse maniere il suo amore, e io con li miei occhi vidi questa me per un altro avere abandonato, e conobbi manifestamente che ella lungamente con false parole m’avea ingannato, faccendomi vedere che io era solo colui che il suo amore avea. La qual cosa come mi si manifestò, niuno credo che mai simile doglia sentisse com’io sentii: e veramente per quella credetti morire; ma l’utile consiglio della ragione mi rendé alcun conforto, per lo quale io ancora vivo in quello essere che tu mi vedi, ricoprendo il mio dolore con infinta allegrezza. Le cose sono da amare ciascuna secondo la sua natura: quale sarà colui sì poco savio che ami la velenosa cicuta per trarne dolce sugo? Molto meno ha savio colui che una femina amerà con isperanza d’essere solo amato da lei lunga stagione: la loro natura è mobile. Qual uomo sarà che possa ammendare ciò che gl’iddii o li superiori corpi hanno fatto? E però sì come cosa mobile sono da amare, acciò che de’ loro movimenti gli amanti, sì come esse, si possano ridere: e se elle mutano uno per un altro, quelli possa un’altra in luogo di quella mutare. Niuno si dorrà seguendo questo consiglio. Tu, non avendolo seguito, ora per niente piangi: con ciò sia cosa che tu niente abbia perduto, di che ti duoli tu? Sì come tu di’, niente possedesti: e chi non possiede non può perdere; e chi non perde, di che si lamenta? Credesti alcuna volta, per alcuno sguardo fatto a te da quella giovane cui tu ami, che ella t’amasse: hai conosciuto che quello era bugiardo, e che ella non t’ama. Certo di questo ti dovresti tu rallegrare e rendere infinite grazie agl’iddii, che t’hanno aperti gli occhi avanti che tu in maggiore inganno cadessi. Se forse dello essilio che hai piangi, non fai il migliore: ché, pensando al vero, niuno essilio si può avere, con ciò sia cosa che il mondo sia una sola città a tutti. Ove che la fortuna ponga altrui, ella nol può cacciare di quello. In ciascun luogo giunge altrui la morte con finale morso. A’ virtuosi ogni paese è il loro. Lascia questi pianti e leva su, vienne con meco, e virtuosamente pensa di vivere, e metti in oblio la malvagità di quella giovane che a questo partito t’ha condotto: che de’ cieli possa fuoco discendere che igualmente tutte le levi di terra! -. A cui Fileno disse: - Giovane, ben credo che il tuo dolore fu grande, e similmente il tuo animo, poi che con pazienza il poté sostenere; ma io mi sento troppo minore l’animo che la doglia, e però invano ci si balestrano confortevoli parole. Io sono disposto a piangere mentre io vivrò: gl’iddii per me del tuo buon volere ti meritino. Io ti priego per quello amore che tu già più fervente portasti alla tua donna, che non ti sia noia il partirti e ’l lasciarmi con continue lagrime sfogare il mio dolore -. - G l’iddii te ne traggano tosto di cotale vita - disse il giovane. E partitosi da lui, se ne tornò per quella via onde venuto era.