Il Re Torrismondo/Atto terzo/Scena settima

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Atto terzo - Scena settima

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SCENA SETTIMA

ALVIDA, REGINA

ALVIDA

Son doni di Suezia. Il Re Germondo,
Me gli ha mandati; al figliuol vostro amico
Ed a me, quanto ei vuole. Ed io gradisco
Ciò ch’al Re mio Signor diletta e piace.

REGINA

Nel donare, un gentile alto costume,
Serba l’amico Re; ma i ricchi doni
Son belli, oltre il costume, oltre l’usanza,
E convengon, Regina, al vostro merto.
E noi corone avremo, e care gemme
Per donare all’incontra. Onore è dono:
Onorata esser dee , com’egli onora;
Perch’è ferma amicizia, e stabil fede,
Se dall’onor comincia: ogni altra incerta.

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ALVIDA

Certo è l’amor, certo è l’onor, ch’io debbo
All’alto mio Signor; certa è la fede,
Ch’i suoi più cari ad onorar m’astringe.

REGINA

S’onora negli amici il Re sovente,
E ne’ più fidi. Oggi è solenne giorno,
Giorno festo ed altero; e l’alta reggia
Adorna già risplende, e ’l sacro tempio.
Venuto è ’l Re Germondo, e i Duci illustri
Del nostro regno, e i Cavalieri egregi;
D’Etuli un messo, un messaggier degli Unni;
Mandati ha ’l Re di Dacia i messi, e i doni.

CORO

Amore, hai l’odio incontra, e seco giostri,
Seco guerreggi Amore,
E con un giro alterno
Questo distruggi, e nasce il Mondo eterno.
Altro è, che non riluce agli occhi nostri,
Più sereno splendore,
Altre forme più belle
Di Sol lucente, e di serene stelle;
Altre vittorie in regno alto e superno;
Altre palme tu pregi;
Che spoglie sanguinose, o vinti Regi;
Altra gloria senz’ira, e senza scherno.
Amore invitto in guerra,
Perchè non vinci, e non trionfi in terra?
Perché non orni, a vincitor possente,
De’ felici trofei
Questa chiostra terrena
Con lieta pompa, ov’è tormento e pena?
Perch’il superbo sdegno, e l’ira ardente,

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Quaggiuso, e fra gli Dei
Non si dilegua, e strugge,
Se divo, od uom non ti precorre, e fugge?
Ciò, che l’ira ne turba, or tu serena:
Spegni le sue faville,
Accendi le tue fiamme, e fa’ tranquille.
Strigni d’antica i nodi, Amor, catena,
Ond’anco è ’l mondo avvinto,
Catenato il furore, e quasi estinto.
Deh! non s’agguagli a te nemico indegno,
Perchè volga, e rivolga
Queste cose la Sorte,
Col tornar dolce vita, od atrà morte.
Diagli pur l’incestante instabil regno,
Annodi i lacci, o svolga,
In alte parti, o ’n ime,
Già non adegua il tuo valor sublime.
Tu nel diletto, e nel dolor più forte,
Miglior fortuna adduci,
E queste sfere, o quelle orni, e produci.
Tale apra, o serri in Ciel lucenti porte,
O vada il Sole, o torni,
Han possanza inegual le notti, e i giorni.
Contra fera discordia, Amor, contendi
Come luce coll’ombra.
Ma come l’arme hai prese
Contra amicizia? ahi! chi primier l’intese?
S’offenidi lei, pur te medesmo offendi;
Se il tuo valor la sgombra,
Te scacci, e secchi in parte,
Se amicizia da te dividi e parti.
Stendi l’arco per lei, Signor cortese:
Ella per te s’accinga,

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E la spada per te raggiri, e stringa.
Non cominci nuova ira, o nuove offese;
Nè l’uno e l’altro affetto
Turbi a’ duo Regi il valoroso petto.
Deh! rendi Amore ogni pensiero amico;
Amor fa’ teco pace;
Perch’è vera amicizia amor verace.