Hypnerotomachia Poliphili/XXXI

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APENA POLIPHILO HEBBE TERMINATO LA SUA NARRATIONE, CHE POLIA GLI DICE DEL SUO VEHEMENTE AMORE INTIMAMENTE SAUCIA, ET DI AMARLO MOLTO AVIDISSIMA, CUM VARIE EXEMPLIFICATIONE. ET PER MANIFESTARE IL SUO URGENTE AFFECTO, GLI DEDE UNO PERSUAVE BASIO PER ARRA DEL SUO EXCESSIVO AMORE. ET QUELLO CHE LA VENERABILE ANTISTA RESPONDE NARRA.

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QUALMENTE IO NON SO CUM QUALE remuneratione Poliphile amantissimo mio. Si non cum sincera fide, et cum verace et ardente amore et cum dolce et eximia pietate alla crudele iniuria illata convenientemente supplendo di ricompensare. Cum aequa vicissitudine, et non cum minore pietate remunerata delle Hyade. Diciò che non meno me commove et provoca la tua honesta petitione, che la praesentia tua per me languescente. Di hora in hora successivamente da quella iudicando sencia fallo compertissimo havendo essere lo effecto. Non altramente crucioso apparendomi che Hectore interempto per la volabile pulvere tracto, cum discorsi grandi di fumido sangue, et cum la flava caesarie cruentata, et cum la facia oblinita et pulverulenta dinanti gli ochii lachrymiferi della dolente et dilectissima Andromeda. O core mio. O solo bene mio. O sperancia dolce, essendose il tuo cruciato et confixo core atristato per mia ferecia di animo interverso, saevo, diro et impietoso, et di errore decepto sì protracto di tempo amaricatose. Trahendo la nogliosa vita in incessabili fleti et pianti. Et nel praesente pieno et stivato nauticamente di tribulosi insulti di amore ad gli mei lachrymabondi ochii rapraesentato. Et di volere sequire la granditate del nobile et digno animo tuo, et di excellentia di amore fervidamente ornato. Il quale hora non troverae sorda et inane audientia. Et diciò in paucula horula vedrai ponere modo, et salubre fine agli tui dolori. Che essendo licente domesticatose uno caeco disio dagli tui edaci ochii del core mio, nel promptissimo pecto, ancora io non me trovo immune né vacua, anti participevola communico cum gli tui mali. Per la quale cosa, non intendo di risparmiare la vita mia che iace nel tuo arbitrio et volere. Et la florida mia et illaesa fanciullecia, agli tui ardenti desiderii, et gratiosi voti deferire. Et non usando già quello che per avanti io ragionevolmente doveva, potria facilmente incorrere nelle inevitabile ire del mio signore Cupidine. Dove [p. 433 modifica]cum omni solemne et ratificata fide et firmatissima lialtade. Ho me disposta teco del tutto amorosamente vivere. Et di non essere per niente condemnata nel sancto collegio degli incoronati amatori. Nel conspecto della Divina Matre, et del volante Dio suo individuo figlio di obstinata immanitate. La ira del quale me spaventa, conciosia cosa che ello di quella mi habbi parte ominosamente monstrato minitante.

Ma tu che cusì festivo et perpete alle furiose facole, et a questo angarioso pondo di esso enorme Cupidine perpetuo mancipio succumbere volesti. Et tanti iniusti agitamenti, et penosi vulneri, per me intimamente tolerato hai. Extimo aequissimamente che ancora per me versa vice et realmente adimpii il gratioso et emerito volere tuo, et l’ardente disio satisfacendo refrigerare. Et della mia illibata et florida persona licente prehendi dilecto copiosamente. Onde Poliphilo animula mia dulcicula, et amorosula, unico praesidio mio, et Bulla triumphale del pecto mio, et Asylo tutissimo, ove securamente confugio, nel praesente impulsa dallo insolente et impulsore Cupidine. Thesoro mio sopra tutti gli gioielli del mondo appretiatissimo. Non più praesto quivi circumspectatrice te viddi, te cupidamente mirai, che fracta et spreta qualunque duritudine, et exclusa omni contradictione, disposime, cum mie piacevole voce respondere, et placidamente al tuo pretioso amore, cum tutto l’animo, cum tutto il core, cum tutto il potere mio benignamente assentire. Il perché già nello intrinsico degli praecordii, anci nella basi della vita mia, et di l’alma arsa et perusta ineritamente ad uno et l’altro voglio opportunamente remediare. Dubitando sanamente, che la inexorabile crudelitate ad quelle vidute fanciulle usata, monstruosamente monentime, in me per niuna cagione più se ritrovase. Lympidissimamente coniectando, che Eurydice Rodopea non sarebbe stata dalla venenosa vipera mordicata, né poscia per quello sopra le treiuge da Plutone all’infere et tartarine sedie, et alto Barathro devehecta. Si essa ad Aristeo placivola se havesse praestata. Né Daphne per il simigliante figlia di Peneo di Thessalia, non se harebbe vanamente pentita delle verdigiante fronde, Phoebo non praestolante, si ad gli novissimi exorati se havesse monstrata agevola. Nec etiam Heperie parimente dal tortuoso serpe harebbe provato la mortale dentatura, si essa ad Esaco benigna stata se fusse. Et Arethusa Nympha lavantise nelle onde Alphee, non mutati harebbe gli virginali membri in fluente aquule nel suo subterraneo alveolo, si ad Alpheo mansueta se havesse demonstrata. Et Pico per contale risistentia, et fugella, non induto di ventilabonde plumule se harebbe, si a Cyrce consentaneo se havesse reddito. Per queste tale fugacitate molti hano experto, che cosa è agli grati amori essere fugaculo et renuente. Et oltra D iii [p. 434 modifica]questo, quanto cum acritate d’ingegno posso coniecturare, gli caldi et stelliferi coeli, la spatiosa et frugigera et altrice terra, et il mare undisono, il potente figlio della Divina Venere, cum Dominio strenuamente possede, penetrabile ovunque vole, sencia obstante contrapositione. Né credo che clavata toraca, né trilicata Lorica, né chalybicea galea, né munimento Scutaceo, quantunque fatale si fusseron, potrebbe resistere, né respuere né contra durare, al fulgurante impeto del suo sagittante et Ithyreo arco. Et in qualunque aspero et torvo Core, quantunque rigido, quantunque reluctante, quantunque fugacissimo et pertinace, et quantunque di asperitate imbricato, et quantunque di dominio illato, che gli sui celeri et pungenti strali non perfodino. Dubitarei dunque che cum tale malefice sagitte irato (contra tanta mollicia di animo) intemperatissimo bacchabondo, et contra me di omni tutamento inerme, non tirasse, et poscia mai per piangere, né per sospiranti gemiti essere flexibile. Quale allo elegante giovane inexorabilmente displicibile ad Echo Nympha, sopra il gelido fonte, in purpureo fiore, ne fece crudele vindicta. Né Syringa displicivola et rusticula si a Pana amorosa havesse consentita, forsa ad ello non sarebbe stata gratioso instrumento. Laonde ancora non essentime mansuefacta negli sui officii, si non di persentire uno morsicante appetito di questo Poliphilo. Donna pientissima, subitamente principiai, poscia che agli ochii mei pietosi, la smarita praesentia di colore faciale obliterato, et tutto moesto se offeritte. Et alle vigilantissime orechie mie, gli lepidissimi parlari, et dolci lamenti perveneron, perfusa di amoroso ardore, ho ischiantato il core mio per medio. Non altramente loeta et gratiosa ad esso, et placivola rendentime, che Atalanta ad Hippomane. Et la piacevola Regina di Carthagine all’aventicio figlio di Anchise. Et il feroce Leone ad Androdo captivo dilacerando. Dunque ritorna alacre et festevole et iocundissimo Poliphilo mio gaudio mio, loetitia mia, solatio mio, sperancia mia, Confugella mia, et amore mio ardentissimo, che tanto per l’avenire, di me prenderai dilecto praecipuo, et solatioso contento sentirai, che gli tui praeteriti cruciati, et erumne retrograde dementicarai. Gli quali modo per mie blandimenti et agevolecie sarano dispersi. Né più, né meno che gli nebioni nasciuti et concreti da pantanosa terra, per l’aire, dagli sforcevoli venti se risolvano. Et como minuto pulvere per l’aire volabondo si evanesce. Et hora tolle questo amoroso basio (cum assuetudine virginale amplexantime) per arra del mio infiammato core, et di excessivo amore concepto, et ello me perstrinse, et io cum la purpurissima buccula rotundula, et cohumidula, [p. 435 modifica]saviando, sorbiculante, cum incursante obvio mutuamente di linguario morsiunculo zacharissime.

Hora havendo folpaceamente esso basiato, et ello probamente me Saviato. La veneranda et sacra Matrona, che ’l tutto vedeva et assentiva, et audiva, da dulciculi suspiriti commota, et le astante, et facti gli ochii roridi, et maravegliatose, cusì incomincioe a dire. Amorosi Iuveni parendomi la intentione vostra cognoscere, tutta è d’amore mutuamente accensa. Per tanto non è opportuno che quello che in uno et in l’altro chiaramente veddo composito, et unanime, che io me interpona conciliabonda. Che optimamente intra vui lo haveti aconcionato, et del tutto satisfacto. Sì che ad me parebbe di soperchio aiungere altro adiuvamento ad questa piacevola opera la quale, amore che tutte simigliante cose move, ello hora per sé ve hae chiamati et opportunamente conciliati. Per la quale cosa havendo io parte, cum summo oblectamine inteso di uno vostro litigio et discordia, et alquantulo tu Poliphilo lo hai tacto, che summopere mi è grato intendere, dunque compendiosamente recita et disertabondo dimmi, como fosti di Madona Polia cusì extremamente d’amore lancinato. Et ella per uno certo suo aspero rito renueva ad sì dolce acto. Perché il tuo dire assai, et molto mi atalenta et D iiii