I monumenti e le opere d'arte della città di Benevento/Dell'arco del Sacramento/Descrizione del monumento

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1. Descrizione del monumento

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Dell'arco del Sacramento Dell'arco del Sacramento - Questo monumento fu un arco, onorario o trionfale
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1. descrizione del monumento


L’analogia della materia mi guida a trattare dell’arco del Sacramento dopo quello a Traiano.

Io l’ho intitolato così, perchè sotto tal denominazione lo si conosce e lo si addita qui in Benevento, per omonimia della strada che vi passa di sotto, la quale solo nell’anno ultimo decorso, per deliberazione di questo Consiglio Comunale, ebbe cambiato il nome in quello di Carlo Torre dal fu Senatore Conte di Caprara. Però anche la denominazione passata non rimonta ad epoca lontana, giacchè ai tempi dell’Arcivescovo Orsini, che fu poi Papa Benedetto XIII, quella strada si chiamava dei Macelli Vecchi1.

Allo sbocco di essa, di fronte alla casa della famiglia Torre, trovasi quest’arco, il quale presentemente è serrato in mezzo, ad oriente dall’ospedale di S. Gaetano e da basse case dell’avvocato Ferdinando Torre, ad occidente dalle fabbriche dell’episcopio; per la qual cosa, ove non vi fosse un quadrivio dinanzi la facciata meridionale, tutto l’antico edifizio sarebbe occultato alla vista.

Ciò che mi ha sorpreso non poco è il silenzio di tutti gli scrittori patrii intorno al presente monumento; giacchè, per quanto io mi sappia, nessuno ne ha parlato o ne ha fatto cenno. Stimo [p. 220 modifica]che non ne abbiano compresa la destinazione e quindi la importanza, se pure non lo han giudicato un rudere informe, non meritevole di alcuna considerazione. Questo loro silenzio cresce valore ed importanza all’argomento che ho preso a trattare.

Nelle tavole XXX, XXXI, XXXII, XXXIII, XXXIV e XXXV il lettore troverà varii disegni di questo monumento, da me rilevati e che andrò illustrando man mano2. Avverto che fu mia cura, innanzi tutto, studiarlo anche in quelle parti che dalla via non si vedono, avendone avuto l’agio e l’opportunità secondo a suo tempo esporrò; e per siffatta guisa potei isolarlo tutto dagli edifizii che lo serrano.

Per meglio intenderci, il lettore si immagini di guardarne la facciata meridionale (Tav. XXX), la quale gli darà la più precisa fisonomia del monumento. Vedrà due stilobati, uno a destra e l’altro a sinistra, su di essi due pilastrate, sulle quali imposta un’arcata, e su di questa elevarsi un muro ben alto, per due piani, sino a sorreggere un tetto. Però di questo muro, di cui ho omessa una porzione, avendola stimata inutile, dovrà immaginare tolta quella parte che sta al disopra dell’arco più alto, essendo opera aggiuntavi di poi, siccome meglio in seguito farò vedere.

Stilobati. Ho detto che son due. Quello che si appoggia all’episcopio si vede meglio, presentando due facce completamente scoverte, l’una sotto il fornice (Tav. XXXI) e l’altra a mezzodì (Tav. XXX, stilobate a destra del riguardante); mentre il secondo presenta scoverta solo quella sotto il fornice (Tav. XXXII), essendo occupato a mezzodì dalla casa sudetta dell’avvocato Torre, (Tav. XXX, stilobate a sinistra del riguardante). Come di consueto, ambedue gli stilobati sono completi di zoccolo, dado e cimasa, costituiti di grossi parallelepipedi di pietra calcarea comune. Ogni stilobate misura in pianta, nella grossezza del dado, m. 6.50 × 3.00; val quanto dire che è un rettangolo con il lato maggiore m. 0.50 più lungo del doppio del minore (Tav. XXXIII). Queste proporzioni sono differenti molto da quelle della pianta dell’arco Traiano.

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Tav. XXXI.


Sezione verticale BA

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Lo zoccolo è formato di due filari o corsi di parallelepipedi, ed è sporgente m. 0.15 in fuori del dado sui quattro fronti. L’altezza sua è di m. 1.10 allo sbocco meridionale, e di m 0,73 all’imbocco settentrionale del fornice, poichè la via scende da questo punto all’altro. Ma, però, un tempo essa era picciol cosa più elevata, come apparisce dal maggior risalto della pietra evidentissimo sul fronte dello zoccolo verso l’episcopio, sotto il fornice (Tav. XXXI). Con il recente lastricato, posteriore all’epoca delle misure da me eseguite, il livello della via in quel tratto è stato ancora più ribassato di pochi altri centimetri.

Ho voluto qui notate questi particolari per far comprendere che l’antica via saliva ad un di presso come l’attuale dal larghetto Torre alla Piazza del Duomo; ma avrò occasione di ritornare su questo argomento.

Il dado, alto m. 1.50, è formato di tre filari o corsi di simili parallelepipedi. Tanto lo zoccolo che il dado, avendo i corpi di disuguale altezza e le commessure verticali, avvicendate si, ma non corrispondenti, appartengono al genere di struttura murale detto da Vitruvio pseudisodomo3.

La cimasa è costituita propriamente da una fascia, alta m. 0.31 e sporgente m. 0.15, cioè quanto lo zoccolo, su tutti i lati. Essa non è completa sullo stilobate orientale, mancando di tutto il fronte meridionale e delle corrispondenti rivolte, come puossi osservare nella Tav. XXXI. Forse i pezzi che mancano furono travolti nelle demolizioni di qualche fabbrica che vi era stata addossata nei secoli scorsi, avendo rilevato dall’antica pianta di questa città dell’Abate Cassella che in quel posto vi e segnata un’altra fabbrica, la quale oggi non esiste. E le due scannellature verticali che sono sul fronte meridionale dello zoccolo di questo stilobate (Tav. XXX) accennano pure a qualche costruzione posteriormente addossatavi, laddove, se si volessero riferire soltanto al monumento in esame, non avrebbero ragion d’essere.

Ma questi massi di pietra che ci si scoprono oggi alla vista certamente non costituivano che lo scheletro, non erano che il nocciolo degli stilobati, e su di essi doveva esistere un [p. 224 modifica]rivestimento di lastroni di marmo con sagome proprie, siccome abbiam veduto nell’arco a Traiano. Basta averlo accennato per ora, perchè in seguito lo farò meglio intendere.

Pilastrate. Esse si elevano al disopra degli stilobati (Tav. XXX), stringendo in mezzo il grand’arco del fornice. Fermandoci un momento ad esaminare le due sezioni verticali BA (Tav. XXXI) e AB (Tav. XXXII), fo avvertire che il grosso della muratura che oggi si eleva al di sopra degli stilobati non è tutto antico, e che una parte, cioè quella che guarda settentrione, è moderna, essendovi stata aggiunta dal Cardinale Arcivescovo Agostino Oregio, il quale resse questa Archidiocesi dal 1633 al 16354. Sulla serraglia dell’archivolto settentrionale (Tav. XXXIV) esiste ancora il suo stemma, scolpito su di una pietra rettangolare, la quale misura m. 0.40 × 0.60. Sulla cartella sottoposta allo scudo vi è la iscrizione


AVG. CARD. ORECIVS
ARCHPVS. BNVS.


Nelle due sezioni (Tav. XXXI e XXXII) si vede preciso il distacco fra la muratura aggiunta e l’antica che si appartiene proprio al monumento, come si scorge pure bene che l’archivolto sulla facciata settentrionale, costituito di ventisette cunei di tufo trachitico intercalati con un filare di mattoni (Tav. XXXIV), sia di epoca moderna. Di modo che l’aggiunzione è stata praticata non solo nelle pilastrate, ma ben anche nel volto con un anello di oltre un metro di larghezza. Però una porzione di questa larghezza aggetta fuori l’appombio del dado degli stilobati, e per tal causa raggiunge quella proporzione; mentre, se la muratura aggiunta fosse in appiombo con il dado sudetto, dovrebbe essere larga appena m. 0.85.

Se, dunque, contro la facciata settentrionale non fosse aggiunta la sudetta muratura, il grosso delle pilastrate nell’interno del fornice sarebbe soltanto di m. 4.80, cioè rientrante di m. 0,85, [p. 225 modifica]

Tav. XXXII.


Sezione verticale AB

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su ciascuna facciata, dall’appiombo del dado degli stilobati. Di tal che sulla fascia o cimasa, in ambo le facciate principali, eravi una grande risega, sulla quale sorgevano le colonne che reggevano la trabeazione. Avrei non voluto anticipare questo giudizio, se non me ne avesse porto il destro la constatazione delle due sudette rientranze.

Osserviamo ora la forma e la struttura di una di queste pilastrate sulla facciata meridionale (Tav. XXX). Al di sopra della fascia o cimasa dello stilobate si eleva un altro zoccolo, il quale aggetta di m. 0.14 dalla faccia della pilastrata nell’interno del fornice e sporge m. 0.07 fuori l’appiombo del dado dello stilobate. Questo zoccolo, che è alto m. 0.51, verso il fornice è costruito di mattoni per l’altezza di m. 0.355 e per la rimanente, di m. 0.16, è formato da una lastra di marmo, la quale si addentra di m. 0.90 nella muratura, e presenta un arrotondamento sul fronte nell’interno del fornice (Tav. XXX e XXXV). Nel rimanente della sua grossezza è formato di muratura di ciottoli, una specie di quella a getto o a cassa o a sacco, detta da Vitruvio emplecton5. Come nelle facce interne del fornice, così pure in quelle parallele esterne, ad oriente e ad occidente, questo zoccolo aggetta fuori il vivo delle pilastrate. Di maniera che, allorquando sulle due facciate principali del monumento vi erano le colonne, tale zoccolo restava incassato fra di queste nelle facciate secondarie, esterne ed interne, e probabilmente non ricorreva fra gl’intercolunnii delle facciate principali.

Su di esso si elevano due pilastri (Tav. XXX) per ciascuna pilastrata, lunghi quanto la lunghezza antica del fornice, meno le riseghe, spessi m. 0,75, e alti, sino all’imposta, m. 1.945. Son costruiti di mattoni delle dimensioni di m. 0.57 × 0.57 × 0.04, cioè di lato circa due piedi romani6, eccetto quelli di collegamento, interpolatamente messi ai cantoni, i quali, pur essendo quadri, hanno però i lati metà dei primi, cioè di un piede romano circa. Quest’ultimi, per conseguenza, fanno l’ufficio dei mezzi mattoni di Vitruvio7. Le loro dimensioni, adunque, non [p. 228 modifica]corrispondono a quelle dei tre generi di mattoni indicati dal predetto autore, cioè lidios, usato più dai romani a quei tempi, lungo un piede e mezzo e largo uno, e pentadoron e tetradoron, usati dai greci, l’uno di palmi cinque (doron significando palmo) e l’altro di quattro in ambo i lati maggiori. Di modo che la struttura dei nostri pilastri è quella detta dei muri semilaterj8.

Tra un pilastro e l’altro vi è la muratura a sacco o emplecton (Tav. XXX), simile a quella descritta per lo zoccolo. Di modo che ne nascono proprio quelle tre croste, due delle fronti ed una della riempitura in mezzo, senza concatenamento di filari alternati di mattoni, le quali Vitruvio9 altamente riprovava per la poca solidità. Egli aveva ragione, seguendo i principii razionali dell’arte del fabbricare, ma i secoli trascorsi dalla edificazione del nostro monumento hanno avuto più ragione di lui, perchè questo sta saldissimo. Vero è, però, che le due croste della muratura a sacco nel nostro caso sono rappresentate da due pilastri, la qual cosa accresce la solidità di tal genere di costruzione.

Come sullo zoccolo, così alla imposta dell’arcata del fornice questi pilastri presentano una cornice incastrata nel corpo della muratura (Tav. XXXV). Essa è di marmo, ed ha, presso il pulvinare, l’aggetto massimo di m. 0.20, mentre quello del membretto più basso è appena di m. 0.08 dal vivo del pilastro.

Questa cornice, della quale avanzano appena due pezzi, uno per ogni pilastrata, nell’interno del fornice (Tav. XXXI e XXXII), è notevole per la sua modanatura, formata, in ordine discendente, di un pianetto, d’una gola rovescia, di una gola diritta, innestata immediatamente alla prima, senza altro membretto, e di un tondino. Questo innesto di gola rovescia con gola diritta non dispiace affatto, e potrebbesi ritener come esempio per sagome di davanzali o parapetti, non meno che di cornice d’imposta.

Sui due pilastri di mattoni di ciascuna pilastrata (Tav. XXX) imposta un volto di mattoni, del diametro di m. 1.33, con la corona di circa m. 0.60, il quale collega i pilastri medesimi. È notevole eziandio che questi due volti fanno da pulvinare al [p. 229 modifica]

Tav. XXXIII.


Pianta degli stilobati

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grand’arco del fornice, il quale ha la corona di m. 1,00, ed è costruito pure di mattoni.

Fornice. Questo ha il diametro di m. 5,00 e l’altezza, calcolata allo sbocco a valle, di m. 7.87. Però, ove si togliesse dallo zoccolo l’altezza di m. 0.37, che anticamente stava al di sotto del livello stradale, resterebbero m. 7.50, i quali corrispondono ad una volta e mezzo il diametro. Ed abbiamo già visto10 che questa è pure la proporzione nel nostro arco Traiano e nell’arco di Tito. Il quale riscontro comprova sempre più che essa era la più comune e forse ritenuta caratteristica di siffatti monumenti. Laonde errano coloro, fra cui il Selvatico11, che la ritengono troppo greve, imperocchè eglino prescindono dal concetto che ispirò gli architetti romani.

È a fare ancora un’altra osservazione, che uno dei tre raggi dell’altezza è rappresentato dallo stilobate; di maniera che, se si completasse, l’imbotte del volto riuscirebbe tangente al piano superiore dello stilobate stesso. Cosicchè questo occupa la terza parte di tutta l’altezza del fornice, siccome ad un di presso vedesi praticato nell’arco Traiano. La qual cosa ribadisce sempre più che questi rapporti tra stilobate, diametro e altezza erano caratteristici.

La rimanente muratura delle pilastrate, al di sopra degli archi e nei loro rinfianchi, è in parte di mattoni ed in parte di ciottoli a getto (Tav. XXX, a sinistra).

Un altro arco (Tav. XXX) di mattoni, con la corona di m. 0.57 e il diametro di m. 5.30, imposta m. 0.35 al di sopra della serraglia del fornice. Esso abbraccia tutta la lunghezza di questo, ed è murato sulle facce meridionale e settentrionale da muratura di mattoni, più spessa nel basso che nell’alto (Tav. XXXI e XXXII), in guisa da presentare nell’interno, a metà della sua altezza, una risega larga m. 0.28. Il volto è di mattoni identici a quelli che ho descritti per le pilastrate, cioè di circa due piedi romani per ciascuno dei due lati maggiori.

Allorquando io rilevai i disegni di questo monumento potei discendere nel vuoto sotto questo volto per una botola che vi [p. 232 modifica]esisteva in un fianco, sotto la cucina dell’episcopio; ma ora vi si può pervenire dal vicino ospedale di San Gaetano, al quale questo vuoto è stato aggregato da un paio di anni per concessione temporanea del nostro Emin. Arcivescovo, che ne aveva il possesso. Al presente tal vuoto è stato ridotto ad uso di stanza, ed è stata aperta una finestra nel muro meridionale, dove nella Tav. XXX si vede appena segnato un foro.

Oggi l’interno è stato pure intonacato a nuovo; ma allorquando io vi penetrai la prima fiata vi era un intonaco antico su porzione delle pareti con avanzi di pitture e molte iscrizioni graffite. Supposi che fosse servito di prigione in una certa epoca, e vi si sieno fatti discendere i condannati per la botola per la quale io vi discesi.

Sottoposto alla cucina dell’episcopio esiste un altro vuoto o camera, il quale, insieme a quella, costituisce un’opera aggiunta con murature disparate, che io ho ben distaccate nella Tav. XXX, al di sopra dell’estradosso dell’ultimo descritto volto, con tratteggio più appariscente.

Da un contiguo sotterraneo dell’episcopio ebbi la opportunità di osservare che la parete orientale della pilastrata del nostro monumento è libera dalle fabbriche dell’episcopio stesso, esistendovi un profondo vuoto12, ed è rivestita tutta di mattoni. Di là ebbi anche occasione di scovrire che parallelamente a detta parete esiste ancora una muraglia romana, di grossi parallelepipedi calcarei di struttura pseudisodoma, la quale verrebbe tutta in luce, ove si demolisse appena il cantone sud-ovest del muro del giardino dell’episcopio, dove al presente esiste una fontana pubblica. Tal demolizione lascerebbe pure isolato il nostro monumento per due facce della pilastrata orientale. Quando tratterò del Duomo cercherò di collegare queste muraglie romane alle altre opere romane che son sotto il braccio occidentale della nave traversa.

Guardando la Tav. XXX, vien fatto di scorgere sulla sinistra, in alto, verso il cantone sud-ovest, un blocco di muratura a getto, lungo m. 3.00, altrettanto alto e sporgente di m. 1.10 (Tav. [p. 233 modifica]

Tav.. XXXIV.


facciata settentrionale dell’arco del sacramento

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XXXII) dal vivo della pilastrata. Sebbene questa muratura sia antica, non la si può affatto ritenere coeva del monumento che stiamo esaminando; vi fu aggiunta in processo di tempo, per collegare probabilmente quest’arco a qualche fortilizio innalzato colà presso per difesa della città.

Note

  1. Giordano de Nicastro, op. ined. citata, a pag. 15 in nota.
  2. Le prime cinque son disegnate ad 1/100 del vero, e l’ultima ad 1/10.
  3. Vitruvio, op. cit. lib. II. capo VIII, num. 33.
  4. Pompeo Sarnelli, Memorie cronologiche dei Vescovi ed Arcivescovi della S. Chiesa di Benevento, Napoli, Gius. Roselli, 1691, pag. 218 — Ughelli, Italia Sacra, colonna 173 — Ciaconio, colonna 494.
  5. Op. cit. lib. II. capo VIII. num. 35.
  6. Il piede romano era di m. 0.293, e si divideva in quattro pollici e in sedici dita, ovvero in dodici pollici. Vitruvio, lib. V, capo X, num. 74, nota 1.
  7. Op. cit. lib. II, capo III, num. 16.
  8. Op. cit. lib. II, capo III, num. 17.
  9.  id. id. capo VIII, num. 35.
  10. Pag. 46.
  11. Pag. 46 di quest’opera.
  12. Serve di pozzo nero.