Fisiologia vegetale (Cantoni)/Capitolo 28

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§ 28 - Ufficio dell’acido carbonico nella germinazione e nel germogliamento

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§ 28 - Ufficio dell’acido carbonico nella germinazione e nel germogliamento
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§ 28. — Ufficio dell’acido carbonico nella germinazione e nel germogliamento.


Ammesso quindi che le foglie non decompongano l’acido carbonico, ma lo trasmettano ai succhiatoj allo scopo d’intaccare ed assimilare i materiali terrestri, e che questi ordinariamente non si trovino mai previamente disciolti e liberi nel terreno, in modo da essere assorbiti dalle radici funzionanti quali spugne, osserviamo se le cognizioni fisiologiche già accolte da tutti, e se i fenomeni che ci presenta la natura valgano a [p. 134 modifica]confermarci in questa opinione. Esaminiamo un vegetale dall’epoca del suo primo sviluppo fino al deperimento, a fine di rintracciare sperimentalmente l’ufficio dell’acido carbonico durante l’intiera vita vegetale.

Cominciamo dai primi istanti della vita vegetale, cioè dalla Germinazione. Quest’epoca germinativa fisiologicamente comprende tutto quel tempo in cui l’embrione vegetale vive a spese della propria massa cotiledonare, appunto come l’embrione animale, nei primi momenti del proprio sviluppo, vive a spese delle materie dell’uovo che lo contiene. — Che cosa adunque fornisce la massa cotiledonare all’embrione durante la germinazione? — La massa cotiledonare d’ogni seme può considerarsi un’agglomerazione di tessuto cellulare o di amido, la cui composizione è rappresentata da C12H10O10. Questa formola, assoggettata artificialmente o naturalmente all’azione dell’umidità, del calore e d’una specie d’ossidazione pel concorso dell’aria o di un acido, comincia coll’assorbire acqua e combinarvisi, convertendosi in C12H12O12, rappresentante una materia zuccherina la quale, per la continuazione del processo, si scompone dando luogo a due diversi prodotti, cioè a 4 CO2 + 2 C4H6O2. Il primitivo equivalente di tessuto cellulare, coll’essersi combinato a due equivalenti d’acqua, s’è cangiato in destrina e zucchero, indi per scomposizione diede luogo allo sviluppo di quattro equivalenti d’acido carbonico, e due di alcool, costituendo la così detta fermentazione alcoolica. Nella fermentazione alcoolica dell’amido, o dello zuccaro non accompagnata da processo vegetativo, lo sviluppo d’acido carbonico è accompagnato da un deposito di tartrati di calce o di potassa, il quale non ha luogo in concorso della vegetazione. Un tal fenomeno ci spiega come l’acido carbonico sia il veicolo che sciolga ed accompagni quelle basi alcaline (calce e potassa) nell’organismo vegetale, [p. 135 modifica]segnatamente ove sia formazione amilacea; c’indica che la fermentazione in concorso del processo vegetativo, non lasciando deposito di tartrati, converte quelle basi alla composizione del nuovo organismo vegetale; ci spiega come, durante l’assimilazione, possa esservi un’eliminazione d’acido carbonico, quale uno dei principali elementi costitutivi degli acidi vegetali che salificano quelle basi alcaline; e spiegherebbersi finalmente alcuni depositi che succedono nell’acqua entro la quale peschino le radicette de’ semi germinanti senza il concorso del terreno.

Nella germinazione naturale, come nell’artificiale che si fa, per esempio, allo scopo di fabbricare la birra, i risultati sono identici, e sono accompagnati dagli identici fenomeni, cioè sviluppo di calore e svolgimento di acido carbonico, riconoscibile pei caratteri speciali a quest’acido. Fuorchè, nella germinazione naturale l’aumento di temperatura, ed il sensibile sviluppo d’acido carbonico, non è riconoscibile se non quando si riuniscano molti semi a germinare nello stesso spazio. E qui è da avvertire che il calore e la presenza dell’acido carbonico sono evidenti sol quando il seme germini col semplice sussidio dell’acqua e dell’opportuna temperatura senza alcun intervento di materiali terrestri.

A che servono i prodotti della scomposizione della massa cotiledonare nell’epoca germinativa? — La germinazione abbisogna di acido carbonico atmosferico per la formazione della propria sostanza, o per elaborare i materiali della propria massa cotiledonare?

Un seme munito di massa cotiledonare, già lo dissi, rappresenta esattamente un uovo d’un animale oviparo, cioè d’un animale le cui uova si sviluppano all’esterno, e senza alcun legame col di lui corpo. Tanto un uovo animale, quanto un uovo vegetale, possono essere incubati artificialmente coll’intervento dell’aria o [p. 136 modifica]dell’ossigeno, e per mezzo dell’opportuno grado di temperatura ed umidità, accompagnato dall’oscurità o da luce poco intensa. Nell’embrione animale e nell’embrione vegetale, trovasi quella sostanza che, nelle opportune condizioni d’incubamento, riceve il primo impulso vitale od alterazione, per la quale viene mano mano convertita a suo prò tutta la sostanza dell’uovo o della massa cotiledonare. La massa cotiledonare serve adunque a mantenere l’embrione nei primi momenti della vita, convertendo in fusticino, fogliette e radicette le proprie sostanze organiche ed inorganiche, per mezzo delle annunciate chimiche modificazioni; è un alimento di scorta per l’embrione, finchè non abbia foglie o non trovi terreno da elaborare.

Quando si pongano a germinare, senza il concorso del terreno, più semi della stessa specie, o di composizione chimica pressochè identica, avviene che quelli i quali non possono germinare, per qualche condizione sfavorevole, servono di alimento alle radici dei semi germinati, come risulta dai qui uniti esperimenti del dottor Augusto Trinchinetti, inseriti in una Memoria premiata dall’Istituto Lombardo nel 1843, e riportati dal Cossa.

Mise su di un piatto di porcellana uno strato di lenti alto tre linee circa e tenuto sempre umettato con acqua; dopo pochi giorni alcune lenti germinarono e dopo breve tempo i loro fusti acquistarono l’altezza di un mezzo piede. Dopo tre settimane osservò che molte lenti non germinate erano putrefatte e che tra queste alcune erano attaccate alle radici di altre lenti. Facendo bene attenzione come vi stassero unite scorse che le radicette vi serpeggiavano sopra e mandavano dei piccoli prolungamenti laterali che penetravano nel parenchima corrotto nei punti ove trovavano qualche soluzione di continuità nell’involucro seminale, rilevando anche che le lenti penetrate erano quasi tutte più piccole delle altre. Successivamente in un vaso ove crescevano due pianticelle di zinnia rosea pose molti semi di veccia [p. 137 modifica](vicia sativa). Dopo un po’ di tempo trovò che alcune radici della zinnia avevano attaccato al loro apice taluni tra i semi di veccia nei quali, quantunque si fosse conservato l'involucro esterno e la forma loro propria, pure nel loro interno invece del perisperma v’era solamente poca materia terrosa; mentre il perisperma degli altri semi non tocchi dalle radici sebbene fossero nelle medesime circostanze dei primi, tuttavia era pochissimo o punto alterato.

Ad un seme germinante fuori terra pungete o togliete in parte od in totalità la massa cotiledonare, ed avrete alterato il decorso di questo primo stadio della vita vegetale; e vedrete la pianticella perire tanto più presto quanto maggiore sia stata l’alterazione o la diminuzione della massa cotiledonare. Finalmente, quando un seme germina col solo intervento dell’umidità, del calore e dell’ossigeno, senza il concorso del terreno, ogni fenomeno vegetativo cessa allorquando sia intieramente consumata la materia cotiledonare.

Fenomeni degni per noi d’attenzione, e che possono constatarsi durante l’epoca fisiologica di germinazione, sono i seguenti:

La germinazione non abbisogna di acido carbonico atmosferico, perchè può continuare a spese della massa cotiledonare senza intervento de’ materiali terrestri, cioè senza il bisogno di elaborarli. La germinazione non abbisogna d’acido carbonico, perchè può aver luogo nel l’oscurità ove non ne è possibile l’assimilazione, quand’anche l’embrione abbia di già discretamente sviluppate le foglie; e può continuare nell’oscurità finchè vi sia massa cotiledonare da elaborare. Le foglie possono rimaner biancastre, senza che venga sospeso il processo germinativo, laddove se ad un tratto imbianchissero le foglie durante il germogliamento, se ne sospenderebbe il progresso. Le foglie bianche non assorbono acido carbonico, e per conseguenza non servono alla vegetazione; ma non si [p. 138 modifica]oppongono alla germinazione la quale ha in sè tutti gli elementi necessarij di sviluppo. L’acido carbonico sviluppato dall’alterazione di questa, certamente non serve tutto ad elaborare la massa cotiledonare, poichè le radicette ne emettono in buona quantità. Per accertarsi di questo fenomeno basta far germinare dei semi sotto una campana capovolta sul mercurio: dopo alcun tempo l’aria si trova contenere una quantità maggiore d’acido carbonico.

Noi finora abbiamo considerata la germinazione senza il concorso del terreno: ma quando avviene nelle normali condizioni, cioè in contatto de’ materiali terrestri, mostra alcune differenze, nè più si possono distinguere le due epoche fisiologiche di germinazione e di germogliamento. L’epoca di germogliamento ha principio nel momento in cui l’embrione, abbastanza sviluppato nelle prime fogliette e radicette, trovandosi nel terreno, comincia ad elaborarne i materiali, manifestando un’azione propria. Da questo istante il nuovo vegetale cessa d’essere embrione, ed acquista il grado di pianta; rappresenta insomma il pulcino uscito dall’uovo.

Berti-Pichat chiama germogliamento il primo stadio che io dissi germinazione, e sviluppamento germinativo il secondo da me detto germogliamento. Io non posso adottare le denominazioni di quell’autore, per non togliere alla parola germoglio il significato attribuitogli durante la vegetazione.

Dissi che la germinazione quando avviene nel terreno non può essere distinta precisamente poichè, quando l’embrione, sviluppate le foglie, comincia ad elaborare i materiali terrestri colle proprie radicette, cessa il consumo della massa cotiledonare, rimanendone una porzione tanto maggiore quanto più presto incominciò a nutrirsi con materiali esterni.

A che serviva dunque lo svolgimento e l’emissione [p. 139 modifica]d’acido carbonico dalle radici durante la germinazione? — Perchè la massa cotiledonare che lo forniva cessò di scomporsi, allorchè le foglie della novella pianta cominciarono a funzionare sull’acido carbonico atmosferico? La massa cotiledonare cessa forse di fornir acido carbonico perchè, quando le foglie cominciano la propria funzione di respirazione, sia cessato il bisogno d’emettere acido carbonico dalle radici? Oppure le foglie sostituiscono la funzione della massa cotiledonare, quella cioè di somministrare acido carbonico alle radici? Un legame deve necessariamente esistere fra l’ufficio della massa cotiledonare e quello delle foglie.

Il fenomeno che ci presenta un seme, od embrione munito di massa cotiledonare, ce lo presentano anche gli altri embrioni, sebbene non sieno frutto della fecondazione. Tali noi dobbiamo considerare i bulbi, le gemme delle talee, degli innesti, delle radici carnose, e quelle dei tuberi nel secondo anno o stadio di loro vegetazione.

I bulbi dei giacinti, cipolle, e d’altre piante consimili, fatti vegetare nell’acqua, dopo d’aver portato quanto potevano di stelo o di fiori, in seguito deperiscono affatto, e scemano di tanto peso quanto è quello rappresentato dalla produzione di stelo, foglie o fiori. Insomma tutto quanto si è formato colla nuova vegetazione si è formato a spese delle loro scaglie, le quali fecero l’ufficio di massa cotiledonare. Se all’incontro fate vegetare gli stessi bulbi nel terreno, ad eccezione d’una prima diminuzione nella massa delle scaglie che dura solo fin quando siansi sviluppate le radici, vedete che quel bulbo aumenta di volume e di peso per l’aggregazione di nuove gemme o bulbi minori.

Nè diversamente si comportano le radici carnose nelle due differenti condizioni, cioè quando vi sia il concorso del terreno, e quando vi sia soltanto quello dell’umidità. (Vedi § 19 Sperienze del Risler). [p. 140 modifica]

Le gemme degli innesti ad occhio, e quelle delle marze, delle talee, ecc., mostrano anche esse il bisogno di una sostanza che tenga l’ufficio della massa cotiledonare, cioè che loro fornisca alimento finchè non sono in grado di procurarselo colle proprie forze.

La gemma dell’innesto ad occhio è quella che ne abbisogna di meno, poichè l’embrione trova nelle stesse scaglie della gemma un sufficiente alimento per quei pochi giorni che passano dalla sua applicazione sull’alburno sino al momento in cui, mettendo in quello le proprie radici, si nutre coi sughi assorbiti dal soggetto (§ 36).

Le gemme delle marze per gli innesti a spacco ed a corona, abbisognano pure d’essere munite d’una certa quantità di legno, che adempia l’ufficio di massa cotiledonare per un tempo più lungo di quel che lo potrebbero fare le sole scaglie delle gemme, poichè meno pronta è la loro unione col legno del soggetto.

Le gemme poi delle talee che si pongono in terra, quanto più difficilmente, per loro natura, possono mandarfuori le radici, abbisognano d’altrettanta maggior quantità di legno, acciò vivano a di lui spese finchè quelle non siansi pronunciate.

In tutto il tempo che precede la formazione delle radici, e che può dirsi epoca di germinazione, sia nei bulbi, che nelle radici carnose, e nelle gemme isolate o munite di legno, o d’una massa tuberosa, non vi è bisogno del concorso dell’acido carbonico atmosferico. Per miglior intelligenza, osserviamo cosa avvenga in un tubero di pomo terra, che noi possiamo considerare siccome un certo numero di gemme od embrioni, impiantati entro una massa tuberosa amilacea, affatto simile ad una massa cotiledonare.

Un pomo di terra allo stato normale contiene tanta quantità d’acqua che basta ai fenomeni di prima [p. 141 modifica]vegetazione senza sussidio d’altra umidità artificialmente aggiunta. Collochiamo un pomo di terra in luogo oscuro e dove non trovi alimento alcuno; un secondo sia pure collocato nell’oscurità, ma nel terreno; un terzo alla luce, senza terreno; ed un quarto nelle ordinarie condizioni di coltivazione.

Il primo, quando vi concorra l’opportuno grado di calore, ingrosserà e svilupperà le proprie gemme; queste si allungheranno svolgendo molti prolungamenti laterali, i quali, ad eccezione del centrale, nel primo loro presentarsi non si saprebbe bene distinguere se siano destinati ad essere ramificazioni secondarie aeree (steli), o ramificazioni sotterranee (radici). Dopo un certo tempo dal loro sviluppo, anche quei prolungamenti che sorgono alla base di ciascuna gemma, e che evidentemente dovrebbero convertirsi in radici quando fossero nel terreno, non trovandone, mostrano anch’essi di farsi veri steli. Il prolungamento delle gemme continua, e nell’egual tempo il tubero si avvizzisce e scema proporzionatamente di volume. Il color verde manca completamente, e sebbene la massa del tubero possa convertirsi in totalità ad aumentare i prolungamenti, sui quali spesso si riscontrano tracce di piccoli tuberi, pure, finchè la cosa succede nell’oscurità, le foglie si conservano allo stato rudimentale, o si spiegano pochissimo, conservando una tinta biancastra tendente al roseo. Elaborata finalmente tutta la massa cotiledonare, la pianta cessa dall’aumentare, e la traspirazione, per debole che possa essere, lascerà, dopo alcun tempo, il tubero appassito, disseccato e morto. Oppure, se l’umidità esterna non permise la traspirazione, compiuta la fermentazione alcoolica del tubero, essa passerà lentamente alla putrida, ed il tutto si scomporrà e si coprirà di muffe.

Il secondo tubero, posto nell’oscurità ma nel terreno, si munirà di radici, avrà foglie alquanto più pronunciate, [p. 142 modifica]conserverà nella propria massa o nella vegetazione delle sue gemme una maggior vigoria, con un color biancastro tendente al verdastro; la durata della vegetazione sarà maggiore, e vi si riscontrerà un leggier aumento di materiali. Ciononpertanto, esaurita la massa cotiledonare, cesserà parimenti ogni fenomeno vegetativo, e si avranno gli stessi fenomeni di deperimento.

Il terzo tubero, esposto alla luce, senza terra, ma nell’opportunità di sviluppare le proprie gemme, darà germogli più pronti, meno acquosi, per una maggior traspirazione; bianchi dapprima, indi verdeggianti; tutti tendenti a svolgersi in germogli aerei, muniti di foglie abbastanza pronunciate. Finalmente, consumata la massa cotiledonare, esso pure subirà il deperimento soprannotato, senza alcun aumento di materiali.

L’ultimo, posto nelle ordinarie condizioni, dapprincipio, come nel seme, convertirà parte della propria sostanza allo sviluppo primo dell’embrione, delle prime foglie e delle prime radici; ma, sviluppate queste, cesserà di vuotarsi. Infatti non è raro il trovare al momento del raccolto quasi ancora intatti i tuberi che servirono all’impianto. Sol quando il terreno fosse estremamente secco, non potendo la vegetazione continuare col normale solvente acquoso del terreno, progredisce o torna a mantenersi a spese del tubero, che ancora ha conservato la propria umidità. Questa è una fra le cagioni che il pomo di terra mostra soffrire poco la siccità estiva. — Finalmente, la vegetazione di questo quarto tubero, continuerà sino al termine della vita annuale, cioè sino alla maturazione del frutto, o continuerà finchè la temperatura lo permette, avendo sempre aumentato i materiali che costituivano gli steli, le radici, i tuberi, ecc. Se adunque la scomposizione della massa cotiledonare cessa appena che, trovandosi la pianticella nelle normali condizioni, abbia le foglie sviluppate. Se la prima [p. 143 modifica]germinazione può far senza dell’assimilazione dell’acido carbonico atmosferico, finchè vi sia massa cotiledonare incaricata a fornirlo. Se nel terreno, senza il concorso della luce, la vegetazione non può continuare, cioè non ha luogo il germogliamento dopo l’intiera consumazione della massa cotiledonare, poichè senza luce non vi ha assorbimento d’acido carbonico. Se il consumo della massa cotiledonare cessa allorquando, nelle opportune condizioni di luce e di terreno, siavi assorbimento d’acido carbonico per parte delle foglie. Se l’assimilazione dell’acido carbonico atmosferico è indispensabile al germogliamento quando sia consumata la massa cotiledonare, è supponibile che l’ufficio delle foglie sia identico a quello della massa cotiledonare, sia quello cioè di trasmettere acido carbonico alle radici. Probabilmente la massa cotiledonare funziona come la placenta negli animali vivipari, fornendo al nuovo essere un sangue arterioso bello e formato senza sussidio d’una propria respirazione: incominciata la quale, all’uscire dell’alvo materno, l’animale abbisogna ed è capace di elaborare il nutrimento colle proprie forze, onde riparare ed aumentare il proprio organismo. Negli animali, i polmoni sostituiscono la placenta; ne’ vegetali, le foglie sostituiscono la massa cotiledonare.

Vediamo ora che avvenga in una pianta che più non abbia massa cotiledonare da elaborare, quando si metta in condizioni tali che più non vi sia assorbimento d’acido carbonico, sia togliendo il concorso della luce, sia togliendo le foglie mano mano che si mostrano.

Nel caso che avessimo collocata una pianta nell’oscurità, cui però non manchino le altre condizioni di terreno, umidità e calore, vedremo che le foglie esistenti andranno mano mano perdendo il color verde; che le nuove, svolgentesi dal germoglio in corso di vegetazione resteranno bianche e più piccole delle altre; e finalmente [p. 144 modifica]dopo un tempo più o men lungo, la pianta perirà. La nutrizione cessò appena che le foglie si trovarono nella oscurità, e quel meschino successivo sviluppo di germogli, avvenne, come nella germinazione, a spese dei materiali già esistenti nella pianta. L’oscurità avendo impedita la funzione delle foglie, non ha impedito l’assorbimento dell’umidità per parte delle radici, ma non vi ebbe più assimilazione di materiali.

Ora, invece di impedire la funzione delle foglie per mezzo dell’oscurità, toglietele, e lasciate la pianta nelle condizioni normali. Mano, mano che toglierete foglie, le gemme procureranno di fornirne di nuove, ma tolte anche queste subito che si mostrano, sebbene continui l’assorbimento dell’umidità terrestre, la pianta dovrà inesorabilmente perire, non potendo per mancanza di foglie elaborare nè i materiali terrestri, né i proprii.

Insomma, l’epoca di germinazione in senso fisiologico, sia d’un seme quanto d’un germe od embrione qualunque, sia d’una pianta che non potendo respirare non possa elaborare materiali fuori del proprio organismo, è da rassomigliarsi all’epoca letargica d’un animale, durante la quale consuma la propria sostanza. Terminata l’epoca di germinazione, quando la pianta venga disturbata nella funzione respiratoria, può rassomigliarsi ad un individuo che, come già si disse al § 7, impedito di respirare normalmente non può neppure nutrirsi normalmente; o che mancando d’alimento, la di lui respirazione vada in parte a consumare le sostanze proprie, come succede negli infermi, nei vecchi, od in quelli cui si presti una insufficiente alimentazione. Nè qui voglio ripetere quanto già dissi nel suddetto paragrafo, sulla relazione strettissima che, tanto negli animali quanto nei vegetali, esiste fra l’elemento assorbito dai polmoni o dalle foglie, e la quantità di nutrimento elaborato ed assimilato. Solo esporrò alcune applicazioni pratiche di [p. 145 modifica] questi principii, cioè che le piante non assimilano materiali terrestri se non quando hanno foglie verdi e radici intatte (ammesse le altre condizioni di temperatura e di umidità); e che spesso preparano in sè i materiali destinati al completo sviluppo, o normale costituzione di alcune loro parti ultime a mostrarsi, qual’è il seme, allorquando la vegetazione, od il germogliamento della pianta, cessi durante la formazione del frutto. Questi materiali, nelle piante, sono disposti in guisa da essere trasmessi alla parte cui devono andare, sebbene levate dal suolo qualche momento prima che si possa credere cessata ogni funzione delle foglie e delle radici. Finalmente vi proverò come tutte le piante nel deperire, od al termine normale della loro vita, quando cessano d’elaborare materiali esterni, consumano parte dei loro stessi materiali.