Gazzetta Musicale di Milano, 1843/N. 4

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N. 4 - 22 gennaio 1843

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N. 3 N. 5
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GAZZETTA MUSICALE

ANNO II.
N. 4

DOMENICA
22 gennaio 1843.

DI MILANO
Si pubblica ogni domenica. — Nel corso dell’anno si danno ai signori Associati dodici pezzi di scelta musica classica antica e moderna, destinati a comporre un volume in 4.° di centocinquanta pagine circa, il quale in apposito elegante frontespizio figurato si intitolerà Antologia classica musicale.
La musique, par des inflexions vives, accentuées. et. pour ainsi dire. parlantes, exprimè toutes les passions, peint tous les tableaux, rend tous les objets, soumet la nature entière à ses savantes imitations, et porte ainsi jusqu’au coeur de l’homme des sentiments propres à l’émouvoir.

J. J. Rousseau.

Il prezzo dell’associazione annua alla Gazzetta e all’Antologia classica musicale è di Aust. lire. 24 anticipate. Pel semestre e pel trimestre in proporzione. L’affrancazione postale della sola Gazzetta per l’interno della Monarchia e per l’estero fino a confini è stabilita ad annue lire 4. — La spedizione dei pezzi di musica viene fatta mensilmente e franca di porto ai diversi corrispondenti dello Studio Ricordi, nel modo indicato nel Manifesto — Le associazioni si ricevono in Milano presso l’Ufficio della Gazzetta in casa Ricordi, contrada degli Omenoni N.° 1720; all’estero presso i principali negozianti di musica e presso gli Uffici postali. Le lettere, i gruppi, ec. vorranno essere mandati franchi di porto.


SOMMARIO.

I. Diverse specie di Critici Musicali. I Critici Pedanti. - II. Studi Biografici. Vincenzo Bellini e le sue Opere- III. Critica Melodrammatica. I due Sergenti, Opera del maestro A. Mazzucato. - IV. Notizie Musicali Italiane. Milano, Roma, ecc.- V. Notizie Musicali Straniere. Vienna, Berlino, ecc. - VI. Dizionario Musicale Critico-Umoristico.


DIVERSE SPECIE

DI CRITICI MUSICALI

I CRITICI PEDANTI.


Come Linneo, Buffon, Blumenback, Cuvier ed altri insigni naturalisti, nelle classificazioni del vasto regno animale, osservando i varii caratteri dei bruti sogliono distinguerne le diverse specie, quello a cagion d’esempio del genere Felis le quali vanno per iscala dal gatto di cucina fino alla tigre reale del Senegal, quello del genere Equus che dall’umile somarello salgono su su fino alla zebra strisciata ed al leardo andaluso, così noi ora intraprenderemo di differenziare le varie nature di critici musicali. E per la prima di esse nature noi piglieremo ad esame quella che chiameremo dei Critici pedanti, i quali meritano largamente questo onore per essere appunto i più grossi animali del genere.

I critici pedanti si distinguono dalle altre famiglie di critici musicali per alcuni singolari caratteri esterni, vale a dire corporatura per solito massiccia; abdome protuberante, segno certissimo di molta dovizia d’adipe che si oppone alle troppo vive sensazioni nervose; la massa encefalica molto pronunziata a mo’ di quella dell’ippopotamo.. il dorso tondeggiante e un pochino ricurvo, indizio di grande abitudine agli studii così detti di schiena - E per vero non possono pretendere di appartenere alla venerata specie dei critici musicali cui qui si accenna, se non se que’ tali che molto sudarono sulla più astrusa scienza armonica, e coll’avere logorata la mente nello studio indefesso delle più sonnifere partiture antiche, hanno acquistato a ben caro prezzo il diritto di proferire i loro responsi sul valore delle quarte eccedenti e delle quinte diminuite, e di condannare inappellabilmente qualunque pezzo di musica, nel quale il compositore ha avuto la disgrazia di non saper profondere le gemme del contrappunto o sciolto o legato, o semplice o composto, e i rubini della più complicata numerica, della canonica e della acustica.

I critici musicali della specie dei pedanti di cui ora parliamo, se hanno a recar giudizio del valore di qualche spartito, sia pure o teatrale o sacro od altro, non badano neppur per sogno ad osservare in che modo o quanto sia esso sparso di melodie di gusto nuovo, o svolte con forme più o meno originali e caratteristiche, o per dir tutto in una parola, se appaja esso più o meno ispirato. E che cosa importa ad essi dell’ispirazione e di tutti i pregi che ne derivano, frivoli e di nessun peso per la scienza? E che cosa importa ad essi che la composizione ardita, vivace, e anche se volete bizzarra, manifesti un ingegno pronto e audace, ed un’anima calda e sensibile, se tutto questo è a prezzo di una sufficente dose di spropositi di contrappunto e di strafalcioni d’armonia?... Un critico musicale pedante condannerà inesorabilmente alle fiamme la più cara cavatina, il più geniale duetto, l’arietta più ricca di leggiadri pensieri, sol che gli venga fatto di notare in essa una successione di più quinte l’una in coda all’altra (horribile dictu!), o un basso continuo, ovvero una progressione armonica non strettamente conformi ai precetti del padre Martini o dell’Ab. Vogler!

Fra la turba de’ nemici insorti contro la fama nascente di Rossini, i critici musicali della specie che or descriviamo, furono i primi a cacciarsi costernati le mani nella parrucca e ad alzare il grido della crociala ad esterminio del novello Attila delle regole armoniche, che scappato dalla scuola elei buon padre Mattei aveva osato scrivere per le scene prima di compire lo studio del contrappunto fugato. Povero Gioachino!-Egli avea già messa in convulsioni mezza Europa cogli incanti del suo Inganno Felice, del suo Demetrio e Polibio, del suo Tancredi; tutto il mondo filarmonico deliziato, dalle soavi sue cantilene, già lo acclamava il dominans dominantium tra i maestri, e poneva il nome del giovine italiano a lato a quello de’ sommi alemanni; e la specie dei critici pedanti (il credereste?) crollava ancora mestamente il capo e sospirava additando in lui il fatal genio della corruzione e del barbarismo armonico. Mi ricordo di un cotal critico pedante, il quale, dopo aver assistito (non senza ad ogni poco dimenarsi per impazienza sulla scranna) alla magnifica introduzione della Gazza Ladra, allorachè si venne al famoso adagio del terzetto Oh nume benefico! scappò fuor del teatro tutto raccapricciato, indovinate mo perchè? perchè le tre parti del canto, proposte al principio a mo’ di canone, le udì dopo poche battute sciogliersi dal vincolo di questa forma scientifica, e intrecciarsi con libera ma sublime vicenda di numeri armonici!!

Ultimamente, per tutte le grandi Capitali, fu un solo grido d’ammirazione, al sentire i meravigliosi concetti dello Stabat Mater. Il giornalismo si accordò in una sola voce per esaltare il genio del grande artista che, dopo aver superala ogni gloria nell’arringo drammatico, osava erigersi rivale dei Pergolesi, degli Handel, dei Mozart, di tutti i più classici compositori di musica sacra! Qualche parola di critica più filosofica che scientifica gittata qua e là dai giornali con rispettosa subordinazione, non pretendeva punto scemare ombra al gran vanto dovuto al novello capolavoro. Se non che, di mezzo al clamore degli applausi, s’udivano di tratto in tratto alcuni ghigni nasali in tuono di beffa e di sarcasmo!... Volete voi sapere chi avesse la temerità di alzare que’ ghigni e di inarcare la stizzosa unghia della scienza sulle pagine della sublime partitura per additarvi qualche licenza numerica, qualche ardita scorrezione di stile, qualche passaggio non severamente stringato nelle regole del contrappunto doppio?... La razza de’ critici pedanti, di que' critici che un momento la vi dipinsi dotati di grossa massa encefalica e di nervi involuti in densa camicia di adipe! Ed il medesimo Rossini, perchè credete voi che si martellasse il celebro onde dare per chiusa finale al suo Stabat una fuga di pretto conio, in cui tutte le più fastidiose astrusaggini tecniche sono ammucchiate direi quasi col dispetto di un’anima suo malgrado dannala a impor silenzio alle irrompenti ispirazioni del cuore, onde e’ non sorgano a contrastare i plumbei diritti della scienza? - Per pagare il duro inevitabile tributo alla critica pedantesca, la quale forse, in grazia di quest’atto di umile subordinazione consumato dall’uomo di genio ai piè dell’idolo del gretto scolasticismo, non gridò a tutta gola anatema contro il profano autore del Barbiere di Siviglia, tanto temerario d’aver voluto provarsi a mutare la chitarra di Figaro nell’arpa davidica.

Mi ricordo di Bellini, il quale soleva dire che ogni volta si poneva al chiavicembalo e abbandonavasi alla foga del suo estro, tutto caldo di sentimento, vedeva alzarsi e grandeggiare uno spettro lungo lungo, giallo in viso, con due grandi occhiali verdi sul naso... Quello spettro gli si piantava diritto di faccia e lo fissava [p. 14 modifica]con amaro sorriso satanico, e gli gelava l’ispirazione nel cuore e gli faceva tremanti e incerte le dita sulla tastiera... Quello spettro era l’immagine pretta spietata del pedantismo musicale che pareva gli susurasse sotto voce, ma con accento rauco e beffardo: «Bada che a me non importerà nulla che colle tue patetiche cantilene, co’ tuoi accenti passionati tu ottenga di commovere la moltitudine degli spettatori ed eccitarla all’entusiasmo... Io pure dovrò giudicarti, e guai se non avrai saputo addimostrarti profondo contrappuntista, se avrai messe ne’ tuoi accompagnamenti delle armonie fiacche e non complicate! Guai se mi parrà che tu abbia avuto ambizione di darti a scorgere più ispirato che non dotto!... La sentenza di incapacità e di ignoranza che io proferirò sul conto tuo ti perseguiterà inesorata, e simile al Manne-Tekel-Fares, evocato da Daniele, le parole della mia condanna turberanno la gioia delle gloriose tue cene!»

A vero dire però, e per buona fortuna di quella privilegiata specie di esseri umani, cui a buon dritto può darsi il nome di genio, lo scettro della critica pedantesca s’è ormai al tutto spezzato, e per naturai conseguenza la tanto temuta autorità dei critici pedanti è più da considerarsi uno spauracchio immaginario che reale, un fantasma, una chimera mostruosa e non altro.

A’ giorni nostri que’ dotti saccenti, i quali volessero bandire come barbare le tragedie di Shakspeare, perché sparse di errori di geografia e di storia, que’ freddi grammatici che osassero consigliare a un Torquato Tasso di rifondere il sublime suo poema per correggerlo di alcune mende di lingua e di stile, anzicchè essere ascoltati con docile e riverente orecchio si otterrebbero delle sonore fischiate. E nel mondo delle cose musicali poi è ben raro il caso in cui i poverini, vogliamo dire i critici pedanti, possano far udire la loro voce! A’ dì nostri, grazie agli effetti di un altro e tutto opposto genere di critica, la critica libera e disinvolta del senso comune e del gusto naturale, temperati da una modesta cultura, il freddo aristarchismo ha dovuto nascondere lo staffile nelle pieghe della sua toga dottorale, e se di tratto in tratto, e come alla sfuggita, si ardisce tirarlo fuori per menarlo sulle spalle a questo o a quel compositore, colpevole di aver saputo commovere la moltitudine con violazione delle strette regole della scienza, la moltitudine stessa, o, per dirla più volgarmente il pubblico si ribella alle sue condanne, e col mezzo del giornalismo intelligente e imparziale cancella i suoi nojosi editti e manda i suoi fulmini a spegnersi nell’onda dell’oblìo, al modo stesso che accade a quei di Giove, dappoiché il grande inventor della pila ha trovato il modo di farli discendere nelle pozzanghere!

B.




STUDJ BIOGRAFICI

E LE SUE OPERE

I.


Molte cose per vero furono a’ nostri dì pubblicate intorno a Bellini. Sopravvenuti ad un tempo, in cui la facoltà dello scrivere e specialmente in fatto di teatrali materie non è più il privilegio de’ pochi uomini dotati di senno e di dottrina, ma l’ignobile mestiere di molti che digiuni d’ogni letteraria ed artistica coltura presumono parer sapienti prostituendo il sacro officio delle lettere ad un il laudevole commercio di lusinghe e di adulazioni, le stampe periodiche e gli articoli de’ giornali che di lui favellarono sono innumerevoli.. Al comparir d’ogni sua opera, così nei grandi spettacoli delle capitali, come nei più modesti delle provincie. tanto fu il dire e il disdire, tanto il giudicare e il pregiudicare, tanto lo stampare e ristampare di apologie e di censure, di deificazioni e di condanne, che chi tutte s’accingesse a raccoglierle comporrebbe presso che una biblioteca.

Per quanto è a cognizion nostra nondimeno niuno scritto è apparso in Italia in cui, con una sicura e particolarizzata narrazione delle vicende che formarono il breve tessuto della sua vita, si venisse mostrando il vero genio, l’indole, il carattere delle sue creazioni, le quali, come sempre i fruiti degl’ingegni eminenti, comunicarono al mondo un sì efficace movimento, e stamparono negli animi un’orma sì profonda che, sebbene in picciol numero, bastarono a permutare il gusto, il criterio, il sentimento musicale d’un’intera nazione, e quasi, può dirsi, di molte fra le nazioni alla musica educate.

All’epoca che movendo le lagrime d’ogni anima gentile, nel più bel punto del suo glorioso cammino, nuovo Raffaello venne a nascondersi agli avvenimenti di questo basso pellegrinaggio, non v’ebbe giornale italiano, non foglio di Francia, d’Inghilterra e di Germania che non annunciasse la troppo acerba sua perdita col dare alcun sunto della sua mortale carriera. Ma quelle scritture furori per la più parte effimere apparizioni, di cui perdevasi la ricordanza col perdersi del foglio su cui stavano stampate, e non lasciavano che lievi e pochissime impressioni nella mente del lettore, per il modo troppo fuggevole e superficiale con cui venivano trattate, e perchè non eran le più volte che semplici compendj di fatti senza storica verità raccontati, e spesso unicamente fondali o su quel tanto di vaglie notizie che ogni scrittore era pervenuto a radunarne, o su quel tanto di vero e di falso che ne sembrava a ciascun narratore secondo l’opinion sua individuale (1).

L’opera che noi vorremmo compiuta rimane intatta tuttavia:, epperò, mentre ci teniamo in isperanza che alcuno voglia di proposito darsi ad un’intrapresa che con accorgimento ed accuratezza condotta provvederà alla fama ben meritata d’uno dei più chiari intelletti musicali italiani, e recherà in un tempo giovamento grandissimo all’arte per l’utile insegnamento che ne ridonderà a chi si proponesse imitarlo, nello spazio determinato delle nostre colonne noi farem di dirne alcuna cosa, e rendere minore questo vuoto, togliendo a compagni i migliori degli scritti che hanno di lui ragionato, tra i quali ricorderemo particolarmente un articolo di Pietro Beltrame, che fa parte delle Biografie degli Italiani illustri a Venezia pubblicate coi tipi dell’Alvisopoli, l’articolo del sig. Fétis inserto nella sua gran Biographie universelle des musiciens, ed un discorso stato recitalo dal professore Mario Musumeci nella sala comunale di Catania in occasione che Bellini tornò a rivedere il suo paese. Ciò noi faremo allo scopo d’una moltitudine di lettori d’un argomento che per la sua attualità ha in Italia una moltitudine di simpatie, ed all’intento di rettificar quelle imperfezioni che nell’uno e nell’altro dei suddetti articoli biografici ci verrà dato di poter comprovare dietro quelle positive notizie che siam pervenuti a procurarci volgendoci a persone di fede degnissime che molto davvicino conobbero ed osservarono la vita di lui, ed ebbero campo di penetrare ne’ segreti del suo spirito.

Fin da questo punto del resto vogliam dire che non è da compararsi il breve articolo del professore di Bxusselles colla narrazione del sig. Beltrame, come quella che, oltre all’essere assai più diffusa e ricca di particolari, ad ogni tratto si mostra con assai maggiore fedeltà elaborata e dettata da quel sentimento coscienzioso ed imparziale, che debbe essere prima ed unica guida dello storico. E troppo manifesto che il sig. Fétis, o per contraggenio che avesse al modo di compone di Bellini, o per poco studio che avesse fatto de’ suoi lavori, dettò quegl’imperfetti suoi cenni colla mira d’impiccolire il merito dell’italiano maestro. E poiché il suo libro come lavoro d’uomo nella musicale erudizione versatissimo, non senza ragione gode di bella rinomanza ed è piuttosto sparso ne’ varj popoli d’Europa, così amiamo che il vero sia posto in luce onde impedire e distruggere se ci fia possibile le fallaci credenze che potrebbero radicarsi, e rivendicare così l’onore di un valente italiano che ha sì ben meritato dalla patria sua.

II.


Bellini nacque in Catania, città sedente alle falde dell’Etna, del cui foco parea avesse nell’anima una particolare scintilla. Catania va nelle storie celebrata per uomini famosi in tutte le arti e in tutte le scienze; ma sembra che nella musica soprattutto fin da remotissimi secoli prevalesse; perchè tuttora, come dice il professore Musumeci, mostra al mondo dotto gli irrefragabili monumenti di sua antica scuola di musica in quei superbi avanzi dell’Odeo, al cui confronto restano assai al di sotto gli esistenti ruderi di quello della stessa Atene. E pare che in eredità i figli di Sicilia ritraggano da natura il genio musicale, poiché appartenne alle falde dell’Etna anche quel Tirsi, che inventore del verso bucolico, venne scelto da Teocrito a dar nome al suo primo iddio; e non altronde che di Catania derivò quell'Androne, a cui i principj della musicale monografia furon dall’antichità attribuiti; nè altrimenti che siciliano fu il mimografo Sofrone, le cui opere sì grandemente deliziavano quel sovrumano intelletto di Platone che sempre tenendole secolui, ne fece tesoro sino al letto di morte. Dell’eccellenza dell’antica musica teatrale siciliana nessun argomento in vero può fornirsi migliore di questo, e noi così di passaggio volentieri veniam ravvivandone la memoria affinchè non solo a Bellini, ma egualmente alla patria sua abbia a riverberarne quel lustro che le è devoluto.

Sortì Vincenzo i natali da Rosario Bellini e da Agata Ferlito il dì tre di novembre dell'anno mila ottocento due (2). Suo padre, a cui la natura avea destinata una numerosa figliolanza, erasi predisposto a formar di Bellini un maestro di conti (3); ma il nonno don Vincenzo, che assai distintamente soprattendeva alle principali cappelle della città, avendo scòrta in lui la favilla dell’ingegno tolse ad educarlo [p. 15 modifica]all’arte in che divenne sì celebre, con amore compartendogli i primi insegnamenti. L’ingegno musicale del giovinetto per più segni manifestavasi, ma volendone recare alcuno diremo di questo particolarmente che ci fu narrato da un amico nostro di Catania, che essendo al tempo della sua prima giovinezza le truppe inglesi in quella città, ed udendo egli le bande militari esercitarsi per le vie, come usano fare i fanciulli, le seguitava con grande attenzione, indi ritornato a casa ponevasi a notar sulla musica, le composizioni che aveva udito. La buona influenza dell’avo e queste dimostrazioni dell’istinto dell’arte fecero sì che alcuni membri del Decurionato municipale avessero a proporre in consesso che a lui venisse fissato un assegnamento ond’essere a spese patrie educato nel Conservatorio di Napoli. Al che avendo consentilo i Decurioni ed il Governo, nell’anno 1819, e quindi nell’età d’anni diciasette, passò nel reale stabilimento, ove subitamente trovò occasione per distinguersi su’ suoi condiscepoli. Dopo aver imparato a trattare alcuni stromenti, e dopo avuta cognizione degli elementi del canto, apprese il contrappunto dal maestro Tritto, nel quale studio si rese espertissimo nel solo corso di due anni. Il nostro amico di Catania ci assicura ch’egli ebbe lezioni anche dal bravissimo contrappuntista Raimondi, ma non sappiamo se nel Conservatorio od altrove. Allora poi che incominciò a comprendere che la scienza de’ numeri non è la sola fonte cui debbansi attingere quegli elementi che inceppano ed aggravano gl’intelletti meschini, ma invigoriscono e sollevano i robusti, venuto a morte il primo suo precettore, divenne discepolo di Zingarelli, di quel venerando, come si esprime il signor Beltrame, che educato alle armonie del Paisiello e del Cimarosa, fu per avventura il solo tra’ suoi contemporanei che veramente sentisse quale dovea essere la musica vocale del teatro melodrammatico. Dietro una guida sì luminosa versò per tre anni assiduamente fra le classiche composizioni di Durante, di Pergolesi, di Paisiello, di Cimarosa, di Jomelli, di Paër, non dimenticando quelle de’ moderni luminari Mayr e Rossini.

La gratitudine de’ paterni insegnamenti rese al maestro affezionatissimo l'apprenditore, e prova della venerazione in cui lo tenne, siano le frequenti parole di riconoscenza e di lode che le tante volte furono udite uscirgli dal labbro, e la dedica che gli fece della migliore traile sue creazioni, la Norma. Su questo punto amiamo insistere alquanto per dimostrare come infondatamente il signor Fétis venisse riferendo che a piccola cosa si riduce ciò che Bellini avea dai sunnominati maestri imparato per poter affermare ch’egli non doveva considerarsi come l'alunno d’una grande scuola, ma semplicemente come un compositore formatosi per istinto da sè stesso, e come a torto volesse far credere che nessun frutto avesse egli raccolto da tale educazione perchè Zingarelli, asserisce, il quale pur possedeva dell’antica musica tradizioni sufficientemente buone, poco pensiero si prendeva degli allievi del conservatorio alle sue cure confidati, nè dava loro che scarse lezioni, e perchè da gran tempo in poi gli studj musicali in Italia, e sopra tutto a Napoli, erano assai cattivi.

Bellini che la natura avea donato di squisito musicale sentimento, e d’un’intelligenza sovranamente giudiziosa, dee riguardarsi come allievo della scuola di Zingarelli, perchè tale fu realmente, e perchè egli stesso confessava d’aver moltissimo imparato da’ suoi ammaestramenti (4). Frutto di questa buona corrispondenza tra il precettore e lo scolare fu quel vincolo d'affetto che strettamente li tenne legati, finché un senso di gelosia si gettò nell’animo dell’autore della Giulietta e Romeo quando l’altro compose i Capuleti ed i Montecchi. Non solo Zingarelli lo istruì, ma fu il primo veicolo della fortuna di lui coll’accompagnarlo di commendatizie per molte illustri famiglie di Milano, quando vi si recò la prima volta partendosi da Napoli per correre la teatrale carriera. Esso lo tenea costantemente informato di tutte le sue avventure, e allorché la Straniera ebbe sulle scene di Milano quell’esito che tutti sanno, alla partecipazione che gliene diede prontissima Zingarelli rispose con una lettera piena d’amore, la quale incominciava colle sante parole: Benedite Iddio!

E storia di fatto adunque che Bellini si rese benemerito all’arte non solo per l’opera ch’ei pose grandissima a migliorarla col naturale suo ingegno, ma per la buona istruzione ch’egli avea ricevuta da’ maestri suoi, e sopra tutti da Zingarelli: perciò ad ambedue vuol darsene la meritata lode; e l’illustre biografo di Brusselles fu poco giusto verso amendue, quando pingeva l’uno come scolare di nessuna scuola, l’altro come educatore poco sollecito de’ suoi discepoli.

Ma ritornando a Bellini senza rinomanza, diremo come egli, dopo aver fatto conoscere a Napoli alcune brevi composizioni strumentali, e parecchi lavori di musica sacra (5) produsse nel 1824 sulle scene del piccol teatro del collegio reale di musica la sua prima opera col titolo di Adelson e Salvina, e su quelle del gran teatro di San Carlo nel 1826 l’altra intitolata Bianca e Fernando. Sebbene questi lavori si risentissero ancora della giovenile istruzione, non dimeno, perchè qua e colà portavano l’impronta del genio nascente, fecero pel futuro concepire grandissime speranze. Le speranze divennero realtà quando nel carnovale del 1827, sulle grandi scene del nostro maggior teatro fece sentire il suo

Pirata.

G. Vitali.

(Sara continuato.)


NOTE


(1) In prova di ciò che affermiamo ci basti il riferire che nel Dizionario della conversazione stampato in Lipsia nel 1832, leggesi che Bellini era nato nel 1808, cioè sei anni dopo la sua nascita, e che era maestro di cappella a Venezia. Che nel Pirata tolse specialmente a modello Rossini, e che scrisse con molte colorature e fioriture conformemente al gusto attuale italiano, ecc., ecc.

(2) Fin da questo principio si palesa l’inesattezza dei biografi; perocché alcuni, come notammo, lo fecero nascere nel 1808, altri nel 1804, e tra questi ci spiacque di dover noverare lo stesso signor Beltrame, che quest’unica volta soltanto fu men preciso del signor Fétis. siam tenuti all’epoca riferita da quest’ultimo perchè crediamo che sia la vera e per verbali assicuranze che ci furon date da chi dallo stesso labbro di Bellini udì numerare gli anni dell’età sua, e perchè in vero combina col discorso del Musumeci dalla cui guida mai non crediam dipartirci, siccome quegli che più d’ogni altro era in occasione di ben conoscere le cose che a Bellini riguardavano. Dicendo egli nel suo ragionamento recitato nella primavera del 1832 che il bravo maestro catanese non era ancor pervenuto a trent’anni di età, verrebbe ad uscirne appunto l’epoca da noi segnata. Nondimeno a sciogliere questo fatto da ogni dubbio, abbiam pregato persona di rilevare l’epoca precisa dai registri battesimali di Catania; e sì tosto che ne avremo notizia ne farem partecipi i lettori, ov’ella discordasse dai nostro dato.

(3) Ebbe tre maschi «tre femmine, la più giovane delle quali per nome Maria è degna sorella del bravo maestro per bella dote d’ingegno e per venustà di forine. Senz’essere troppo dotta di musica canta con mollissima abilità. Degli altri due fratelli uno tratta esso pure la musica, l’altro è contabile.

(4) Il nostro amico compatriota di Bellini ci narra anche questo fatto intorno al tempo della sua dimora nel Conservatorio. Per quella brama ch’era in lui vivissima di perfezionare le sue opere recav egli le prime sue composizioni a Zingarelli sparse tutte di sgorbj, di cancellature e di pentimenti; del che soventi volte deridendolo i compagni, Zingarelli ne lo giustificava ed encomiava dicendo loro: Carta sporca, musica pulita.



CRITICA MELODRAMMATICA

I DUE SERGENTI,

Opera del M.° A. Mazzucato (1).


Signor Estensore.

M’assegnaste l’incarico di tenere informati i lettori della Gazz. Mus. delle modeste vicende di questo piccolo ma elegante teatro Re, ed eccomi pronto a soddisfare alla bell’e meglio alla incombenza ricevuta.

Dappoiché vi ho parlato della mediocre riuscita dell’operetta buffa del giovine Manusardi null’altro di distinto nè di nuovo avemmo su queste scene, fino alla sera del 15 corr. Si continuarono con poco gradita alternativa le recite della Saffo, e quelle del Columella, e vi accerto io che il passaggio dallo stile tutto a vernice tragica e a sentimentalismo lirico della prima di queste due Opere, al fare spicciativo, gajo e dirci quasi casalingo della musichetta di Fioravanti, c’è il medesimo divario che corre tra una novella del Lasca e di quel buon messere di Franco Sacchetti, a uno squarcio oratorio del Barbieri o a un’epistola estetica del Giordani, da un sonetto vernacolo colla coda del faceto cantore di Giovanin Eongée aduna Canzone del cav. Felice Romani, tutta stringata nel sublime purismo rettorico. Eppure queste varietà a me, amante dell’eclettismo artistico, piacciono moltissimo, e mi danno a capire che gli spettacoli modestamente musicali di questo teatrino sono diretti da chi abborre gli sbadigli che suol destare altrove la vanitosa monotonia del gran genere melodrammatico. Oh il gran genere melodrammatico è pur la bella cosa, c mostra, quando sia trattato da fantasie robuste come quella di Rossini o da ingegni mirabilmente proteiformi come quello di Donizetti, a che punto di altezza può giugnere la potenza dell’arte de’ fefautti, ma guai se quel genere maiuscolo di musica non è eseguito con irreprensibile accordo c perfezione di tutti i mezzi materiali e morali! Guai se, per esempio, in un’Opera del gran genere, le negligenze della parte scenica, la povertà del personale, la trascuranza più grossolana del tutt’insieme sono messe a contrasto cogli sforzi di due o tre attori principali indarno impegnati a far alla meglio gli onori del capolavoro affidato al loro ingegno! Io, per me, meglio che assistere a’ spettacoli musicali di questa specie, ne’ quali la boria delle pretese fa a pugni col pigmeismo dei mezzi, amo passar la sera ai Burattini, ove almeno, se m’annojo, posso addormentarmi in tutta pace senz’essere ad ogni istante destato in soprassalto da inconditi strepiti e da stonazioni per accomandita!

Ma è meglio che lasci da un lato questo tristo argomento salti a pie’ pari a dirvi alcuna cosa dei Due Sargenti del maestro Mazzucato.

Pregio principale di questo spartito è l’impronta sempre bene conservata dello stile di mezzo carattere sparso a luogo opportuno di tinte ora patetiche, ora gioconde, or passionate, or semicomiche. I diversi pezzi onde si compone sono svariati nei pensieri, nelle forme, negli sviluppi a seconda della varietà delle situazioni, ma l’unità di concetto che deve significare la natura dell’azione drammatica, tutta del genere domestico e popolare, è sempre con savio criterio conservata. E questo è un merito di cui il pubblico de’ nostri teatri o grandi e piccoli non è avvezzo a tener gran conto, e nondimeno dovrebbe essere il più lodato e marcato come quello che risparmia agli uditori di buon senso il disgusto di vedere assurdamente confusi nel medesimo soggetto drammatico lo stile famigliare coll’eroico, il cavalleresco col pastorale, I’ anacreontico col sentimentale ed anche tal volta coi buffonesco. Gli esempi di questa ridicola mescolanza di generi non mi mancherebbero anche se volessi andarli a prendere dai più applauditi repertori. - Quanto al Mazzucato non crediate già che egli, all’uopo di dare alla sua Opera questa tinta caratteristica dominante, abbia abusato del fraseggiare musicale arido anzichenò proprio della scuola che pretende si debba dar valore, con insistente elaborazione di stile declamalo e di concertazione, a tutte le modificazioni più minute della dizione drammatica del libretto. Se egli alcune rade volte inciampa in questo difetto contrario alle norme del com[p. 16 modifica]porre largo de’ grandi maestri, e quindi dà nel vago e nell’artifiziato, come per esempio nell’ultimo tempo del finale del primo atto, in generale e nei più notevoli pezzi dell’Opera è pieno di finezza d’espressione senza verun danno della chiarezza e della eleganza propria al tanto simpatico stile melodico italiano.

L’introduzione ov’è svolta la scena dei soldati che giuocano alle carte è lavorata con mollo ingegno, e l’andamento dell’orchestra, sempre brillanteecolorito, conserva l’unità di pensiero nella varietà, sebbene le interiezioni degli interlocutori sieno parlate e minaccino ad ogni poco di disturbare e rompere il filo della dizione musicale del pezzo. Questa introduzione è un bel quadro fiammingo ove l’invenzione e il gusto non si scompagnano mai dalla buona dottrina e dallo studio.

Le narrazioni in musica sono pericolose e ben pochi compositori han saputo trattarle con pieno effetto. Io consiglierei ai poeti melodrammatici; di evitarle al più possibile o di non usarle che con gran cautela e discernimento. In quella che fanno i due Sergenti nella scena terza del primo atto dell’Opera del Mazzucato, questi ha saputo emulare i migliori modelli, non esclusa la tanto applaudita di Mercadante nel Giuramento.

Il duetto tra Loretta e Mezzagamba è un pezzo pieno di savia libertà nella forma generale e condotto con gusto e sentimento. In esso la doppia opposta situazione morale dei due personaggi è ritratta squisitamente, e le frasi cantate del soprano si alternano e si intrecciano a meraviglia coi parlanti dei basso.

Due altri pezzi di questo spartito, degni di essere citati come buoni saggi del genere di musica descrittivo e caratteristico, sono il coro che apre la scena nona del primo atto e il terzetto tra i due Sergenti e Morazzi. In questo ultimo il cantabile drammatico è molto bene intercalato e sostenuto da ottimi andamenti e giuochi di orchestra. Per non estendermi con altre citazioni che mi farebbero eccedere i limiti assegnali a questi mici quattro scarabocchi, vi dirò senz’altro, che questo brillante lavoro melodrammatico del giovine Mazzucato gli comparto il diritto di essere posto in ischiera coi pochi compositori italiani della giornata che hanno compreso il progresso della musica teatrale nel suo spirito e nella sua essenza, non nel solo materialismo delle forme più o meno libere. Il Mazzucato non è di coloro che usano della libertà delle forme per la vanità di farsi credere innovatori e progressivi, ma si per servire al primo scopo dell’arte, la verità dell’espressione e della pittura musicale all’uopo di commovere gli affetti e di arrecar diletto non al solo orecchio, ma anche allo spirito che è qualche cosa di più dell’orecchio, seppure secondo taluni che alle orecchie hanno molto amore, non mi sbaglio! Io davvero fo voti insieme coi migliori suoi amici a che nelle successive sue produzioni non venga meno al signor Mazzucato quell’estro e quell’abbondanza di sentimento e di gusto di cui nei Due Sergenti ha dato non iscarsa prova. Quest’opera quanto più verrà udita e tanto meglio sarà apprezzata, chè la non è di quelle musiche floscie, le quali danno un certo qual gusto al primo udirle, ma poi generano noja e sazietà.

I Cantanti hanno adoperato con molto impegno a interpretar degnamente le intenzioni del maestro. Di certo la giovine signora Gazzaniga si è studiala con frutto a comprendere il carattere che il poeta volle dare alla ingenua, affettuosa e sventatella Loretta. A dir il vero è codesto un personaggio quasi sempre passivo nell’azione, ma il Mazzucato non mancò di tratteggiarlo col garbo conveniente a fare spiccare le modificazioni secondarie della penosa equivoca situazione in cui è mantenuta quasi fino al fine del dramma, non senza dispetto dello spettatore.

Nell’aria di sortita e nel rondò finale (che sono forse i due soli pezzi dello spartito trattati con forme non al tutto nuove e un pochetto anche barocche) la giovine cantante fa prova di perizia d’esecuzione, e riesce a buon effetto anche in alcuni passi nei quali si abbandona alla pericolosa ambizione di fare sfoggio di bravura. Il cantar piano e spontaneo abbellito da ornamenti sobrii e di buon genere è dato a pochissimi artisti: in generale la smania di superare le difficoltà e di far pompa di prontezza di gola è lo scoglio al quale inciampano non i soli esordienti ma ed anche i provetti. Il grande Teatro alla Scala ce ne offre continui esempii.

Or due parole dell’orchestra. - Essa è diretta dal bravo Ferrara, il quale avendo compreso che la stromentazione di quest’opera meritava d’essere presa con impegno, non lasciò sonnecchiare sui rispettivi leggii i suoi valorosi campioni. E per questo, l’esecuzione stromentale e degna di molti elogi, e mette voglia di istituire dei confronti dai quali voglio preservare e voi e me. Degli altri cantanti vi terrò discorso altra volta.

Il vostro C. G.


NOTIZIE MUSICALI ITALIANE

Milano. Abbiamo fra noi il maestro Domenico Quadri l’autore delle conosciute Lezioni di Armonia per facilitare lo studio del Contrappunto (2). Egli si propone di fare le pratiche applicazioni del suo sistema cogli studiosi che a lui volessero ricorrere per apprendere le norme dell’armonia e della composizione.

Roma. Gavino e Giuseppe Gondi Dray torinesi che non hanno ancora oltrepassato l’adolescenza si presentarono in uno de’ nostri teatri eccitandovi la generale ammirazione per la precoce bravura di maneggio sul violino. Taluno però non credette dover applaudire al coraggio che li spinge ad azzardare de’ passi che molti provetti suonatori difficilmente saprebbero ben superare, e che con piccole mani non ponno a meno di riuscire di una intonazione alquanto equivoca. Questi applauditi fanciulli, ricchi di belle speranze, possono col crescer degli anni persuadersi che il primo requisito di cui esser deve dotato un violinista e la giustezza de’ suoni!

Trieste. L’esito del Nabucco a Trieste ha pienamente confermato il voto dato dagli intelligenti in Milano sul distinto merito di questa musica.

Venezia. La Linda non piacque a’ Veneziani, forse anco a cagione dell'esecuzione imperfetta. Speriamo che il giudizio di altri pubblici italiani sarà più conforme a quello de’ Parigini e de’ Viennesi.

Firenze. L’Adelia del fecondo Donizetti al teatro alla Pergola ebbe lieta accoglienza, in ispecie la sinfonia, un duetto nel secondo atto, ed il rondò finale.

Parma. Un’Accademia di musica vocale ed istromentale a benefizio degli Asili d’infanzia nella sera del 6 corrente eccitò la generale soddisfazione. In essa con squisito criterio si alternarono i più aggradevoli pezzi delle varie scuole musicali: Mozart, con una sublime sinfonia stupendamente rappresentava la profondità alemanna, Herold la vivacità francese faceva palese in una brillante ouvertura. La valente nostra orchestra eseguì questi due pezzi con un’unione, un accento ed un brio che promossero le più fervide acclamazioni, le quali raddoppiaronsi a’ due nuovi Pot-pourri dell'egregio nostro primo violino De Giovanni, non meno ottimo direttore che abile compositore: l’uno immaginato sopra varj motivi della Lucrezia Borgia, l’altro concertato colla banda, con melodie tolte al Roberto, ambidue dovettero replicarsi. Anche i pezzi vocali vennero applauditi in ispecie quelli cantati dall'Hallez.


NOTIZIE MUSICALI STRANIERE


Vienna. Wieuxtemps diede tre concerti al Ridotto con sempre crescente successo: per sicurezza d’intonazione e robustezza di cavata questo violinista non teme rivali. Domenica, giorno 8, mentre Wieuxtemps era l’eroe della festa al Ridotto, Haumann nell’istessa ora ha voluto prodursi al Conservatorio, ma scarsissimi vi erano gli spettatori. Anche quest’altro concertista di violino ha gran talento. - Qui vociferasi non esser difficile che Wieuxtemps e Thalberg possano recarsi in Italia nell’anno venturo. - Al teatro di Porta Carinzia Standigl e la Lutzer vengono assai applauditi negli Ugonotti di Meyerbeer, opera profondamente concepita ed elaborata, e che contiene singolari bellezze.

(Da lettera del 14)


Spohr ha finito or ora un’Ouverture concertata. La sua sinfonia doppia per due orchestre (v. il numero precedente) sarà eseguita fra poco ne’ Concerts Spirituels.

— Il primo cantore della Sinagoga israelitica a Vienna, signor Sulzer, fece avere a S. A. il Granduca di Baden una sua opera musicale-religiosa, intitolata: Schir-Zion, e n’ebbe una preziosa medaglia d’oro con una lettera assai lusinghiera.

Berlino. Una nuova perdita ha fatto l’arte musicale nella persona del celebre pianista-compositore Francesco Schoberlechner. Egli morì il 7 gennajo dopo penosa e lunga malattia. La mattina del 10 si resero alla sua salma distinti onori funebri, ed il 14 si fece eseguire una solenne messa da Requiem a suffragio di lui. La consorte del defunto, l’esimia attrice-cantante Sofia Dall’Occa, che in questo teatro tedesco si meritò molte lodi nella Semiramide, nel Roberto il Diavolo, nel Don Giovanni e nel Belisario, è già partita onde portarsi a Firenze.

(Gasz. mus. di Vienna).


Praga. Fra le altre cose una corrispondenza di questa città dice: «Siccome ne’ tempi scorsi vi era una epidemia alla maniera di Liszt, così la maniera alla Robert le Diable è all’ordine del giorno presso i moderni compositori. Si lotta per l’effetto, e si è schiacciato dalle masse musicali, senza goder la menoma cosa. E con tali aborti di una fantasia morbosa si crede di superare i gran maestri!»

Altro Canone enimmatico del M. cav. Neukomm, messo ai di lui genitori nel 1837, a canto del monumento di Michele Haydn a Salisburgo.

Neukomm

Canon. IV. voc.

— In un carteggio della G. M. de Paris, in data di Vienna del 15 dicembre, leggiamo le seguenti parole «A malincuore dobbiamo annunziarvi che la Caterina Cornaro, di Lachner non produsse punto l’effetto che se ne aspettava, benché quest’Opera contenga delle eccellenti cose. Si avrebbe dovuto fare miglior accoglienza ad uno spartito per lo meno coscienzioso, sebbene non sia un capolavoro, tanto più quando si pensa che il compositore venne espressamente da Monaco per assistere in persona alle prove. In contraccambio si è qui oltre ogni dire prodighi di applausi alle Opere italiane più mediocri, a detta degli italiani medesimi. Tutto ciò ci dà la trista certezza che i Viennesi, almeno per quel che è della musica drammatica, hanno cessato di essere tedeschi!» A torto o a ragione domandiamo noi?

Ma il carteggio prosegue:

«Un attento esame della Caterina Cornaro ci fa discernere tre o quattro pezzi degni de’ più grandi maestri; e voglio dire il trio de’ Banditi, l’introduzione del quart’atto, nella quale l’autore ci prepara con bell’accorgimento a delle impressioni al tutto nuove. La sortita di Caterina nel quarto atto è un pezzo elaborato e finito, che avrebbe dovuto bastare ad ottener lieta accoglienza al maestro alemanno!»

— Il signor Bériot fece erigere nel cimitero di Lachen, presso Brusselles, un magnifico mausoleo, nel quale venne posta la statua della Malibran opera dello scalpello del signor Guglielmo Geefs.

— I fratelli Marquepie, editori di musica a Parigi, si accinsero con molta lode alla pubblicazione degli Spartiti dei Compositori illustri italiani e francesi, ridotti a pianoforte e canto. Si distinguono in questa pregevole raccolta le due belle traduzioni del Freyschütz di Weber e del Fidelio di Beethoven fatte dal signor Crevel de Charlemagne sulle partiture del teatro tedesco, unitamente al Messia di Haendel. Questa specie di pubblicazioni deve riuscire grandemente utile agli studiosi della musica coll’agevolare ad essi i mezzi di perfezionare gli sludii di composizione sui capolavori dei grandi maestri. Con tale scopo noi abbiamo appunto ideata la nostra Antologia classica, nella quale, come abbiamo cominciato col 1.° volume già compito, continueremo nel 2.° a dare i migliori e più opportuni saggi delle più lodate Opere antiche e moderne.



DIZIONARIO MUSICALE

CRITICO-UMORISTICO

Continuazione.


Articolo - Articolo in grammatica è una piccina parola, ma di grande importanza per chiarire il discorso, per esporre significati molti con parole poche; Articolo nel giornalismo è, come direbbesi, un brano, una foglia di un libro, ma questi brani, se mancano di entità, di peso tipografico, hanno però potenza grande in ragione della loro velocità nello spandersi per urbem et per orbem, del loro andar fra mani d’ogni specie di individui, dell’averessi mutati in altrettanti gabinetti di lettura tutte le botteghe da Caffè, dell’avere surrogato le vecchie disusate trombe della mitologica fama. Ma soprattutto poi sono gli Articoli un affar serio assai per le numerosissime classi de’ Musico-professori, de’ Musico-dilettanti, de’ Musico-intelligenti, e per la sterminata dei Musicomano-inscienti. È immensa la facoltà che il progresso ha conferito agli articoli teatrali. Un cantante che abbia inutilmente sudato anni lunghi per meritarsi la fama di bravo artista, trova un potente sussidio in un articolo che con un tratto di penna te lo rende più che non sperasse eccellente, te lo proclama esimio, inarrivabile, ed accadde perfino che un articolo arrivò a portarne uno fino all’immenso... Articolistica potenza!! E fin qui parrebbe da supporsi che gli articoli de’ Giornali discorrenti di musica dovessero essere oggetti di passionato amore per tutti i figli della dolce Euterpe; ma succede tutt’altro, perché, se il più delle volte gli articoli hanno coraggiosa non dirsi nel cacciar su in alto i nani dell’arte, hanno però tante volte la forza di cacciarli giù al livello della loro picciolezza, comprimendo la forza clastica della presunzione, e di innalzar invece i bravi alla meritata fama, ed ecco fonti inesauste di ire, di sdegni, di maledizioni da tutti i moltissimi che nel termometro dell'arte sono segnati fra il Mediocre e l’Infimo. È dunque indubitato che gli Articoli de’ Giornali posson essere di grave danno o di vantaggio grande all’arte ed agli artisti musicali; ai bravi col divulgarne la bella rinomanza, ai mediocri modesti coll’istruirli, incoraggiarli, ai presentuosi col metterli placidamente in derisione donec corrigantur, agli infimi col persuaderli a cercar posto fra le Comparse. E possono essere in pari tempo gli Articoli titoli di onore o di disprezzo per chi li scrive. Ed a sapere qual sia la molla che spinge forse alcuni Giornalisti a meritarsi il disprezzo nello scrivere di musicali bisogne, vedi Oro - Associazione, poi cerca subito Giornalista e poi più indietro alla brutta Adulazione.

N. E. Cattaneo.




GIOVANNI RICORDI

EDITORE-PROPRIETARIO.




Dall’I. R. Stabilimento nazionale Privilegiato di Calcografia, Copisteria e Tipografia Musicale di GIOVANNI RICORDI

Contrada degli Omenoni N. 1720.

  1. Riprodotta al Teatro Re, la sera del 15 corrente.
  2. Veggansi gli articoli critici dati in questa Gazzetta dal signor maestro L. Rossi.