Fior di Sardegna/Capitolo VII

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Capitolo VII

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VII.


Furono loro, Lara e Marco Ferragna, che portarono un po’ di vita e di moto in casa dello zio. Per una settimana rimasero presso la famiglia Mannu; poi, quando [p. 28 modifica]la palazzina fu all’ordine, ed essi vi si stabilirono, aprirono un varco nel muro che divideva i due giardini, per poter più comodamente comunicare. Vivevano quasi sempre insieme; Lara e Marco passavano le serate in casa di don Salvatore, nella vasta stanza da pranzo dalle pareti bianche, dalla credenza nera e la tavola ampia di noce; le serate che ora si erano allungate di due o tre ore: le bambine, appena di ritorno dalla scuola, correvano dalla «grande» cugina, che si divertiva assai con esse, ritornando bambina, per ingannare le ore in cui doveva star lontana da Marco. E come le istruiva! — Maura, Maura specialmente, la grandetta, in pochi mesi, al contatto di Lara, nell’ambiente signorile della palazzina bianca, erasi fatta una perfetta signorina: parlava di musica e di libri, chiamava il raso «satin» e cominciava a ribellarsi alle continue preghiere che donna Margherita pretendeva recitasse. Le altre due, Speranza e Pasqua, troppo piccine ancora, una di cinque e l’altra di sette anni, non capivano un’acca — diceva Maura, ma lei, ma lei!...

Era una bimba strana, Maura; mingherlina, tanto da mostrare otto anni al più, mentre ne aveva dieci o undici, bianca e rosea, la bocca piccola, rossa, gli occhi grandi, oscuri, pensosi, i capelli biondi foltissimi e lunghi, parlava sempre, sempre, sempre; niente la meravigliava, e taceva solo in presenza di sua madre che temeva: e sarebbe diventata una perfetta monella se nata in una famiglia popolana, in cui poco si bada all’educazione dei bambini. — Nelle notti d’inverno, nelle notti del sabato, quando i domestici stavano riuniti intorno al gran fuoco del focolare e narravano fiabe spaventose, mentre fuori urlava il rovaio nella valle e gli alberi gemevano nei boschi del monte, Maura ascoltava intenta, gli occhioni spalancati, splendenti al riflesso della fiamma, senza tremare, mentre le serve e Pasqua e Speranza, rabbrividivano di terrore; e allorchè la fiaba era finita, un sorriso sfiorava il suo bel visino di rosa, uno strano sorriso.

— Sì! sì! — diceva Francesco, ch’era Logudorese, — nelle montagne di Nuoro, sapete, v’è la tomba di un gigante in cui sta chiuso un gran tesoro. Ma nessuno la può aprire, perchè è di granito e si deve «aprire», non [p. 29 modifica]«rompere!... ». E la grotta in cui v’è quell’altro tesoro custodito da una piccola dama che fila e tesse sempre filo e tela d’oro? Ma chi entra in quella grotta deve morir di accidente entro l’anno!

— Ufh! — rispondeva Maura. — io non ci credo! Son tutte bugie come i racconti che raccontate. Bugie! Bugie!... — E benchè Francesco mettesse la mano sul fuoco giurando e spergiurando, essa non ci credeva, — credeva invece alle geniali e forti leggende che narrava Daniele, il servo del Goceano, sul castello di Burgos, e i suoi occhi scintillavano di nuovo, ma il sorriso non sfiorava più il suo viso.

Nelle notti di estate Maura batteva l’orto, correndo all’oscuro e talvolta varcava persino il cancello che dava sui campi, e andava, andava, gridando allegramente, in cerca di grilli e di uccelli dormenti che non trovava mai. — Gesummaria! — diceva Annica, la serva piccola, — non teme i morti, nè le rane, donna Maurella!

— Non si deve temere che Dio! — rispondeva donna Margherita. E lì per lì coglieva l’occasione per spiegare alle serve e alle due bambine, rimaste seco al fresco del pergolato, la grandezza e potenza di Dio. Nella sera rorida e azzurra, mentre le stelle splendevano negli orizzonti di velluto, la voce serena e sommessa di donna Margherita produceva una forte e benefica sensazione nell’anima delle serve ignoranti, però Annica continuava l’indomani a temere i morti e le rane, e Rosa, la serva grande, proseguiva tranquillamente a far l’amore col suo cugino che non si decideva a sposarla mai. Perchè, pensavano, in ciò Dio non ci entrava per nulla.

Venuta Lara, Maura non cercò più grilli nè lucciole, non ci pensò più, perchè un altro pensiero la assorbiva tutta, specialmente di notte. Una domenica chiamò Lara in giardino e le spiegò il suo pensiero.

— Tu hai ragione! — rispose Lara. — E me ne occuperò...

Infatti, la stessa sera, Lara spiegò a donna Margherita come e qualmente fosse un’indecenza mandar vestite in quel modo le bambine.

Non voleva vestirle alla moda? Poco male, ma almeno permettesse loro le stoffe chiare e allegre come la loro [p. 30 modifica]età! Donna Margherita sulle prime niegò il consenso, che Lara le chiedeva, di confezionare essa i nuovi abitini delle piccine; poi cedette.

E vennero su i vestitini azzurri, semplicissimi, ma eleganti e perfettamente «chic», come tutte le altre cose che uscivano di mano di Lara. Fu una vera festa per le bimbe. Maura pareva impazzisse, e quando la mamma non la vedeva, faceva capriole e mandava gridi di una allegria mai provata. Finalmente! Finalmente poteva alzare la testolina bionda ed altera e guardare in viso le compagne di scuola che non l’avrebbero chiamata più la ricca spilorcia! Finalmente!

Il giorno che indossò la nuova teletta e che Lara la portò seco a passeggio, Maura compiè una vera marcia trionfale. Batteva forte il tacco degli stivaletti verniciati sulla polvere dello stradale, mostrando le sue gambe dalle curve elegantissime, mostrando a tutti le sue gambe dalle curve elegantissime, mostrando a tutti le sue manine perchè strette in guanti azzurri, saettando fulmini dagli occhi sulle piccole amiche che incontrava, di cui indovinava la bile e l’invidia. Il suo trionfo sarebbe stato completo se donna Margherita avesse acconsentito a lasciarle porre il cappello. Ma in quanto a ciò, la dama fu inflessibile. No, poi no, e mille volte no!

Nessuna donna dei Mannu, all’infuori di Lara costrettavi dalle usanze di collegio, — diceva così donna Margherita, — aveva portato il cappello! No; bisognava conservare il fazzoletto, conservarlo sinchè, fatte grandi, le figlie di don Salvatore si sarebbero sposate a ricchi avvocati, o medici, o che. Allora sì, il cappello conveniva; ma prima no!

Era questa l’usanza e si doveva seguire! Era troppo se donna Margherita aveva abbandonato il suo eterno ideale di vestire per sempre alla sua moda le figlie. Maura non insistè. Conservò il fazzoletto, pensando che in fine il suo fazzoletto di seta azzurra a fiorami d’argento se ne infischiava di certi cappelli.

Rideva col viso in aria, in modo strano, dicendo ciò. Perchè il cappello di Rosina pareva un fungo; quello di Claretta era probabilmente un cappello della nonna, tutti lo sospettavano, anzi chiamavano Nonnina la Claretta; quello di Maria, poi, e questo si sapeva di certo, era il [p. 31 modifica]cappello rimpicciolito di una zia; e altri... e altri!... Ohè, non la facessero parlare: lei ne sapeva di belle! Lei che ci aveva sì il fazzoletto, ma che nello stesso tempo non cessava di essere figlia di don Salvatore Mannu!