Il Parlamento del Regno d'Italia/Carlo Berti Pichat

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Carlo Berti Pichat

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Eugenio Pelosi Pasquale Mazzoldi
Questo testo fa parte della serie Il Parlamento del Regno d'Italia


Carlo Berti Pichat.

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CARLO BERTI PICHAT

deputato.


È uno degli uomini più rispettabili ed onorandi che vanti l’Italia. Nato ed educato in Bologna nel nobile collegio di S. Luigi, indi in quella università, si distinse molto per ingegno altissimo nello studio delle matematiche e nella musica. Correvan tristi i tempi per l’Italia, ed egli, dedito agli studi, occupossi esclusivamente nella pratica dell’agricoltura nelle sue vaste possidenze, facendo tesoro di tutte le moderne applicazioni delle scienze all’industria agricola, e addivenendo l’amico e il padre de’ suoi contadini, dei quali fu sempre l’idolo. Condusse a sposa la signora [p. 465 modifica]contessa Vittoria Massari, il cui nome in tutte le opere benefiche e patriotiche apparve ognora fra le iniziatrici.

Il 1831 richiamava Berti Pichat dall’occupazione dei campi, per coprire gradi nella guardia nazionale e cariche civili e politiche, cui rinunziò; egli preferì prendere le armi, ma le sventure d’Italia rinnovellandosi, ritornò a’ campestri negozi e alla vita della famiglia, degli studi e dell’agricoltura.

Nel 1841, deplorando l’universale inerzia, e desideroso di raccogliere in un pensiero tutti i cittadini, Berti Pichat si fece promotore e istitutore di una Conferenza Agraria alla quale offerse le proprie sale per radunarsi ed ove convenivano settimanalmente i principali proprietari scienziati e coltivatori, a discutere, dei bisogni dell’agricoltura e della patria. Eletto a segretario perpetuo, l’organizzò a guisa di ampia associazione provinciale, donde uscirono energiche rappresentanze al governo sulle ferrovie, sulle riforme, sulle necessità della cosa pubblica. Istituì in pari tempo un giornale, Il Felsineo, ch’egli sapea sagacemente dirigere ad opposizione contro il governo, pur trattando cose agricole.

Giunto il 1846, la vita politica sviluppavasi, e le riforme allargavano il campo ad altri, allora la Conferenza si divise in morale e agraria; alla Conferenza morale cedette il Berti Pichal il proseguimento del Felsineo, dandosi egli a pubblicare un nuovo giornale, l’Italiano, consacrandone a profitto degli esuli indigenti il prodotto, perchè la nuova èra volea volgere a benefizio d’Italia tutta.

Andò a Roma per rappresentarvi il voto pubblico, che non restringevasi a desiderare poche sterili riforme per lo Stato Romano, ma voleva la liberazione d’Italia dallo straniero. Insistè per l’armamento generale e perchè s’iniziasse la guerra contro l’Austria. Eletto a comandare il battaglione universitario, animò quella gioventù a forti sensi in questo intendimento.

Trascinato il governo costituzionale di Pio IX ad occuparsi della guerra. Berti Pichat parti pel Veneto a capo di un battaglione di volontari bolognesi di [p. 466 modifica]guardia nazionale, e abbandonò gli agi e le più tenere affezioni per consacrare la propria vita alla rigenerazione d’Italia. Nel Veneto giunsegli partecipazione di sua elezione alla Camera pontificia come deputalo di Fermo, ma egli, costante nel suo principio, rifiutò, allegando che prima di meritarsi la fiducia della nazione, ogni italiano avea debito di combattere in armi lo straniero, essendo questo primo e sacro obbligo d’ogni cittadino.

Sostenne la campagna del Veneto, e si distinse alla difesa di Venezia, ove ebbe grado di colonnello, finché per la fuga del Papa da Roma, le Provincie dell’Italia centrale essendo minacciale da tulle le potenze, Roma vide di necessità richiamare dal Veneto le sue milizie.

Le Provincie delle Romagne erano state abbandonate, l’ordine pubblico seriamente minacciato da un partito che, confidando nel costituzionalismo papale, sperava restaurarne l’autorità, perduta verso le popolazioni specialmente dopo l’Enciclica del 29 aprile in cui il Papa malediva la guerra italiana, e i partiti estremi e i tristi pur s’agitavano. La voce pubblica designava Berti Pichat come uomo unico capace di reggere la somma delle cose, tanto per le sue alte cognizioni amministrative, che per la sua energia e specchiato carattere. Infatti fu da Roma nominato Preside e comandante militare delle quattro legazioni. In breve riordinò l’amministrazione pubblica, rannodò tutti gli spiriti, e costituì un vero governo modello come non aveasi giammai avuto il simigliatile. Sicurezza, ordine, tranquillità, accordo perfetto, questi furono i risultamenti dell’opera di questa insigne capacità. Non legato a veruna consorteria, non guidato da ambizione di titoli e onori, niuna influenza poteva esercitarsi sopra un animo giusto e severo, energico e caldo amatore d’Italia.

Nominato con 26 mila voti rappresentante del popolo all’Assemblea romana, restò al suo posto in Bologna per far argine agl’intrighi di alcuni che cospiravano con Gaeta, e opporsi alle minacce degli svizzeri che voleano partire per colà. Con somma [p. 467 modifica]perspicacia e coraggio salvò queste provincie da temute collisioni operando lo scioglimento de’ corpi svizzeri, e assunse atteggiamento forte davanti alla minacciosa invasione d’Haynau.

La fama del Preside di Bologna suonava dovunque, e Roma lo acclamava ministro dell’interno. Nominato a questa carica, partì per l’eterna città, ma dallo stato delle cose conoscendo ch’altro non era a lare che salvare l’onore delle armi italiane, declinò l’ufficio di alto ministro per riporsi alla testa de’ suoi commilitoni del Veneto che tosto venner chiamati alla difesa di Roma. Ivi combattè Berti Pichat più volte e sempre valorosamente, ma nel giorno 15 giugno 1849 diede prove sue straordinarie ai Monti Piccoli, sostenendo un attacco alla bajonetta nel quale fu in grave pericolo, riportando solo traforato il proprio cappotto, e vincendo contro numeroso corpo di assedianti, e eroicamente riconquistando le posizioni perdute.

Cadde Roma, e Berti Pichat fu obbligato di esulare in Isvizzera, poi in Piemonte, ove si stabilì in campagna, dedicandosi a’ suoi studi prediletti. Ivi illustrò l’Italia alla pubblicazione della più grand’opera italiana de’ nostri tempi, in materia agraria, le Istituzioni scientifiche e tecniche o Corso teorico e pratico di Agricoltura, opera che renderà immortale il suo nome, e che anco francesi e tedeschi altamente commendarono.

Le molte sue pubblicazioni procurarono al Berti Pichat l’onore di essere ascritto alle più celebri accademie, e segnatamente al francese istituto delle scienze, e appena ritornato dal decennale esilio fu eletto presidente della società agraria di Bologna, come in qualunque cosa dipendente dal volo dei cittadini, il suo nome brillò ognora fra i primi eletti. Amato, venerato, stimato per l’altezza dell’ingegno, per l’integrità e probità antica del carattere, per la severità de’ costumi, qual deputato di Bologna siede nel Parlamento Italiano ad onore e lustro del celebre consesso.