I divoratori/Libro secondo/XXIV

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XXIV.

Ma prima che Bemolle potesse andare a casa sua, si dovevano ancora dare quattro concerti a Milano.

— Milano è la città che deve darti il battesimo dell’Arte, — disse ad Anne-Marie il giovane Commendatore-editore di musica, arbitro delle arti liriche nel mondo milanese. — In fatto di musica, Milano è l’unica città che conti. [p. 371 modifica]

E negli occhi del Commendatore — occhi grigi e penetranti come l’acciaio — passò il lampo d’un sorriso.

— Questo me l’hanno già detto anche a Berlino, — disse Anne-Marie.

— Anche a Vienna, — disse Fräulein.

— Anche a Parigi, — soggiunse timidamente Nancy.

— Appunto perciò lo diciamo anche noi, — disse il giovane Commendatore, passandosi la mano fine sul mento sbarbato.

— Dunque, che cosa ci suonerai? Bada che qui non siamo a Berlino. Qui fingiamo tutti di adorare il classico; e poi, quando lo sentiamo, diciamo: «Com’è bello!» E ce ne andiamo prima della fine, e non torniamo più.

Udendo ciò Bemolle mise sul programma un po’ di Vieuxtemps e di Wieniawski, un po’ di Sarasate e di Paganini. I milanesi accorsero al concerto, e restarono fino alla fine. E si prefissero di tornare ancora.

Ma i «Musicisti Veri» — quelli di cui se ne trovava sempre uno in ogni città (e a Milano ve n’erano quattro), quelli che si prendono sul serio, quelli che parlano della musica come di una sacrosanta e privilegiata malattia, di cui essi soli hanno il diritto di soffrire — quelli scossero le circospette teste con dolore. Che triste cosa udire da uno sbocciante genio qual’era questa bambina, la vilissima musica da virtuoso — l’acrobatismo violinistico, che indubbiamente e indegnamente piaceva al pubblico! Paganini! Vieuxtemps! Ah! quei nomi erano come pugni nel cuore ai Musicisti Veri.

— Oh! — gridavano, — dateci le glorie del Beethoven! Dateci gli splendori di Bach!

E clamavano il loro dolore su e giù per le colonne dei giornali.

Il Commendatore-editore di musica, leggendo queste critiche, sorrise passandosi la fine mano sul mento sbarbato. [p. 372 modifica]

Quando vide Nancy le disse:

— Date loro dunque del classico, niente altro che del classico!

E nel secondo concerto Anne-Marie suonò il Concerto di Beethoven e la «Sonata a Kreutzer»; e la «Chaconne», e la «Fuga», e il «Preludio», e la «Sarabanda» di Bach. E i Milanesi accorsero, e restarono fino alla fine, e si prefissero di tornare ancora.

Ma i quattro Musicisti Veri scossero le riservate teste con rinnovellato dolore. Come poteva una mera bambina comprendere il gigantesco Beethoven? Chi era quel criminale maestro che sovraccaricava il puerile cervello di Anne-Marie coi titani classici? Non era, quasi diremmo, un sacrilegio, udire una fanciulletta appressarsi alla misteriosa immensità della Chaconne di Bach? Solo i Musicisti Veri potevano comprendere tutta la profonda, la frenetica angoscia celata in quella semplice ed ingenua danza del settecento! Per carità, per carità! Che i bimbi non suonassero che del Händel e del Mozart!

Nel terzo concerto Anne-Marie suonò del Händel e del Mozart. E i Milanesi accorsero, e restarono fino alla fine; e si prefissero di tornare ancora.

Ma i quattro Musicisti Veri inarcarono le dolorose sopracciglia, dicendo che quella semplice e facile musica era ben dolce se suonata per il papà e la mamma entro le pareti domestiche; ma che, veramente, in una Sala da Concerto di Milano, si aveva il diritto di esigere qualche cosa di più possente e autorevole. E perchè questa bambina suonava il violino? Non sarebbe stato meglio se avesse studiato il contrappunto? O qualche altra cosa? La musica dovrebbe essere riservata per loro quattro Musicisti Veri.

Il Commendatore, che non era un Musicista Vero, sorrise e baciò in fronte Anne-Marie. Ma ciò non valse [p. 373 modifica] a consolare Nancy, che udì con attonita incredulità queste critiche; nè valse a calmare Bemolle, smaniante in frenetica ira; nè a trattenere l’indignata Fräulein dallo scrivere al «Corriere della Sera» al «Berliner Tageblatt» e al «Times» delle lunghe lettere in proposito. (Ma non è detto che quei giornali le pubblicassero).

Anne-Marie che non leggeva critiche, nè sapeva che al mondo vi fossero dei Musicisti Veri, era gaia e felice e adorava l’Italia. Per consolarla del lontano Schopenhauer, Nancy le aveva regalato un piccolo cane bassetto. Anne-Marie lo conduceva a passeggio nei Giardini, vergognandosi non poco delle sue gambe storte, e del suo corpo lungo e contorto come una sinfonia del Mahler; ma essa lo adorava ancor più per queste sue immeritate disgrazie.

Il bassetto fu battezzato «Steiner» perchè univa a un colore bruno-dorato e ad una certa turgidità di corpo, una debolezza di voce spesso notata da Anne-Marie in quegli eccellenti violini tirolesi.

....Molta gente veniva a trovarli all’Hôtel per esprimere le loro vedute. Vennero anche i Musicisti Veri, che fecero molta paura ad Anne-Marie, e ancor più paura a Nancy.

— Che cosa credete di farne di vostra figlia? — chiese uno di loro, sorseggiando il thè e mangiando dei biscotti nel salotto di Nancy, coll’aria di farle un favore. — Cosa sperate che diventi?

— Non lo so, — disse Nancy. — Per ora sono contenta di ciò che è.

— Male. Dovete pensare all’avvenire. Se voi desiderate che essa divenga una grande, una vera artista....

— Non so se lo desidero, — disse Nancy. — Se dall’essere una grande artista essa degenerasse — e Nancy sorrise — fino a non essere altro che una fanciulla felice, non credo che me ne lagnerei. [p. 374 modifica]

— Badate! — continuò il Musicista Vero, — badate bene: il Prodigio d’oggi uccide l’Artista di domani. Cogliendo il fiore, voi distruggete il frutto.

Nancy rise dolcemente.

— È come se diceste: bisogna guardarsi dal cogliere un bocciolo di rosa! esso non diventerà mai una mela!

Anne-Marie, che presso alla finestra alzava per la coda il bassetto per provare se era puro sangue, rise.

— Proprio vero, — disse, senza aver sentito nulla del discorso precedente, ma per l’istinto di irritare il Musicista che le pareva noioso.

— Zitta, cara, — disse sua madre. Poi soggiunse: — Anne-Marie è ciò che è. Io sono contenta che fiorisca libera quale Iddio l’ha fatta, senza preoccuparmi di ciò che potrà divenire un giorno; purchè sia buona e sana e felice! — E soggiunse: — Perchè non dovrei permetterle di suonare come un serafino oggi, per paura che, tra dieci anni, non suoni come Joachim?

— Già, — disse Anne-Marie tenendo sospeso per la coda il guagnolante Steiner. — Perchè?

L’austero visitatore si volse a lei.

— Bambina mia, — cominciò con voce cupa e profetica, — Bach...

— Oh, lo so già, — disse gaiamente Anne-Marie.

— Cosa sai già? — domandò severamente il Musicista.

— Stavate per dire: «Bach è un dio! Suona sempre Bach! non suonare che Bach! Tutto il resto è indegno», — sospirò Anne-Marie, già pentita di essersi immischiata nella conversazione.

— Niente affatto. Non stavo per dire questo, — sentenziò il critico.

— Allora stavate per dire quell’altra cosa: «Non osare mai di suonare Bach. Una bambina non può [p. 375 modifica] comprendere Bach!»... Già, i Professori mi dicono sempre o l’una o l’altra di queste due cose.

— Perfettamente, — disse il signore, gravemente. — Tu non puoi in nessun modo capire Bach.

Anne-Marie lasciò cadere Steiner, che andò a mordicchiarsi la coda sotto al sofà.

— E voi? — disse allo sconosciuto, — che cosa capite voi in Bach? Voglio sapere preciso cosa capite. — E con gli occhi saettanti e le guancie rosse, Anne-Marie afferrò per la manica il Musicista Vero. — Adesso vi suonerò del Bach, e voi mi direte che cosa ne capite... Bemolle! dammi il violino.

Bemolle si slanciò con viso raggiante ad obbedirla.

— Ma, Anne-Marie! cara! Non far così, — disse Nancy turbata.

Ma Anne-Marie accordava già il violino.

— Ecco, — disse, folgorando cogli occhi il visitatore, — adesso mi direte cos’è che voi capite, e io no!

E subito suonò le prime cinque delle trentadue variazioni della Chaconne. Poi si fermò.

— Ebbene? Cosa avete capito? Ditemelo!

Il Musicista si appoggiò alla spalliera del sofà, con un sorriso di superiorità benevola.

— E adesso, — disse Anne-Marie, come una piccola Furia bionda, accesa e ispirata, — adesso lo suono diversamente! Lo suono come Joachim... Così, precisamente così, Joachim suonava per me e con me... E adesso che cosa avete capito? Che cosa dice Bach a voi, sciocco uomo, più di quello che dice a me?

— Ma Anne-Marie! — esclamò Nancy. — Vergogna! Non devi parlare così!

— Sì! devo! devo! — disse Anne-Marie, quasi piangendo.

Il visitatore, sorridendo acidamente, si alzò per prendere congedo. [p. 376 modifica]

— Temo — disse — che per le ragazzine troppa musica non faccia bene ai nervi.

— Sì, sì che fa bene! — gridò Anne-Marie, disperata e piangente. E come Nancy la confortava cingendola col braccio, la bambina singhiozzò: — Mamma, digli una cosa! digli una cosa che io non so dire! Aiutami.

— Che cos’è, cara?

— Ti ricordi... che dovevamo andare in un paese lontano... tu dicevi che era un paese caldo, e bello... e sporco... Dov’era?

— Vuoi dire il Messico?

— Sì, sì, sì! Allora hai detto qualche cosa degli alberghi che sono là... cos’hai detto di quei piccoli alberghi strani?

Nancy riflettè un istante. Poi si ricordò, e sorrise.

— Ho detto che non vi si trova che quello che si porta con sè.

— Sì, sì, — balbettò Anne-Marie, eccitata e incoerente, — adesso dillo... dillo ancora, ma dillo della musica.

Nancy rise e le baciò la fronte accaldata.

— Vuoi dire che nella musica non si trova che quello che si porta con sè, nella propria anima?

— Sì, — disse la bambina. — Voglio dire così.

— Cara! — disse Nancy. E la baciò.

Ma il Musicista Vero se ne andò disgustato.

Che ignoranza! Che discorsi sconnessi! Cosa c’entravano gli alberghi messicani colla musica di Bach?