Idilli (Teocrito - Pagnini)/VIII

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VIII

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Teocrito - Idilli (III secolo a.C.)
Traduzione dal greco di Luca Antonio Pagnini
VIII
VII IX
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I BUCCOLICI CANTANTI

Idillio VIII

Dafne, Menalca e Caprajo.

Con Dafni il bello, mentre i buoi pascea,
     S’incontrò, com’è fama, un dì Menalca,
     Che in erti gioghi pascolava agnelle.
     Erano entrambi di crin biondo, e imberbi,
     Ambi nel suono e nel cantar maestri.
     Menalca il primo al veder Dafni disse:
menalca
Dafni, guardian delle mugghianti vacche,
     Meco vuoi tu cantar? Io mi protesto
     Di vincer quant’io voglio a te cantando.
In questi sensi Dafni a lui rispose:
dafni
O pastor di lanute pecorelle,
     Zufolator Menalca, ah! me cantando
     Non vincerai, se ancor ti crepi il gozzo.
menalca
Vuoi tu vederlo, e vuoi deporre un pegno?
dafni
Sì, vo’ vederlo, e vo’ deporre il pegno.
menalca
Qual pegno metterem, che stia a noi bene?
dafni
Io porrò un vitellino, e tu un agnello
     Pari alla madre.
menalca
                                        Agnel non fia, ch’io ponga;
     Perchè troppo severi ho padre e madre,
     E contano la sera tutto il gregge.
dafni
Che metti dunque? e che aver de’ chi vince?

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menalca
Una bella sampogna a nove voci,
     Che insieme unìi con cera bianca stesa
     Sotto e sopra ugualmente. Io questa in gaggio
     Porrò, lasciendo star quel ch’è del padre.
dafni
Io pure ho una sampogna a nove voci,
     Sotto e sopra ugualmente unita insieme
     Con bianca cera, ch’io formai pur dianai;
     E questo dito ancor duolmi trafitto
     Dalla scheggiata canna. Or chi fra noi
     Il giudice sarà? chi darà mente?
menalca
Chiamar potremmo quel Caprar, cui latra
     Colà presso i capretti il can Falaro.
I garzoni il chiamaro, e il Caprar venne
     Ad ascoltargli e a giudicar del canto.
     Toccò la sorte di cantare il primo
     Al sonator Menalca, a cui risposta
     Dafni rendeva in boscherecci carmi.
     Or sì Menalca diè principio al canto.
menalca
Valli e ruscei, divina prole, ah! voi,
     Se mai temprò Menalca sull’avene
     Un amabil concento, a lui le agnelle
     Volontier pascolate; e se vien Dafni
     Con le vitelle, un favor pari ottenga.
dafni
Fonti, ed erbette, amato germe, ah! voi,
     Se pari agli usignuoi cantò mai Dafni,
     L’armento gl’ingrassate; e se Menalca
     Quinci mena la greggia, anch’ei s’allegri
     D’avere a suo piacer fecondi paschi.
menalca
In tutti luoghi è primavera, in tutti

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     Son le pasture, e pien di latte i seni,
     E ben pasciuti gli agneletti, dove
     Vien la vaga fanciulla; al suo partire.
     Il pastorello inaridisce, e l’erbe.
dafni
Ivi son pecorelle, ivi son capre
     Di doppio parto, e gli alvear fan colmi
     Le pecchie, e van più ritte in su le querce,
     Ove il piè move il bel Milon; s’ei parte,
     Si diseccano in un bifolco e vacche.
menalca
Becco, marito delle bianche capre,
     E voi, simi capretti, a ber venite
     Qua dove l’alta selva più declina.
     Qui è Dafni. Va, o castrato, e di’ a Milone,
     Che il Nume Proteo ancor pascea le foche.
dafni
Non di Pelope il suol, nè aver mi curo
     Talenti d’or, nè di passar correndo
     Innanzi a i venti, ma tenerti in braccio
     Sotto un masso cantando, e mirar l’agne
     Lungo il siculo mar raccolte al pasco.
menalca
Troppo alle piante è grave danno il verno,
     L’arsura ai campi, agli augelletti il laccio,
     Alle fere le reti, all’uom l’amore
     Di tenera donzella. Ahi, Padre Giove!
     Non son io sol: tu ancor le donne amasti.
Così alternaro i due garzoni il canto.
     Poi nuova gara incominciò Menalca.
menalca
Lascia stare i capretti, o lupo, e il branco,
     Che ha già figliato, e non mi fare oltraggio,
     Perch’io picciol vo dietro a sì gran mandra.
     Qual cupo sonno, o can Lampur, ti prese?
     Non dee dormir sì forte un che fa guardia

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     Con un fanciul. Nè à voi d’erbetta molle,
     O pecorelle, il satollarvi incresca
     Senza punto curar, se poi rimetta.
     Pascete, sì pascete, e tutte il seno
     Ben ben vi ricolmate, onde una parte
     N’abbian gli agnelli ed i canestri l’altra.
Dafni rispose allor soavemente.
dafni
Ver la mia bella dalle giunte ciglia
     Me di vitelle guidator dall’antro
     Guatò, e chiamommi bello, bello ed io
     Neppur render le seppi un brieve motto,
     E andai con occhi bassi al mio viaggio.
     Dolce è la voce, e il fiato di vitella,
     Dolce mugghia il vitel, dolce la vacca,
     Dolce è dormir l’estate a cielo aperto
     Presso un ruscello. Onor fanno alla quercia
     Le ghiande, al melo i pomi, e la vitella
     Alla vacca, e le vacche al lor guardiano.
Così cantaro, ed il Caprar soggiunse.
caprajo
Ben hai soave bocca, e amabil voce,
     E ben più grato, o Dafni, è udir tuo canto,
     Che succiar mele. Or le sampogne prendi
     Tu vincitor del canto. E se pur vuoi
     Mentr’io vo pascolando ammaestrarmi,
     Fia tuo premio una capra senza corni,
     Ch’empie sempre di là dagli orli il secchio.
Il garzon vincitor tripudio, e festa
     Menò saltando, come cervo salta
     Inver la madre. Afflitto l’altro e punto
     Restò d’ambascia il cor, come una sposa
     Che mesta va la prima volta a nozze.
     Indi mai sempre il primo posto s’ebbe
     Tra i pastor Dafni e giovincello ancora
     Najade Ninfa in matrimonio ottenne.