Il Tesoro (Latini)/Illustrazioni al Libro IV/Capitolo I

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Capitolo I

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Brunetto Latini - Il Tesoro (XIII secolo)
Traduzione dalla lingua d'oïl di Bono Giamboni (XIII secolo)
Capitolo I
Illustrazioni al Libro IV Illustrazioni al Libro IV - Capitolo II
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Capitolo I.


In questo libro, nel quale il Maestro con tanta erudizione ragiona degli animali, avendo sempre in mente la morale, e lo strano preferendo al vero, quando a morali ammaestramenti aprisse il cammino, com’ era costume de’ suoi tempi, non è fuor di luogo questa dottrina di Boezio, dal quale egli copiò nel proemio del Tesoro la prosopopea della filosofia, e dagli ammaestramenti del quale trae di sovente profitto.

» Vedi ora dalla contraria parte dei buoni, qual pena accompagni i rei. Ogni cosa che sia, essere una, e l’uno stesso essere buono apparasti, non è molto: alla qual cosa consegue, che tutto quello che è, sia ancora buono. Dunque in questo modo tutto quello che manca del bene, manca ancora dell’essere: del che avviene, che i rei lasciano d’essere [p. 118 modifica]quello che erano; ma loro essere stati uomini mostra la forma del corpo umano che ancora ritengono; laonde, essendosi in malizia convertiti, hanno ancora la natura umana perduto. Ma conciosiacosa che sola la bontà possa far gli uomini più che uomini; di necessità è la malvagità faccia meno che uomini tutti coloro, che ella dalla umana condizione ha tolti e avvallati. Avviene dunque, che cui tu vedi trasformato da’ vizii, non possi uomo riputarlo. Uno che toglie per forza l’altrui ricchezza tutto caldo d’avarizia, si può dire che sia simile a un lupo. Un altro che si diletti di porre agguati e pigli piacere d’involare l’altrui con inganni e frodi, si può adeguare alle golpi. Chi non possente raffrenar l’ira, rugge e fremisce per la stizza, si creda aver animo di lione. Alcuno pauroso e fugace, il quale dotti eziandio le cose che non sono da temere, sia a’ cervi tenuto simile. Alcuno altro infingardo e balordo stà come se fusse tutto d’un pezzo ed intormentito, dicasi che vive la vita degli asini. Chi, essendo leggiero e incostante muta voglie e pensieri a ogn’ora, non è in nulla dagli uccelli differente. Colui, il quale nelle sporche e sozze lussurie s’attuffa, piglia quei medesimi brutti piaceri che i porci pigliano. E così avviene, che chi, abbandonata la virtù, lascia d’essere uomo, non possendo egli divenire Dio, si tramuta in bestia.»

Della Consolazione della filosofia, libro IV prosa 3 traduz. Benedetto Varchi. [p. 119 modifica]

Ancora sul Capitolo I.


È abbastanza curiosa questa postilla del Sorio: » Stampa francese 1863: Plinius en conte C.XLIIII Ms. francese capitolare: Poissons sont ses nombre. In soit ce que Plinius en conte CL et XLIII (sic) Et sont de diverses manieres. Testo bergamasco CLXXXIII. Ms. franc. A: En compte C. XX. IIII. XIIII. Contandolo alla francese, e cosi cento, quattro volte venti, e quattordici. E vale 194 come il testo bergamasco. Testo ambrosiano 144.

Plinio, citato dall’autore, così recita nella stampa Parigina 1723. Piscium sunt species septuaginta quatuor, praeter crustis intectas quae sunt triginta. Ma nella nota dice il padre Arduino, così aver trovato in tutti i testi; se non che sospetta egli che sia forse da leggere CXLIV, ai quali aggiunti gli altri trenta, sarebbero in tutto CLXXIV, il qual numero è appunto in Plinio medesimo, libro 32 sect. 51.

Adunque il numero 144 del testo va bene, e sarebbe l’appoggio della congettura del p. Arduino, contando i soli pesci, senza i crostacei.

Non è dunque da dire, come fa anche l’editore di Plinio del 1771, Paris, che tutti i mss. portassero in Plinio il numero LXXIV. Ser Brunetto Latini dovette leggere nei mss. non soli 74. ma 174, e ne’ suoi mss. il traduttore toscano sottrasse i 30 crostacei: onde si vede recato il conto a 144.» [p. 120 modifica]

Ancora sul Capitolo I.


Insegnava Brunetto in Francia: Dell’anguilla gli anziani dicono, che chi bevesse del vino, ov’ella fosse annegata, non avrebbe mai più voglia di bere vino.

Non sembra fosse della medesima opinione il suo contemporaneo papa Martino IV di Tours, del quale cantò Dante nel XXIV del Purgatorio:

                                   e quella faccia
Di là da lui, più che l’altre trapunta,
     Ebbe la santa Chiesa in le sue braccia:
Dal Torso fu, e purga per digiuno
L’anguille di Bolsena in la vernaccia.

È curiosa la postilla del codice cassinese a questo luogo: Nunc super ejus sepulchro fertur quod sint isti duo versus:

Gaudent anguillae, quod mortuus hic jacet ille, Qui, quasi morte reas, excoriabat eas.

Ma alcuni pretendono si debba leggere: le anguille, e la vernaccia. La dottrina di ser Brunetto potrebbe addursi a favore di questa lezione. Avrà mangiato le anguille, e bevuto la vernaccia: non mangiato le anguille in la vernaccia in cui fossero morte le anguille.