Il Quadriregio/Libro primo/VIII

Da Wikisource.
VIII. Come Cupido, irato con la ninfa Lippea, la feri d’una saetta d’oro

../VII ../IX IncludiIntestazione 31 marzo 2021 25% Da definire

Federico Frezzi - Il Quadriregio (XIV secolo/XV secolo)
VIII. Come Cupido, irato con la ninfa Lippea, la feri d’una saetta d’oro
Libro primo - VII Libro primo - IX
[p. 40 modifica]

CAPITOLO VIII

Come Cupido, irato con la ninfa Lippea, la ferí d'una saetta d'oro.

     Io era solo e scornato rimaso,
quando scontrai in quella via smarrita
Cupido, come andasse quindi a caso.
     E disse a me:— Lippea ov’è fuggita,
5che m’ha sfidato e mette me a dispetto?
Ma converrá che da me sia punita,
     ch’io gli trapasserò il core e il petto
con un acceso dardo delli miei;
e farla a te soggetta io ti prometto.
     10Io, che ho domato Iove ed altri dèi
con la potenza della mia saetta,
non vincerò, non domerò costei?—
     Quando egli disse voler far vendetta,
pensa, lettore, s’io mi feci lieto,
15da che affermava a me farla soggetta.
     Egli si mosse, ed io gli andai dirieto;
e sempre per la costa andò all’ingiúe
tra ’l duro bosco e l’aspero spineto.
     Quando presso alla valle giunto fue,
20vidi io Lippea che guidava il ballo
’nanti alle dèe con le compagne sue.
     L’arco suo dur, che mai ferisce in fallo,
prese Cupido, e d’uno stral gli diede
a venti braccia forse d’intervallo
     25sol nelli panni e giú appresso il piede;
ché se a lor desse in petto o molto forte,
sí come a’ viri ed agli dèi e’ fiede,

[p. 41 modifica]

     perché ad amar le ninfe non son scorte,
pel grande incendio del sacrato foco
30verrebbon meno e caderebbon morte.
     Il caldo cominciò a poco a poco
passargli al cor con l’infocato dardo;
e giá ferita non trovava loco.
     Lippea allora a me alzò lo sguardo
35e con gli occhi mirommi, con li quali
tanto m’accese il cor, ch’ancora io ardo.
     L’Amor, movendo poi le splendide ali,
per man menommi insino alla fontana,
menacciando anco con suoi duri strali.
     40Di me s’avvide allora dea Diana
e disse irata e con acerbo volto:
— Or che fa qui quella persona strana?—
     Lo dio Cupido meco s’era folto,
ma non veduto; ch’egli alla sua posta
45si può manifestare e farsi occolto.
     Egli mi disse:— Fa’, fa’ la risposta.—
Onde io andai, e riverente e chino
mi posi al carro suo appresso e a costa.
     E dissi a lei:— Mio caso e mio destino,
50o dea, m’ha qui condotto nel tuo regno
per uno errante ed aspero cammino.
     Forse Dio il fe’ che alla tua festa vegno:
per lui ti prego, o alma dea selvaggia,
che non mi scacci e che non m’abbi a sdegno.
     55E prego te che una grazia io aggia:
che come starvi Ippolito a te piacque,
cosí possa io tra questa turba gaggia.—
     E come chi consente, ella si tacque:
cosí sospeso e dubbioso rimasi
60e tornai a Cupido presso all’acque.
     Il carro della dea ben venti pasi
dal fonte, a mio parere, era distante,
e ’l sol calato all’orizzonte o quasi,

[p. 42 modifica]

     quando con vergognoso e bel sembiante
65venne Lippea inverso il fiumicello,
ond’io andai dicendo a lei davante:
     — O ninfa mia gentil col viso bello,
deh! non t’incresca e non aver temenza
se io, che tanto t’amo, ti favello.
     70Perché pur fuggi e pur fai resistenza
a quell’Amor, ch’anco li dèi percote
con le saette della sua potenza?—
     Sí come onesta donna, che non puote
soffrir lascivo sguardo, sottomette
75e abbassa gli occhi e fa rosse le gote:
     cosí fece ella alle parole dette,
che abbassò il viso e diventò vermiglia
e lagrimò e le parol tacette.
     — Mostra i zaffiri, c’hai sotto le ciglia
80— dissi,— o Lippea, ed alza sú la vista,
che alle dèe del ciel si rassomiglia.—
     Sfogando il pianto:— Oimè, misera, trista!
Oimè!— diss’ella.— Io ho tanto tormento:
Amor non vuol che a lui io piú resista.
     85Se mai il dispettai, io me ne pento;
se mai il gran Cupido io ebbi a vile,
dico «mia colpa» e dico «me ne mento».
     Con la potenza dell’orato astile
di mie parole folli ora mi paga
90e col foco, che al cor va sí sottile.
     Ma io il prego o che il dardo ritraga,
che m’ha ferito il cor, o che mi uccida,
sí che la morte risani la piaga.—
     Ed io a lei:— Cupido fu mia guida
95insino a te, ed egli mi promise
donarti a me con sua parola fida.—
     Udito questo, il viso sottomise;
poi disse sospirando e con vergogna:
— Perché, quando ferí, e’ non mi uccise?

[p. 43 modifica]

     100— Da che egli vuole, e questo esser bisogna
— diss’io a lei,— io prego che mi dichi
se tu se’ mia, e non mi dir menzogna.—
     Come la sposa, cui pudor fatichi,
cosí un «sí» de’ labbri gli uscí fuore
105pur con vergogna e con atti pudichi.
     Il viso bianco di smorto colore
prima dipinse e poscia si fe’ rosso
de’ due color, che fuor dimostra Amore.
     Poi disse:— Oimè, oimè che piú non posso
110celar l’amor!— E questo ella dicendo,
cadea, se non che io gli tenni il dosso.
     Soggiunse poi:— Amor, a te mi rendo:
non trova l’arco tuo difesa o scudo;
però invan contra te mi difendo.—
     115Poi disse a me:— O amoroso drudo,
io prego te, da che Amor mi ti dona,
che contra me non sie cotanto crudo,
     che tu mi lievi la bella corona,
che io porto in testa e la qual io mi vinsi,
120e che mai non mi lasci per persona.—
     Io gliel promisi e per fede gli strinsi
la bianca mano e con le braccia stese
il capo bianco e ’l collo ancor gli avvinsi.
     Contro l’amor non fe’ poi piú difese
125la bella ninfa e mostrossi sicura,
pur con vergogna ed onestá cortese.
     Cercando andammo per quella pianura,
e poi salimmo ad alto suso al monte,
in tanto che la notte si fe’ oscura.
     130Era giá Febo sotto l’orizzonte
ben venti gradi, ed ella mi condusse
in un bel prato, ov’era un bello fonte.
     Ed in quel loco tanto vi rilusse
la chiara luna, che per quella valle
135ogni fiore io vedea qual e’ si fusse.

[p. 44 modifica]

     Di fiori e di viol vermiglie e gialle
la bella ninfa tutto mi coprío;
e poi sul prato mi posai le spalle.
     E quando all’oriente in pria apparío
140il chiaro sol, trovai che n’era andata,
e posto un sasso scritto al capo mio,
     nel qual dicea: «Sappi ch’io son tornata
a dea Iunone, alla regina mia;
che colle mie compagne io sia trovata.
     145Tu sai che dea Iunone, andando via,
di lassarmi a Diana ell’ha promesso
che con lei io rimanga in compagnia.
     In questo tempo che star m’è concesso,
staremo ed anderem come a noi piace,
150cercando e boschi e balzi e scogli spesso.
     Fatti con Dio e tieni occulto e tace;
e prego che a vedermi torni tosto,
ché solo in veder te ’l mio core ha pace».
     Oh lasso! a Invidia nulla è mai nascosto,
155c’ha mille orecchie la malvagia e rea,
e l’occhio suo in mille lochi è posto.
     Questa n’andò all’una e all’altra dea,
dicendo:— Or non sapete ch’una dama
qui delle vostre, chiamata Lippea,
     160il giovinetto qui venuto ell’ama
col core e coll’amor tanto fervente,
che sol per lui di rimaner ha brama?—
     E, detto questo, sparí prestamente.