Il Catilinario/XXXVIII

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Capitolo XXXVIII

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Gaio Sallustio Crispo - Il Catilinario (I secolo a.C.)
Traduzione dal latino di Bartolomeo da San Concordio (XIV secolo)
Capitolo XXXVIII
XXXVII XXXIX
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CAPITOLO XXXVIII.


Diceria di Cesare in senato per liberare gli presi.


Signori Padri coscritti (a)1, tutti gli uomini, li quali delle cose dubbiose hanno a consigliare, conviene essere liberi da odio e da amistà2, da ira e da misericordia: chè malagevolmente l’animo puote provvedere il vero quando quelle cose lo ’mpediscono; nè niuno uomo, che troppo si lasciò portare alla volontà, obbedì bene alla ragione. Quando tu studierai e ripenserai, lo ’ngegno allora vale assai; se la volontà il possiede e lo signoreggia, ragione d’animo non vale niente. Grande è la copia da potere rimembrare3, o Padri conscritti, quali re e quali popoli per cagione d’ira o di misericordia male consigliarono; ma io voglio piuttosto dire quelle cose, le quali li nostri maggiori contra la disordinata volontà d’animo dirittamente e ordinatamente feciono. Nella guerra macedonica, la quale noi avemmo contra Perse re, la città degli Rodii grande e magnifica, la quale era accresciuta per lo favore e per l’ajuto del popolo di Roma, fu infedele e contraria a noi. Poichè, finita la guerra, fu avuto consiglio degli Rodii, i nostri maggiori, acciocchè altri non dicesse che la guerra fosse per cagione di ricchezza cominciata maggiormente che per la ingiuria ricevuta, si gli lasciarono senza punizione alcuna. Anche in tutte le guerre affricane, conciossiacosachè4 gli Cartaginesi in tempo di pace [p. 54 modifica]e di triegue ne facessono molte malvage ingiurie, giammai egli non presono però cagione di tali cose fare: più e maggiormente pensavano che si convenia a loro di fare, che quello che ragionevolmente far si potea. Questo medesimo avete voi a provvedere, o Padri conscritti, acciocchè presso voi non possa più la reità di P. Lentulo e degli altri, che la vostra medesima dignità; e acciocchè alla vostra ira non più provvediate, che alla vostra medesima fama. Se si può trovare degna pena per li lor fatti, io lodo il nuovo consiglio che dato è; ma, se la grandezza del male vince e passa lo ’ngegno di tutti, dico che si debbano servare quelle pene che sono per legge trovate. Assai di coloro, che hanno detto loro sentenzia dinanzi di me, ornatamente e magnificamente hanno lamentato del cadimento della repubblica5, dicendo e numerando che crudeltà sarebbe suta per la battaglia, e ricordando li mali che ne veniano contra li vinti: cioè rapire loro pulcelle; i fanciulli divegliere delle braccia di loro padri; le madri delle famiglie sostenere tutto ciò che fosse piaciuto a’ vincitori; li templi colle case essere rubati; gli tagliamenti6 e gli incendii fatti; alla per fine ogni luogo riempiere d’arme, di corpora, di sangue e di lamento7. Ma veggiamo, per Dio, queste parole perchè dissono. Forse per farvi adirare contra la congiurazione, quasichè cui non movesse così grande e così crudele cosa, la diceria gli accendesse? Non è cosi: nè è niuno uomo, a cui le sue ingiurie pajono piccole; molti l’hanno avute per più gravi che non si conviene. Ma altra licenzia è conceduta, o Padri conscritti, a diversi. Chè coloro, li quali sono bassi, e menansi la vita senza grandi onori e fama8, se fanno per ira alcuno malfatto9, pochi lo sanno, chè lor fama e lor ventura sono eguali; ma quegli, che sono nel grande imperio onorati, e vivono in grande dignità, li lor fatti sa ogni uomo. Sicchè nella loro ventura d’altezza è pochissima licenzia di male: però a tali uomini nè per amistà studiare, nè odiare, ma principalmente adirare non si conviene. Quella, che appresso agli altri è detta ira, nello imperio è chiamata superbia e crudeltà. Io vi dico ben così: che tutti gli tormenti sono minori che la lor colpa. Ma molti uomini si tengono a mente pur la fine e la morte; e verso gli uomini empii, dimenticando i [p. 55 modifica]lor malfatti, ragionano e contendono solamente della pena, s’ella è suta un poco più crudele. E Decio Sillano, uomo forte e valoroso, certamente so io che quello, ch’egli ha detto, ha detto per istudio e per sollecitudine della repubblica; e ch’egli in così grande cosa non si muove per grazia nè per inimistade: cotali costumi e tanta misura conosco io in lui10. Veramente la sua sentenzia a me non pare crudele: chè qual cosa crudele si può fare contra cotali uomini? ma parmi aliena e strana dalla nostra repubblica. Chè fermamente la paura o ingiuria t’ha menato a ciò, Sillano: che tu, consolo disegnato, nuova generazione di pena sentenziassi. Della paura è soperchio parlare, specialmente conciossiacosachè per diligenzia e provvedimento del preclarissimo nostro consolo sia appresso a noi tanta potenzia. Parmi che della pena, che detto è, poss’io certamente dire che la morte è requie di tutte miserie, non tormento: ella tutti li mali degli uomini disfa in tal modo, che da indi in là non ha luogo nè briga nè delizia niuna. Ma dimmi, per Dio, per che cagione non aggiungesti alla tua sentenzia ch’eglino prima dovessono essere flagellati? Lasciasti, perocchè la legge Porzia il vieta, ovvero altra legge? (a)11 Certo in quel medesimo modo comandano elle che a’ condannati cittadini non debba esser tolta la vita, ma che debba loro essere conceduto lo sbandimento. O lasciasti forse perchè fosse più grave cosa essere flagellato che essere morto? E qual cosa dura troppo grave sarà contra gli uomini convinti di tanto male? O, se lasciasti, perchè il flagellare fosse più leggier cosa che il morire, come si conviene nella minor cosa temere la legge, quando nella maggiore non n’avrai curato? Ma per tanto chi riprenderà quello che sarà fatto contra li patricidi12 della repubblica? Il tempo, il dì, la ventura, la quale secondo la sua volontà signoreggia tutta gente? Non13: perocchè giustamente interverrà loro ciò che sopra loro verrà. Ma voi, Padri conscritti, considerate che voi ordinate in altrui. Tutti li mali esempli sono di buone cose nati e venuti: chè, quando la signoria viene alli non savii cittadini e men buoni, lo nuovo esemplo dalli degni e acconci a ciò alli non degni e non acconci si tramuta. Li Lacedemonii, poich’ebbono vinti gli Ateniesi, posono XXX uomini, li quali avessono a trattare la repubblica14. Eglino prima cominciarono da ciascuno pessimo ed odiato da tutti senza altra condannazione uccidere15: della quale uccisione il popolo s’allegrava, e dicea che questo era ben fatto, secondo ch’eglino meritavano. Poichè la liberta e la licenzia di ciò appoco [p. 56 modifica]appoco16 crebbe, allora uccideano così li buoni come li rei, e gli altri spaventavano, mettendo loro paura: e così la città, recata e sottomessa in dura servitù, della stolta letizia sostenne gravi pene. Nel nostro tempo Silla, essendo vincitore, quando egli fece scannare Damasippo e gli altri suoi simiglianti, li quali erano cresciuti per lo male della repubblica, chi era che non lodasse quel fatto? Uomini d’ogni reità pieni, ordinatori di male, li quali per loro romori avevano commosso la repubblica, giustamente diceano ch’erano stati morti. Ma quel fatto fu loro cominciamento di gran male: chè, siccome era alcuno, che desiderasse casa17, o la villa o il vaso o la roba dell’altro, procacciava che quel cotale fosse nel numero de’ proscritti (a)18. E così coloro, a’ quali la morte di Damasippo avea fatto letizia, poco poi eglino erano a condannagione19 e a morte menati e tratti: nè fu fine all’uccisione fin a tanto che Silla non ebbe tutti i suoi di riccliezze pieni. Cotali cose non temo io in Marco Tullio, nè in questi temporali20: ma nella gran città sono molti e svariati ingegnamenti21. Un altro tempo, essendo un altro consolo, in cui potestà anche sia l’oste, potrassi alcuna falsità per verità credere; e, poichè per questo esemplo il consolo avrà tratta fuori la spada, chi gli porrà fine, o chi gli darà temperamento? Li nostri maggiori, o Padri conscritti, non aveano difetto di consiglio nè ancora d’ardire; nè non gl’impacciava la superbia ch’egli si sdegnassono di seguire gli altrui statuti, se buoni e giusti erano. Modo d’arme e di lance cavalleresche presono da’ Sanniti (b)22; de’ modi della dignità e degli officii molti ne presono da’ Toscani: finalmente quello che in ciascuno luogo, appresso li loro compagni ovvero appresso li loro nemici, parea che fosse di buono, con sommo studio nella loro città lo recavano e metteano in opera: seguir voleano piuttosto li buoni, che aver loro invidia. E in quel medesimo temporale, seguitando l’usanza de’ Greci, flagellando23 puniauo loro cittadini; e degli condennatissimi di reità prendeano vendetta di sommo tormento (c)24. Ma, poichè la [p. 57 modifica]repubblica venne in vigore per la moltitudine de’ cittadini, li ragunamenti, le sette valeano e potenzia aveano; si cominciaro gl’inganni e le falsità contra gl’innocenti, e altre simiglianti cose fare. Allora fu introdotta la legge Porzia e altre simili, per le quali si provvide che a’ condennati fosse lo sbandimento conceduto. Però io reputo che questa sia prima grande e sufficiente cagione, o Padri conscritti, che noi non prendiamo nuovo consiglio: chè certa cosa è che la virtù e il senno fu maggiore in coloro li quali di poca potenzia feciono sì grande imperio, che non è in noi che semo in briga di ben mantenerlo25. Piacemi dunque che sieno lasciati, e se n’accresca l’oste di Catilina? No. Ma così giudico: che li loro beni debbano esser pubblicati al comune,26 e eglino sieno tenuti in dure prigioni per le castella che sono più forti e s cure, e che niuno faccia più nel senato menzione di loro; nè anche che il popolo faccia per loro niente: e chi altramente facesse, si sappia che il senato l’avrà siccome facesse contra la repubblica e contra la comune salute di tutti noi.

Note

  1. (cioè senatori).
  2. conviene essere liberi da odio ec., cioè conviene che siano liberi ec. Ma vogliamo avvertire i giovani che questo è uno di quei luoghi dove il traduttore ha voluto troppo secondare il latino, e che però non si vuole imitare.
  3. grande è la copia da potere rimembrare ec.) Rimembrare è lo stesso che ricordare, rammentare; ma oggi meglio si userebbe solo in poesia. Ancora vogliamo che i giovani avvertano che qui il traduttore, forse per seguir troppo il latino, riesce in certo modo sforzato. Nel testo si legge: Magna mihi copia memorandi, patres conscripti, ec.
  4. conciossiacosachè, oggi meglio conciossiachè, qui sta per quantunque.
  5. hanno lamentato del cadimento della repubblica) Cadimento, che propriamente vale il cadere, caduta, qui sta per rovina, sterminio: ma non lo vogliamo lasciar di dire che sì nell’uno e sì nell’altro significato oggi non si vorrebbe adoperare.
  6. tagliamento qui sta per uccisione, strage, come fu adoperato dagli antichi; ma oggi non si vuol più usare.
  7. Questo luogo, bellissimo nel testo, con non minor forza ed evidenza è stato voltato in toscano dal nostro frate; e però ci piace di qui arrecarne le parole latine: Plerique eorum, qui ante me sententias dixerunt, scomposite atque magnifice casum reipublicae miserati sunt; quae belli saevitia, quae victis acciderent, enumeravere: rapi virgines, pueros; divelli liberos a parentum complexu: matres familiarum pati quae victoribus collibuissent; sana atque domos exspoliari; caedem, incendia fieri; postremo armis, cadaveribus, cruore atque luctu, omnia compleri.
  8. menansi la vita senza grandi onori ec.) Menar la vita vale vivere: e qui è detto menarsi la vita per menar la vita, per proprietà di nostra lingua, che spesso, in luogo del verbo semplice, adopera il neutro passivo.
  9. se fanno per ira alcuno malfatto) Malfatto, sustantivamente adoperato, vale delitto, maleficio; ma neppurre oggi il vorremmo usato.
  10. tanta misura conosco io in lui) Misura qui sta per ordine, modo, moderazione.
  11. (cioè che cittadini flagellati non sieno)
  12. Vedi la nota 3 a pag. 36.
  13. Qui il non è posto in luogo di no: il che oggi non consigliamo di fare a’ giovani.
  14. li quali avessono a trattare la repubblica) il verbo trattare, che val propriamente maneggiare, è qui adoperato alla latina in sentimento di amministrare, governare, aver cura; nè in questo significato trovasi registrato nel Vocabolario della Crusca.
  15. da ciascuno pessimo... senza altra condannazione uccidere) Intendi: da uccidere ciascuno pessimo ec. — Condannazione è voce antica, ed è lo stesso che condanna.
  16. appoco appoco) Meglio oggi a poco a poco
  17. desiderasse casa) L’articolo a casa è stato, secondo osserva il Belli, probabilmente soppresso dalla sbadalaggine de’ copisti.
  18. (cioè condannati in tutto il suo ).
  19. condannagione è voce antica, ed oggi si ha a dire condanna.
  20. temporale sust. fu anticamente detto in luogo di tempo, siccome in questo luogo. Nondimeno questa voce si adopera pur oggi sustantivamente, ma solo in sentimento di procella, tempesta, burrasca, come appresso di noi Napoletani. Così il Guicciardini, Stor.: Levatosi un temporale gagliardo, conquassò in modo l’armata, che la nave Grimalda... andò a troverso.
  21. ma nella gran città sono molti e svariati ingegnamenti) Ingegnamento è diffinito nel Vocabolario della Crusca astuzia, sagacità, industria. Se non che a noi pare che non abbia qui frate Bartolorameo questa voce adoperata in questo sentimento, e piuttosto, traducendo il latino ingenium, che punto non ha la significazione di astuzia, sagacità, nè in questo luogo potrebbe averla, ha egli usato ingegnamento in luogo di ingegno, che pur alla latina si adoperò per indole, natura, che e il significato che ha e si può dare in questo luogo alla parola ingenium. E così ancora lo stesso frate Barlolommeo nel Giugurtino, traducendo anche simigliante parola, disse: Era un uomo di pacifico stato, e non da battaglia, nè d’ingegnamento malizioso: dove è chiaro che ingegnamento non altro può significare che indole o natura; e male è stato riportato questo esempio dalla Crusca a rifermare il significato di astuzia, sagacità, che dà solo a questa voce.
  22. (cioè da una città, ch’era presso al luogo là dove è Benevento).
  23. flagellando, ballendo con verghe.
  24. (cioè di morte ).
  25. che semo in briga di ben mantenerlo) Essere in briga non è registrato nel Vocabolario; ma con questo modo il traduttore aspiega le parole del testo: qui ea bene parta vix retinemus. Però pare che semo in briga debba significare siamo in travaglio, ci sforziamo a stento di mantenere.
  26. che li loro beni debbano esser pubblicati al comune) Pubblicare, che propriamente vale manifestar pubblicamente, sta qui adoperato in sentimento di applicare al pubblico.