Fior di Sardegna/Capitolo XXVI

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Capitolo XXVI

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XXVI.


— Come è scosceso il villaggio di O***! — riprese Lara. — Se si guarda in su, le montagne alte e bianche abbagliano gli occhi, — se si guarda in giù le casette piccole piccole, nere, quasi rovinate, fanno rabbrividire. Io non so come ci si possa vivere!

— Nel mio villaggio, — disse Peppa, chiudendo gli occhi e sorridendo al dolce ricordo del suo pittoresco e simpatico paesello lontano, — nel mio villaggio posto in cima dei monti soffia sempre il vento nel cielo limpido; si vede il mare in lontananza, e... e... oh, come è bello Orusse! — conchiuse non trovando parole per narrarne le meraviglie.

A Bastiano una volta un Logudorese aveva narrato storie spaventose, orribili leggende riguardanti il forte e alto villaggio di Peppa, storie di inimicizie, di tragedie, di fantasmi e di delitti che spesso rinfacciava alla servotta nei loro alterchi; ma quella sera glieli risparmiò, e meglio si accinse a narrare le glorie del suo villaggio di Barbagia, mite, sconosciuto e silenzioso all’ombra dei castagni e degli alti monti nevosi.

— Nel mio paese... — cominciò, e Peppa tosto lo interruppe chiedendo:

— Ci sono signori nel tuo villaggio?... —

— Eh, sicuro! Non sono nativi però. C’è il segretario [p. 116 modifica]comunale, il maestro di scuola, il medico condotto e... due preti.

— Nel mio villaggio, formato di quattro vicinati assai distanti fra loro, le case sono tanto grandi, che vengono del tutto coperte dai noci, noccioli e castagni piantati davanti ad esse.

— Allorchè ferve la raccolta di questi frutti, i tetti ne vengono coperti interamente; in questo mese poi, se soffia il vento nel mio villaggio, non piove acqua, ma castagne. Da noi si vive di castagne come in certi villaggi di fichi d’India. I castagni coprono grandi distese e la raccolta è permessa a tutti. Povere donne! Rimangono giorni interi raccogliendo castagne, che trasportano ad immense distanze e gettano in specie di pozzi, entro i quali si conservano fresche per tutto l’anno. Da noi il pane è quasi sconosciuto pei poveri che vivono tutto l’inverno esclusivamente di castagne e di noci. Chi ha la fortuna di possedere un cavallo trasporta questi frutti sino al Logudoro e al Campidano e li vende o li scambia con grano, legumi, olio od altro. Questi poveri commercianti varcano montagne orribili, pianure, valli, torrenti, quasi sempre a piedi, essendo il cavallino già troppo carico; la fatica, il freddo, le privazioni li fanno soffrire assai, ma il pensiero di recare qualche soldo alla famiglia li rende pazienti e quasi allegri. Per ripararsi dal freddo, indossano strani calzoni di saia giallastra e bizzarri mantelli di albagio nero, corti dietro e lunghissimi davanti. — Un’altra industria del mio villaggio è la fabbrica di arnesi di legno di castagno, che trasportano anche per tutta la Sardegna: cucchiai, forchette, taglieri, paletti, mestole e cento altre cose. Vi è la scuola pubblica perciò: tutti coloro che vogliono apprendere o insegnare quell’arte si riuniscono ad una loggia che li ripara dal sole o dal freddo, e gli scolari pagano cinquanta centesimi il mese ai maestri!...

— Libri e giornali non ne conoscono dunque?

— Ma che! Sono forse cose necessarie alla vita? La zappa, la scure, l’ascia, il fuso... ecco ciò che occorre. Le ragazze del mio villaggio non li sognano neanche i libri! Quando qualcuno ritorna dal fare il soldato e narra [p. 117 modifica]le meraviglie del continente, lo prendono per un gran fanfarone.

— Che ignoranti! Pure scommetto che sono felici! — esclamò Lara con un sorriso di tristezza e di disprezzo.

— Altro! Bianche, rosse, grosse, esse ridono sempre!

— Beate! — fece Peppa con ironia, pensando che al loro confronto lei era istruitissima.

Lara chinò la testa: il suo viso, a misura che la notte si avanzava, diventava sempre più bianco, stirato e l’espressione dei suoi occhi più triste e sconfortante.

Si udì una voce che chiamava dall’interno della casa:

— Peppa! Peppa! — La ragazza si alzò e sparì rapida come un fulmine: Lara restò sola col servo nella loggia nera illuminata dal fuoco. Il vento era cessato del tutto e in lontananza s’udivano già le tristi voci di una serenata, perchè, benché fosse il giorno dei morti, i vivi pensavano lo stesso a divertirsi. Bastiano sospirò e disse stirando le braccia:

— Eh, ora mi piacerebbe andare in giro.

— Davvero? — chiese Lara con un sorriso negli occhi. — Purché tu mi faccia un favore, ti fo concedere il permesso di uscire fino alle nove...

— Cento favori, donna Lara! E poi non sono il suo servo?

— Sì — disse Lara guardandosi attorno e abbassando la voce. — Ma mi giuri di farlo e di non parlarne?

— Mi getterei sul fuoco per lei! — rispose Bastiano, curioso di sapere e commosso dalla speranza di due ore di libertà notturna, esponendo infatti la sua manaccia alla fiamma.

— Non tanto, non tanto, Bastiano!

— Di che si tratta? — domandò il servo con voce sommessa.

— Ma giuri?...

— Sulla memoria di mia madre, giuro di fare ciò che lei vuole!

La fanciulla sorrise di questo giuramento troppo arrischiato, poi trasse di tasca una letterina bianca dall'elegante soprascritta e la porse a Bastiano mormorando:

— Ecco cos'è! La metterai stasera stessa alla posta. Bada che nessuno ti veda! — Bastiano fece un gesto di [p. 118 modifica]meraviglia: era questo il gran segreto? Prese la lettera e la nascose in tasca; un nido davvero poco profumato ma sicuro, e mentre Lara rientrava per chiedere a donna Margherita il permesso di lasciarlo uscire, egli pensava:

— A chi sarà mai? Ah, se sapessi leggere!...

· · · · · · · · · · · · · · ·

Da un mese e mezzo Lara e Massimo si vedevano ogni tre notti al cancello dell’orto che dava sui campi. Si esponevano così ai più gravi pericoli del mondo, ma non se ne davano pensiero, credendo che le tenebre bastassero a sviare qualunque disgrazia possibile. Quante volte non si è detto che l’amore è bendato? — Su Lara e Massimo gravava un odio di sangue, e la scoperta del loro segreto li esponeva magari ad un colpo di fucile o di pugnale, ma loro, benchè lo sapessero, non vi meditavano molto sopra, sicuri che una grande e splendida stella li proteggeva su, dal cielo dei monti fra cui eransi scambiato il primo bacio.

Si vedevano dunque ogni tre notti; due parole, tre baci, una lettera data e una ricevuta, all’ombra del vecchio cancello nero, e via; cinque minuti in tutto. Lara trovava il modo di uscire sempre senza essere vista e di rientrare lo stesso; trovava la maniera di scrivere lunghe lettere a Massimo, manifestandogli tutti i suoi pensieri, le sue azioni, i suoi dispiaceri, i sogni, i desiderii, i sorrisi e le lagrime, senza che nessuno se ne accorgesse, e riponeva tutta la felicità e la sua vita in quei brevi istanti di paradiso in cui vedeva o piuttosto sentiva il giovine, in cui il suo bacio ardente le ricompensava le ore di veglia, di febbre e di pianto.

Ai primi tempi Lara erasi formata un lieve scrupolo sui baci di Massimo; perchè infine, pensava, non era da fanciulla onesta lasciarsi baciare e stringere al seno da un uomo, per quanto lo si ami, là, davanti alla sua casa dove sua madre viveva tranquilla, credendo la figlia un esemplare di purezza e di virtù, là, sotto il cielo sereno da cui Iddio guardava coi suoi occhi vigili e severi; ma lentamente questo scrupolo erasi dileguato. Massimo era il suo fidanzato, per la vita e per la morte; lei gli apparteneva interamente, decisa di morire prima di [p. 119 modifica]diventare di altri, prima di dedicare un solo pensiero ad altr’uomo della terra; dunque non esisteva peccato nei loro baci puri come i baci degli angeli, in quei baci ch’erano l’unica loro felicità, il solo refrigerio di tante e sì lunghe ore di tristezza e forse anche di disperazione. Sicchè Lara finì col ricevere a fronte alta i baci del giovine, quasi tributo di tre eterni giorni di attesa e di melanconia; però non lo baciava mai per la prima, mai!

Ogni giorno che passava accresceva il loro amore immenso, puro come il giglio fatto ardente dai raggi del sole di giugno, e il mistero profondo con cui dovevano velarlo non faceva che rendere più intensa e grande la fiamma.

Senza dubbio Massimo adorava la piccola fanciulla con tutta l’anima sua, ma Lara lo amava ancora di più. Ogni palpito, ogni pensiero veniva letteralmente consacrato a lui; lo seguiva passo passo col volo della sua fantasia, lo vedeva assidersele accanto nelle ore di solitudine o quando la febbre la costringeva a vegliare intere notti, e allora gli parlava, sorridendogli dolcemente, trovando per lui frasi d’amore che avrebbero fatto onore al più grande poeta innamorato, e nei giorni in cui doveva rivederlo viveva in un’ansia continua cagionata dalla paura di non poter recarsi al convegno, o di essere scoperti, e dalla gioia febbrile di rivederlo. Contava le ore, i minuti, aspettava tremando l’istante preciso di uscire, e appena si trovava fra le braccia di Massimo, stretta fortemente al suo cuore balzante, non trovava più le belle frasi preparate, non sapeva dir nulla e tremava e sorrideva e scordava ogni angoscia, ogni lagrima, provando una voluttà sovrumana allorchè le loro labbra s’univano e i loro occhi si fissavano al chiarore incerto dalle stelle o della luna vagante fra le nuvole dell’autunno.

Poi rientrava barcollando, chiedendosi se tutto ciò non fosse un sogno; le lettere di Massimo le assicuravano il contrario. Lara leggeva e rileggeva quelle lettere, baciandole e spesso bagnandole di lagrime; erano lettere lunghe, ardenti, spiranti il profumo di un amore pazzo e delirante; ma, come il nuovo amore di lei non rassomigliava per nulla al primo, così le lettere di Massimo non [p. 120 modifica]avevano nulla che vedere con quelle di Nunzio. — Chi scrive queste pagine ha letto attentamente la corrispondenza scritta con qualche eleganza e con molta schiettezza, ed appoggiandosi all’impressione ricevuta da quella lettura osa assicurarvi essere l’amore di Lara e di Massimo forse uno dei più forti amori nati sotto il cielo ardente dell’appassionata Sardegna.

Lara se ne convinse una sera di ottobre, in cui Massimo mancò per la prima volta al convegno. Pioveva e soffiava il vento gelido di tramontana; pure la fanciulla rimase al cancello per quasi mezz’ora aspettando, ma invano. Rientrò tutta bagnata, tremante di freddo, gli occhi spauriti e il viso orribilmente pallido. Perchè non era venuto? Mille confusi pensieri le turbinarono nella mente per tutta la notte, mille paure, mille supposizioni, fra le quali la più orribile quella che il giovane avesse finito di amarla. Il vento che urlava fuori sbattendo la pioggia ai vetri della camera di Lara pareva avesse infernali sogghigni, voci lamentevoli che dicevano: — Massimo non t’ama più! Massimo non verrà più! - Lara ascoltava, credeva e piangeva dirottamente col seno contorto da spasmodici singhiozzi, ma l’urlo della procella copriva i suoi gemiti e il guanciale ardente beveva le sue lagrime. Fu un’orrenda notte, e triste il giorno dopo e tristissimi i giorni che seguirono, eguali, lenti, monotoni, plumbei fra la gialla tristezza dell’autunno che si inoltrava.

Invano Lara si recava ogni notte al cancello; Massimo non ritornava! Intanto don Salvatore aveva annunziato un suo prossimo viaggio ad un villaggio lontano, onde si sarebbe assentato da X*** due giorni e una notte. Era una splendida occasione per vedersi a lungo, Lara e Massimo, forse per l’intera notte; ma come avvertire il giovane, dato il caso che il timore della sua dimenticanza fosse davvero infondato?

La sera del due novembre le venne in mente l’idea di scrivergli per la posta, pregandolo di recarsi la notte del tre al cancello.

Bastiano impostò la letterina, senza sospettare neanche per sogno a chi fosse diretta, e la notte dopo Massimo e Lara si rividero. [p. 121 modifica]

— Finalmente! — esclamò Lara.

— Finalmente! — rispose lui stringendola al suo cuore.

— Perchè non sei più venuto?

— L’ultima notte, — disse Massimo, — un uomo mi vide uscire di qui e mi seguì per un tratto; non lo conobbi, ma son certo ch’era un contadino. Per prudenza non ritornai più...

— Ti avrà conosciuto?

— Non so; forse no, perchè anch’io non lo conobbi.

— Se sapessi come ho sofferto! Credevo che tu mi avessi scordato!

— Pazzarella!... — esclamò Massimo. E il bacio che le diede, la convinse del grande errore in cui era caduta.

— Mi hai scritto?

— Sì, e tu?

— Anch’io!

Si ricambiarono le lettere e si divisero. Nella sua Lara avvertiva Massimo dell’assenza del padre e gli indicava la notte in cui si sarebbero veduti a lungo senza pericolo.

Quanto a quella del giovine, finì col far tornare il sorriso sulle labbra scolorate di Lara, che dimenticò interamente quei quindici giorni d’inferno in attesa della prossima notte di paradiso.