Il Canzoniere (Bandello)/Alcuni Fragmenti delle Rime/LIX - Se quanto è 'l gran desir ch'a dir mi sprona

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LIX - Se quanto è 'l gran desir ch'a dir mi sprona

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LIX - Se quanto è 'l gran desir ch'a dir mi sprona
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LIX.

Riprende in questa vasta Canzone il concetto della chiusa del sonetto precedente: vorrebbe col suo verso rendere la Mencia immortale. Ma confessa la propria imperizia.
      Espone la teorica dell’Amore che nobilita, che fa l’uomo gentile allontanandolo dal volgo. Riprende taluni concetti in voga nella poesia delle origini; dal «dolce stil novo», il precetto dantesco del canto spontaneo (v. 32) «come inspira Amor».

Se quanto è ’l gran desir, ch’a dir mi sprona,
     Gentil mia Donna1, e sforzami lodarvi,
     Tanto fosse il poter, vedreste farvi
     Riverenza Aganippe2 ed Elicona.
     5Che se la lingua mia di Voi ragiona
     Vinta dall’immortale
     Vostra bellezza, quale
     Alberghi in Voi valor, com’è non suona.
     Nè giunger può di vostre lodi al segno,
     10Ond’io di più cantar quasi mi sdegno.
Sdegnasi il cor, che vede il certo danno,
     Che per questo ne segue a vostr’altezza3,
     Che non sapendo dir tanta bellezza
     Senz’il lor pregio l’alme doti stanno.
     15E le virtù, ch’al mondo fatta v’hanno
     Perfetta senza pare,

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     E tante grazie rare
     Quand’a pien mai lodate si vedranno?
     Ma chi sarà d’ingegno sì sottile,
     20Se debil fora l’uno, e l’altro stile,
I’ ben le veggio, le contemplo e miro,
     (Vostra mercè) che tolto avete a farme
     Gentil, acciò dal volgo allontanarme
     Tanto più possa, quanto in Voi mi miro.
     25Veggio in Voi cose, e tanto me n’ammiro,
     Che non so poi di fore
     Mostrar il lor valore
     E de’ begli occhi quel soave giro,
     E quest’è che m’ancide4 fier martire,
     30Che quanto bella sete non so dire.
E pur mi sforzo con parole, e cenni5,
     Come m’inspira Amor6, scoprir al mondo
     Quanto nel petto dolcemente ascondo,
     Da ch’io fedele7, ligio vi divenni:
     35E so, che poi, ch’a ragionar i’ venni
     Di Voi, quel poco ch’io
     Ne scopro col dir mio.
     Par che rallegri il mondo, e Amor impenni8.
     Or che sarìa, se si potesse aperto
     40Cantar di vostre lodi il vero merto?
Direbbe allor ogni uomo: ecco chi sola
     A nostri giorni donna è pur perfetta,
     Ecco chi saggiamente i cori alletta,
     E di proprie virtuti altiera vola.
     45Questa gli spirti a’ corpi rende e invola,
     E sparge tanta gioia,
     Che non può scorno o noia9
     Durar dinanzi al suon di sua parola.
     Così di vera gloria sulla cima.

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     50Vi vedereste, e tra le prime prima.
Ond’io n’andrei per questo altiero tanto,
     Quant’altro amante mai fosse beato,
     Che dir i’ sentirei in ogni lato:
     Questi sen vola alla sua donna a canto;
     55A questi è dato dimostrar col canto
     Cose celesti e nove10
     Non mai vedute altrove,
     Che pose il Re del ciel nel viso santo
     Bella donna, ver’ dir, felici Amori,
     60Caste faville, onesti e santi ardori.
E queste lodi, ch’udirei spiegarse
     Per mille dotte bocche in ogni luoco,
     Dolc’esca vivo e sempiterno fuoco
     Sarian che dolce sì nel ghiaccio m’arse.
     65Così vedreste, o bella Donna, farse
     L’un nome e l’altro11 eterno,
     E volar in eterno
     Poi con le vostre le mie lodi sparse.
     Ma disuguali ognor le mie da quelle,
     70Come del sol men chiare son le stelle.

Note

  1. V. 2. Gentil mia Donna, è la «donna gentile» cioè che ha gentilezza di sensi, secondo l’epiteto dantesco della Vita Nuova.
  2. V. 4. Aganippe, cfr. son. XVII, v. 2, nota, sareste cioè riverite dalle fonti stessa della poesia, e quindi fra le donne cantate dai poeti.
  3. V. 12. Ne segue, ne consegue a voi donna d’alti sensi. — Altezza, titolo che si dà ai regnanti. La Mencia è regina del cuor del poeta; ella è, lo dice più sotto, v. 16, «perfetta».
  4. V. 29. M’ancide, mi tormenta.
  5. V. 31. Con parole e con cenni, non descrizioni compiute, ma esclamazioni e gesti. È reminiscenza dantesca: «E con parole e con mani e con cenni», Purg., I, 50.
  6. V. 32. Amor. Il canone dantesco era per l’appunto questo: «Io mi son un, che quando | Amore mi spira, noto, ed a quel modo | Che ditta dentro, vo significando», Purg., XXIV, vv. 52-4.
  7. V. 34. Fedele, da fedele, devoto è divenuto uom ligio e cioè servo d’amore, fedele fino alla morte, come quegli che, nei tempi del feudalesimo giurava al suo signore fedeltà senza restrizioni.
  8. V. 38. Impenni, ridia penne, e rinsaldi il volo.
  9. V. 47. Scorno o noia non resiste all’armonia della sua parola, che sgomina ogni tedio.
  10. V. 56. Cose celesti e nove, reminiscenza dantesca: «Beatrice è venuta | Di cielo in terra a miracol mostrare», Vita Nuova, XXVI, V. 8.
  11. V. 66. l’un nome e l’altro, quel della Mencia e quello del Bandello poeta come è pur detto prima al v. 54.