Giro del mondo del dottor d. Gio. Francesco Gemelli Careri - Vol. III/Libro III/VI

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Cap. VI

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CAPITOLO SESTO.

Navigazione sino a Malaca.


E
Ssendo di già alla vela il vascello, mi posi in Ballone il Lunedì 16. ed andai ad imbarcarmi nel medesimo. Verso la sera s’imbarcarono parimente il P. Manuel Ferrera Portughese, Missionario di Tunchin (che portava una venerabile, e lunga barba) il P. Giuseppe [p. 291 modifica]Candoni Siciliano, che passava alla sua Missione di Cocincinna (quali Padri erano prima stati chiamati in Roma dalla s. m. d’Innocenzio XI. perche non aveano voluto ubbidire a’ Vescovi, e Vicari Apostolici Francesi de’ detti Regni, con grave scandalo de’ Cristiani, che vedevano gli Ecclesiastici scomunicarli l’un l’altro) ed altri otto PP. Gesuiti, di varie nazioni, che similmente passavano in Cina; oltre gli altri dieci, che andavano nel vascello de’ Mercanti di Goa, detto Pumburpà, sul quale era portato il Lione, di sopra mentovato.

Tanta è l’autorità, e stima, in cui stanno i PP. della Compagnia nell’Indie, che la sera venne il Signor V. Re, a visitare quelli, che s’erano imbarcati sopra i due vascelli; e dimorò in queste due visite sino a mezza notte. Con tale occasione volle raccomandarmi egli stesso al Capitano, dicendogli: che io era un gentiluomo curioso, che andava vedendo il Mondo, perciò mi trattasse bene. Però poco buono effetto partorì la raccomandazione, perche il Capitano, allevato nella Cina, s’era dimenticato affatto della gentilezza, e generosità Portughese, (che in ogni luogo ho sperimentata verso di me, [p. 292 modifica]maggiore, che co’ loro stessi naturali) nè si curava troppo della buona qualità, e del merito altrui. Partito che fu il V. Re, si tolsero l’Ancore, e cominciarono ad essere rimorchiati i vascelli da molti Parao (sono lunghe barche di 60. remi) e Balloni; assistendovi i Piloti della Città, per portargli fuori del Banco, ch’è avanti il Forte di Gaspar Diez; presso il quale rimasero il Martedì 17. per essere il vento forte.

Il Mercordì 18. continuando l’istesso vento, e non aspettando i Piloti della Città, che si mitigasse; tirarono su le ancore due ore prima del giorno; e principiarono a far rimorchiare di nuovo i vascelli da’ Balloni, e Parao. Ma rinforzandoli più il vento, mentre voleano evitare lo scoglio, diedero amendue nel banco d’arena; avverandoli quel detto: Incidit in Scyllam cupiens vitare Carybdim. Temendosi intanto, che venendo la corrente piena (essendo allora nella mancanza) il vascello non si aprisse; ogn’uno proccurò trarne la roba fuori, (particolarmente il danajo) e portarla a terra: e male per gli Piloti della Citta, se vedendo arrenati i vascelli, non fuggivano. Io condussi anche la mia roba in un [p. 293 modifica]vascello della Costa; e lasciato lo schiavo in guardia della provvisone da bocca, passai in Goa, per ottenere altra licenza dal Santo Officio, d’imbarcare il Nero sul vascello della Costa, in caso che i vascelli arrenati si rendessero inabili al viaggio; e l’ebbi con gran fatica, per la cagiona suddetta.

Mentre io era ancora in Goa, il V. Re, fatti venire molti Parao, e Balloni, andò egli in persona, a far tirare (coll’ajuto della piena) i vascelli; quali usciti dal Banco, rientrarono, per far di nuovo l’acqua, che aveano buttata per alleggerirsi. Il buon Piloto, e Contramestre del nostro vascello, aveano gettata altresì la provvisione, e frutta de passaggieri; ma non la loro, che poi si mangiarono a crepa pancia. Licenziatomi di nuovo dal Padre Prefetto Galli, e dal Padre Visconte, rivenni al vascello, e vi riposi le valige; però non seppi, che aveano gettato in mare tre miei gran canestri di manghe, altrimenti mi sarei provveduto d’altre frutta.

Non uscimmo fuori il Giovedì 19. per mancanza de’ Piloti della Città; ma sul far del giorno il Venerdì 20. con un buon vento Maestro, si fecero in Mare il nostro vascello del Rosario, il Pumburpà, [p. 294 modifica]e quattro altri, ch’andavano alla Costa. I PP. Gesuiti, siccome erano stati i primi a scendere, così vollero essere gli ultimi quel giorno, ad imbarcarsi di nuovo. Continuò l’istesso buon vento il Sabato 21. e tutta la seguente Domenica 22.

Il Lunedì 13. per mezzo della Valestriglia, presa da’ piloti l’elevazione di Polo, ci trovammo all’altezza di Coccin. Avevamo giorno, e notte piogge grandi, con vento impetuoso; però non duravano più d’una ora. Le chiamano Sammatre dall’Isola di tal nome. Continuando il Martedì 24. a gir colla prora a Mezzo dì, ci trovammo, giusta il parer de’ Piloti, all’altezza del capo di Comorin: ch’è simile al capo di Buona speranza. Egli si è da sapere, che quivi s’osserva una gran stravaganza della natura; cioè che nello stesso tempo che lungo la Costa, che riguarda Goa, e in Goa stessa è Inverno; nella Costa contraria, sino al Regno di Golconda, è State; e così si passa dall’Inverno all’Estate in poche ore: ciò che sperimentano tutto dì i naturali di Madurè, Tiar, Tangiaur, Ginge, Madrastapatan, i popoli de’ Naichi, ed altri Principi Gentili. [p. 295 modifica]

Il Mercordì 25. presa l’elevazione, stavamo all’altezza di Seilon, e Capo de’ Galli: novella, ch’empiè di giubilo tutti i viandanti, vedendosi sicuri di proseguire il viaggio; perche se, prima di giungere in tal luogo, sopravveniva vento di Mezzo dì, non si sarebbe potuto passare oltre; ma sarebbe stato d’uopo correre verso Settentrione (come accadde a’ due vascelli della Cina, partiti nel 1693. che andarono a ricovrarsi dalla tempesta, uno in Daman, e l’altro in Bombain:) all’incontro fattici all’altezza di detto Capo de’ Galli, qualsivoglia vento, che fusse sopraggiunto, non potea il nostro cammino frastornare. Eravamo quivi, secondo il calcolo de’ Piloti, 600. miglia lontani da Goa.

L’Isola di Seilon, o Seilan, oltre la preziosissima cannella (che và per tutto il Mondo) tiene buonissimi Elefanti (com’è detto di sopra) e una montagna, che produce cristallo di rocca, del quale si fanno in Goa bottoni, corone, ed altri lavori.

Il Giovedì 26. ci trovammo ad altezza di 6. gradi, a fronte del Golfo di Bengala: e perche nel medesimo escono tutte le bocche del Gange, e d’altri fiumi, aggiunta la natural corrente dell’acque [p. 296 modifica]da Mezzodì a Settentrione, e’l Mare non poco turbato; il vascello andava bene spesso per traverso, e ne facea vegghiare continuamente tutti, per lo timore. Il mentovato Regno di Bengala vien riputato il più fecondo, ed abbondante, che abbia il Mogol, a cagion de’ suoi fiumi. Vi si fa gran commercio di sete, tele, e varj drappi.

Osservata tale altezza, si dirizzò la prora a Levante: e continuando l’istesso vento, e piogge, ci trovammo il Venerdì 27. all’incontro l’Isole Maldive. Il Sabato 28. ci accompagnò l’istesso buon vento, però collo stesso andare a traverso, da’ marinai detto Bilanzo. La Domenica 29. seguitò l’istesso vento, ed avemmo il dispiacere della morte d’un marinaio, che gittarono poi in Mare. Il Lunedì 30. cessò affatto il vento; però il Martedì ultimo fece ritorno. Si rinforzò il Mercordì primo di Giugno; e’l Giovedì 2. continuò favorevole.

Il Venerdì 3. fummo a veduta dell’Isola di Nicobar, essendo divenuto il vento più forte. Quest’Isola paga tributo all’Isola di Andemaon, o Andemone, in tanti corpi umani, per esser pasto degli abitanti della medesima. Costoro, fiere più tosto, [p. 297 modifica]che nomini, hanno in costume, ferito il nemico, correre avidi a succhiar per l’apertura il sangue, che sgorga. Gli Olandesi faranno piena testimonianza di tanta crudeltà; poichè essendo andati, con cinque vascelli, a soggiogargli; scesi 800. di loro a terra, avvegnache bene si trincerassero per difendersi da quei silvestri uomini; furono non pertanto presso che tutti uccisi, ben pochi avendo avuto in sorte di salvarsi sulle navi.

Mi riferì Luis Francesco Coetigno Generale di Salzette, che il motivo potente, che spronò gli Olandesi a tentarne l’acquisto, si fù la voce sparsa; che nell’Isola suddetta si trovasse un pozzo, la di cui acqua convertiva il ferro in oro, e che fusse la vera pietra filosofale. Era corsa una tal voce, perche gl’Inglesi d’un vascello, ricovratosi nell’Isola, per una fiera tempesta, videro, che versatosi un poco d’acqua da un vaso (che portava un’uomo dell’Isola) sopra un’ancora; la parte bagnata si convertì in oro; e dimandato da essi, onde avesse tolta quell’acqua, rispose: da un pozzo dell’Isola; dopo di che fu ucciso per gratitudine. Se veramente vi sia questo pozzo, ed acqua, io non posso affermare, o negare: dico [p. 298 modifica]solamente, che il fatto degl’Inglesi mi fu narrato dal Padre Manuel Ferrera, e dal Coetigno Cavaliere dell’Abito di Cristo, in presenza del Pad. Galli in Goa, il quale stava anch’egli inteso del succeduto. Nel rimanente, non persona Europea, nè Asiatica può averne maggior certezza; perche quei popoli non hanno commercio con Nazione alcuna del Mondo.

Il Sabato 4. continuando tuttavia lo stesso buon vento, ci facemmo all’incontro la punta d’Acen; dove comincia il Mar Malayo, detto così da’ Malay, che abitano quelle Isole. Acen è alla punta Occidentale dell’Isola della Sammatra; Paese, che non è governato altrimente da un Re, come crede il Tavernier to. II l. 12 p. 414., ma sempre da una Regina; escludendosi per le leggi del Regno i maschi dalla successione.

Sono altri Re, e Principi nell’Isola della Sammatra di Religione parte Maomettani, e parte Gentili; i di cui sudditi sono poco meno Barbari di quelli di Andemaon: in particolare gli abitanti d’una montagna, detta Bara (cioè pietra) non lungi da Acen, giuocansi crudelmente la vita l’un l’altro. Finito il giuoco, il vincitore lega il perditore, [p. 299 modifica]‡aspettando tutto il resto del giorno, che vena alcuno a ricomprarlo: e non venendo, l’uccide, e se lo mangia; siccome mi riferì il Coetigno, che avea scorso il Regno d’Acen dentro terra. Credono fermamente i Naturali, che un moribondo, mangiandosi un Cuculo arrostito, s’apra il cammino del Paradiso; onde non è cattivo negozio, portar di tali uccelli nell’Isola. Per altro è molto fertile, e ricca. Se ne prende quantità d’oro in polvere (onde vien da alcuni riputata l’Aurea Chersoneso degli antichi P. Maffæi Histor. Ind. l. 4. p. 96.) stagno, ferro, canfora, zolfo, sandalo bianco, e pepe. Di pepe gli Olandesi comprano ogni anno 50. mila Picchi (ogni picco è 130. libbre di Spagna) per venderlo a’ Mori; a’ quali piace sopra ogn’altro, perche essendo più picciolo, lo pongono intero nel pilao. L’aria però è cattiva, particolarmente a’ stranieri.

Cessò il vento la Domenica 5. presso quest’Isola, come sempre suole; onde bisogna, per la continua calma, consumar tanto tempo, in 250. miglia, che sono di là a Malaca, quanto in 1500. che vi si contano da Goa (secondo il detto de’ Piloti.) Oltre la mancanza del vento, vi sono le correnti sempre contrarie, che fanno [p. 300 modifica]tornare più tosto in dietro, che andare avanti i vascelli: onde noi avvedendoci di non poter dar fondo, per la profondità, fummo sforzati di scendere (camminandosi quivi sempre vicino terra) per piantar l’ancore; acciò non andassimo indietro, sopraggiugnendo la corrente contraria.

Il Lunedì 6. continuò l’istessa calma, e mancò anche per me il vento della tavola del Piloto; non avendo voluto più darmi da mangiare: e quello, che mi spiacque maggiormente si fu, che di 30. galline, portatemi da Goa, dopo averne consumate sette, l’altre tutte se n’erano volate; accidenti, che sogliono sopravvenire a’ viaggianti. Ritornato il vento il Martedì 7. ci facemmo avanti, colla prora quasi diritta a Mezzodì; e lasciando indietro l’Isola de los Degradados (dove i Governadori d’Acen confinano i delinquenti) giugnemmo a fronte dell’Isola della Reina: ricuperando il cammino di 50. miglia, perduto per la corrente contraria. Però il Mercordì 8. non solo cessò il vento, ma non potendosi dar fondo, la corrente portò il vascello sei miglia indietro.

Con poco vento il Giovedì 9. ci [p. 301 modifica]andammo avvicinando all’Isola suddetta; sicchè tardi demmo fondo in 18. braccia, d’acqua, un miglio da terra lontani. Il Venerdì 10. si tolse, e pose tre volte l’ancora, per difetto di vento; siccome fece anche il vascello Pumburpà, e un’altro Inglese. Il Sabato 11. di buon’ora si mosse un vento fresco, che ci portò avanti. Chiamati alcuni Malay, abitatori dell’Isola, che andavano pescando, non vollero venire: e due, che ne diedero orecchio, si tennero ben lontani, per timore. A costoro essendosi dato biscotto, con alcuni vasi, per far acqua, mai più non si videro. Questi abitatori dell’Isola vivono peggio che Bruti: e le loro umili capannuccie (siccome lungo tutta la costa trascorsa) non ponno per alcun conto vedersi, a cagion de’ folti, e verdi alberi, che le circondano. Mi riferirono, che in Acen medesimamente siano tutte capanne, e che solamente il palagio della Regina (ch’era allora una Vecchia) è di legno, con una cattiva Fortezza fangosa.

Passata 80. miglia la Serra della Reina, la corrente non è sempre contraria, ma alternamente sei ore favorele, e sei altre contraria. Il caldo vi si fa sentire orribilmente, perche le [p. 302 modifica]summatre, o piogge, che nel golfo sono continue, ed impetuose, quivi sono rare, e più placide. Essendo cessato il vento la Domenica 12. si mandò lo schifo a terra, per far legna, ed acqua; però di questa non se ne trovò.

Il Lunedì 13. ne facemmo sino alla punta di Targiapur (dove sbocca un buon fiume) grata a’ naviganti, perche da indi in poi le correnti non sono tanto rapide. Il Martedì 14. si fece poco cammino; prima con vento di terra, e poi di Mare: ma in peggiore stato ci trovammo appresso, perche affatto cessò il vento il Mercordì 15. Il Giovedì 16. spirò molto poco; e di nuovo nulla il Venerdì 17.

Il Sabato 18. c’innoltrammo alquanto a vista dell’Isola della Polveriera; però mancato il vento, non potemmo pervenirvi, se non la Domenica 19. che le stemmo a fronte. Ella è di due miglia di giro, fornita di molti alberi, e di un buon ruscello; però non è abitata. La notte seguente fummo bene bagnati da una gran pioggia: perocchè da quest’Isola in poi ricominciano le summatre, e seguitano sino a Malaca; non mancando mai o di giorno, o di notte. [p. 303 modifica]

Il Lunedì 20. il vento contrario non ci permise di far cammino, se non quanto ci avvanzammo a vista delle due Isolette, dette da’ Portughesi las dos Ermanas, o due Sorelle, perche sono fra di loro vicine. Parimente il Martedì 21. stemmo all’incontro dell’Isola d’Arù, circondata da molti scogli: e’l Mcrcordì 22. traversato il canale, ne facemmo vicini a Terra ferma; sicchè il Giovedì 23. eravamo a fronte del monte Pulporselar.

Il Venerdì 24. navigammo sempre lungo la Costa (coperta di spessi alberi) ove signoreggia un Regolo, che vive fra boschi, a modo di bruto. Il Sabato 25. incontrammo molte barche Cinesi (dette Some) cariche di riso, che andavano nel Capo d’Acen. Avevano quattro vele di stuoje: due di fuori al grande albero, come ale d’uccello, che vola, distese per mezzo di due gran legni; un’altra all’albero picciolo, e la quarta allo sperone. La forma poi del legno è stravagante, perche è tanto grande la prora, quanto la poppa. Verso la sera stemmo vicini al Capo Racciado.

La Domenica 26. essendo già a vista di Malaca, sopraggiunse un vento contrario, che ne impedì l’entrata nel porto, [p. 304 modifica]e ne costrinse a por l’ancore; ma il Lunedì 27. di buon’ora si diede fondo nella spiaggia della Città. Poco dopo postomi in barca, fui a terra col Capitano, ed andai a provvedermi di stanza in un’albergo.