Guerra de' topi e delle rane/Canto secondo

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Canto secondo

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Omero - Guerra de' topi e delle rane (Antichità)
Traduzione dal greco di Giacomo Leopardi (1821-1822)
Canto secondo
Canto primo Canto terzo



Leccapiatti, che allor sedea sul lido,
Fu spettator de l’infelice evento;
S’accapricciò, mise in vederlo un grido,
Corse a recar la nova, e in un momento
Di corruccio magnanimo e di sdegno
Tutto quanto avvampò de’ topi il regno.



2Banditori n’andàr per ogni parte
Chiamando i sorci a general consiglio.
Concorde si levò grido di Marte,
Mentre di Rodipan l’estinto figlio
Nel mezzo del pantan giacea supino,
Né per anco a la ripa era vicino.



3Tutti quel giorno appresso di buon’ora
Levarsi e a casa andàr di Rodipane.
Gli sedevano intorno, e quegli allora
alzossi e prese a dire: "Ahi triste rane
Che a me recaro atroce, immenso affanno,
A voi tutti però comune è il danno.



4Sciagurato ch’io son! tre figli miei
Sul più bello involò morte immatura:
Per lo ribaldo gatto un ne perdei;
Lo si aggraffò ch’uscia d’una fessura:
La trappola, con cui feroce e scaltro
L’uom fa strage di noi, men tolse un altro.



5Restava il terzo, quel sì prode e vago,
A me sì caro ed a la moglie mia.
Da Gonfiagote a naufragar nel lago
Questi fu tratto. E che badiamo? Or via
Usciam contro le rane, armiamci in fretta.
Peran tutte, ché giusta è la vendetta."



6Taciuto ch’ebbe il venerando topo,
Fecer plauso gli astanti al suo discorso;
"Armi," gridaro, "a l’armi"; e pronto a l’uopo
Venne di Marte il solito soccorso,
Che le persone a far via più sicure
L’esercito fornì de l’armature.



7Di cortecce di fava aperte e rotte
In un punto si fer gli stivaletti
(Rosa giusto l’avean quell’altra notte);
Di canne s’aiutàr pe’ corsaletti,
Di cuoio per legarle, e fu d’un gatto
Che scorticato avean da lungo tratto.



8Gli scudi fur di quelle audaci schiere
Unti coperchi di lucerne antiche;
Gusci di noce furo elmi e visiere;
Aghi fur lance. Alfin d’aste e loriche
E d’elmi e di tutt’altro apparecchiata,
In campo uscì la poderosa armata.



9De le ranocchie il popolo si scosse
A la triste novella. Usciro in terra;
E mentre consultavano qual fosse
L’improvvisa cagion di quella guerra,
Ecco venir Montapignatte il saggio,
Figlio del semideo Scavaformaggio.



10Piantossi fra la turba, e la cagione
Di sua venuta espose in questi accenti:
"Uditori, l’eccelsa nazïone
De’ topi splendidissimi e potenti
Nunzio di guerra a le ranocchie invia
E le disfida per la bocca mia.



11Rubabriciole vider co i lor occhi
In mezzo al lago, ove lo trasse a morte
Gonfiagote il re vostro. Or de’ ranocchi
Quale ha più saldo cor, braccio più forte,
S’armi tosto e a pugnar venga con noi."
E detto questo fe’ ritorno a i suoi.



12Ne’ ranocchi un tumulto allor si desta,
Di Gonfiagote il rege ognun si dole,
Trema e palpita ognun per la sua testa,
Né l’amara disfida accettar vuole:
Ma de la funestissima novella
Per consolargli il re così favella.



13"Cacciate, rane mie, questi timori,
Ch’io, come tutti voi, sono innocente;
Non date fede a i topi mentitori.
Ben so che certo sorcio impertinente;
Del notar che voi fate emulo e vago,
Si mise a l’acqua e s’affogò nel lago.



14Nol vidi tuttavia quando annegossi,
Né la cagione io fui de la sua morte.
Ma di color che a nocervi son mossi
Non è la razza vostra assai più forte?
Corriamo a l’arme, e de lo sciocco ardire
Ne la battaglia avrannosi a pentire.



15Udite attentamente il pensier mio.
Ben armati porremci su la riva
Tutti là dov’ertissimo è il pendio.
Aspetteremo i topi, e quando arriva
La loro armata, tutti lor da l’alto
Costringeremo a far ne l’acqua un salto.



16Così fuor d’ogni rischio in un sol giorno
Distruggerem l’esercito nemico,
Né fia chi dal pantan faccia ritorno.
Date orecchio pertanto a quel che dico:
In assetto poniamci allegramente,
Ché sbrigheremci or or di quella gente."



17Ubbidiscono a gara e con le foglie
De le malve si fanno gli schinieri;
Bieta da far corazze ognun raccoglie,
Cavoli ognun disveste a far brocchieri,
Di chiocciole ricopresi la testa,
E a far da mezza picca un giunco appresta.



18Mentre vestita già con fiero volto
Sta l’armata sul lido, e i topi attende,
Giove allo stuol de’ numi in cielo accolto
Le due falangi addita, e a parlar prende:
"Vedete colaggiù quei tanti e tanti,
Emuli de’ centauri e de’ giganti?



19Verran presto a le botte. Or chi di voi
Per li topi starà, chi per le rane?
Giuro, o Palla, che i topi aiutar vuoi,
Che presso a l’are tue si fan le tane,
Usano a i sacrifizi esser presenti,
E col naso t’onorano e co’ denti."



20Rispose quella: "O padre assai t’inganni:
S’andasser tutti a casa di Plutone,
Per me non fiaterei, ché mille danni
Fanno a’ miei templi e guastan le corone
Che i devoti consacrano al mio nume,
E suggon l’olio, che si spegne il lume.



21Ma quel che più mi scotta, e quel che mai
Non m’uscirà di mente, è che persino
Mi rosero il mio velo. Io ne filai
La sottil trama. Era gentile e fino;
Ch’io l’avea pur tessuto: e già mel trovo
Tutto forato e guasto, ancor che novo.



22Il peggio è poi ch’ognor mi sta dintorno
Il cucitor, che vuol la sua mercede.
Pagar non posso, e quegli tutto il giorno
Mi viene appresso, e la mercè mi chiede.
La trama, che già fecimi prestare,
Oggi né render posso né pagare.



23Ma i lor difetti hanno le rane ancora,
E pur troppo una sera io lo provai.
Ritornata dal campo a la tard’ora,
Stanchissima a posar mi collocai;
Ma dormir non potei né chiuder gli occhi
Dal gracidare eterno de’ ranocchi.



24Vegliar dovei con fiero duol di testa
Fin quando spunta la diurna luce,
Allor che il gallo svegliasi e fa festa.
Orsù verun di noi schermo né duce
Si faccia di costor che in guerra vanno:
Abbiasi chicchessia vittoria o danno.



25Ferito esser potria da quelle schiere
Un nume ancor se fosse ivi presente.
Meglio è fuggire il rischio, ed a sedere
Star mirando la pugna allegramente."
Disse Palla: e a gli Dei piacque il consiglio.
Così piegaro a la gran lite il ciglio.