Fra la favola e il romanzo/Zaccaria/XIV

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Zaccaria - XIV

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XIV.



La casa abitata dai due fratelli era posta nel sobborgo di Pera, in un luogo amenissimo dietro il giardino dell’ambasciata inglese; e la vista sul mare, sul porto e sulla città turca era stupenda.

Costantinopoli è situata all’ingresso del Bosforo. Da un lato si specchia nelle acque del mar di Marmara e dall’altro in quelle del canale, che, oltrepassata la punta detta dei giardini, s’insinua per lungo spazio dentro terra e forma il corno d’oro, chè così ha nome il porto della città. La quale resta perciò divisa in due.

A sinistra è Stambul, la città propriamente turca, fabbricata su parecchie colline ed abitata soltanto dai musulmani. Essa è circondata da vetuste mura, ed occupa lo spazio dove sorgeva Bisanzio, della quale veggonsi ancora grandiosi avanzi. Colà sono l’antica reggia dei sultani, i pubblici ufficî, i bazar o i mercati d’ogni sorta, le più vaste e ricche moschee dove i maomettani si adunano per pregare, ed i più splendidi bagni a vapore molto in uso fra gl’indigeni.

A destra del porto, anch’essa montuosa, svolgesi la [p. 110 modifica]città europea, formata dai sobborghi di Top-Hanè, di Kassim-pascià, di Galata e di Pera. I primi due sono meschini assai e si spiegano presso le rive, il terzo è il più antico, e sta a metà: il quarto è il più recente, ma elegante, ricco e costruito sulle alture. In esso veggonsi non solo belle case e numerose botteghe fornite di tutto quanto può trovarsi in una capitale del centro di Europa, ma ancora diverse chiese dedicate al culto cristiano, così di rito latino, come di rito greco od armeno.

Zaccaria era tutto contento quando la Domenica udiva suonare qualche campana; e mai non tralasciava di recarsi in Chiesa ad assistere ai divini Ufficî, ed a pregar Dio. Poi se ne andava a diporto, non già nei quartieri europei; ma, traversato uno dei tre lunghi ponti di legno che pongono in comunicazione i sobborghi con Stambul, andava vagando per le vie ed i bazar della città. Per la strada si fermava dinanzi ai venditori di Kebak, piccoli tocchetti di carne infilzata in spiedini di legno ed arrostiti sulla brace; poi dinanzi alle botteghe dei confettieri, piene di ogni sorta di dolciumi conditi di pistacchi, di cedrato, di pinocchi, di estratto di rosa e di gelsomino. Talvolta comperavasi una sfogliata ripiena di frutta sciroppate da certi pasticcieri che ne tengono sul davanti della bottega una vastissima mostra; oppure gustava le marmellate che i venditori ambulanti portano in giro distese in un gran piatto di stagno con parecchie divisioni. Alcuna volta lasciandosi vincere dalla ghiottoneria, assiso sul divano d’uno dei numerosi caffè, aspirando il fumo di una sigaretta fatta di profumatissimo tabacco, sorbiva voluttuosamente una piccola tazza di quella densa ed aromatica [p. 111 modifica]bevanda, che forma uno dei principali diletti degli orientali.

Chi avrebbe in esso raffigurato il meschinetto venditor di sigari con la cassetta turchina appesa al collo?

Erano però tanto innocenti i suoi sollazzi! E, rimessosi in giro, percorreva i vari bazar; ammirava i ricami, i tappeti, le stoffe, le pantofole ingemmate, le pipe ed i narguilè, gli sgabelli intarsiati di avorio e di madreperla; osservava i lavori d’ambra, le armi, i gioielli, gli oggetti antichi, e tante altre curiosità che hanno un tipo tutto differente da quello europeo. Vedendo qual buona gente si fossero i Turchi, avea finito coll’abituarsi ad essi, e godeva assai nello studiarne le meditabonde e pacate fisonomie, il lento andare, le vesti strane e pittoresche. Si arrestava sovente ai cantoni delle vie per vedere i briosi cavallini da nolo, tutti insellati ed adorni il collo dei monili di vetro, che i cavallari offrono ai passeggieri per recarsi celeremente e con poca spesa da un luogo all’altro. I muezzin erano però quelli che maggiormente attiravano la sua curiosità, e perdeva talvolta preziosi momenti aspettando per sentirli gridare. I muezzin fra i maomettani tengono luogo di campane per invitare i fedeli alla preghiera. Ogni moschea ha uno o più minareti, che sono torricine molto elevate aventi in giro una o più ringhiere di muro o di pietra. Cinque volte il giorno il muezzin ascende sulla ringhiera, e girando in essa con flebile canto e con voce sonora ripete: — Non v’è altro Dio che Dio, e Maometto è il profeta, di Dio — Invero quelle note che ondeggiano lentamente per l’aria hanno qualche cosa di solenne e di mistico da far [p. 112 modifica]perdonare al giovinetto Zaccaria se talvolta vi perdeva tempo.

Passarono intanto altri due anni, ne’ quali, sotto l’occhio dell’ottimo Giorgio, per una certa attitudine naturale e per la costante applicazione, egli era divenuto artista assai pratico ed un giovine veramente per bene. Siffatte qualità però, invece di conciliargli la buona grazia di Federico, gli aveano attirato l’odio di lui. Questi, pel suo peggio, da qualche tempo lasciavasi vincere dal vizio del bere, e non solo i grossi e potenti vini delle isole di Cipro e di Santorino, ma puranco i liquori; ed in ispecie il mastik, acquavite di anici selvatico che i turchi molto usano mescolare con l’acqua. Più volte eragli accaduto di ubbriacarsi appena desto; imbestialiva allora come furioso e sfogavasi contro Zaccaria, il quale ebbe a riportare sovente percosse e lividori. Giorgio, dolentissimo delle cattiverie del fratello, molto pazientò; s’adoperò con ragioni, con preghiere, e persino con violenze a ricondurlo a miglior vita: ma a nulla valendo, decise di separarsi da lui, e rimpatriare, conducendo seco Zaccaria.