Il buon cuore - Anno IX, n. 50 - 10 dicembre 1910/Educazione ed Istruzione

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Educazione ed Istruzione

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Beneficenza Religione

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Lettere di Antonio Stoppani

al Padre Cesare Maggioni1

Dall’ultimo numero della Rivista Rosminiana togliamo il seguente articolo del prof. cav. Giuseppe Morando:

Nel periodico, caro alla beneficenza milanese, Il Buon Cuore, è apparso il mese scorso (7 ottobre) un articoletto intitolato Eco di passate battaglie a proposito delle lettere di Antonio Stoppani al Padre C. Maggioni pubblicate dalla R. R. e riunite in libro dall’amico A. M. Cornelio in commemorazione del XX anniversario della morte del grande geologo, ed a beneficio degli Emigranti.

L’articoletto è firmato dal P. Angelo Novelli, redattore del giornale L’Unione e del settimanale L’Idea, eredi dell’Osservatore Cattolico di poco compianta memoria. Vide anzi dapprima la luce appunto su L’Idea. Ma, bisogna dirlo subito, è scritto in termini tanto cortesi, che verrebbe voglia di ragionare a lungo col compitissimo autore di esso. Il quale, a proposito della mia diuturna pugna per le dottrine rosminiane (l’ho detto ancora: Nephtali, lucta mea), dichiara che «torna affatto impossibile negare al professor Morando che quelle idee da anni instancabilmente nella sua e in altrui riviste va propugnando per l’Italia, e fervore e sincerità e costanza indomita». Io saluto l’avversario anche per le parole che seguono, ove il mio merito è certo soverchiato dall’elogio: «Forse è il solo oggi in Italia cui la filosofia del Roveretano in compenso del lungo ed amoroso studio ha rivelato tutti i suoi valori; ed è ben naturale che, da buon discepolo del Rosmini, egli questi valori faccia valere nei numerosi scritti di volgarizzazione e in quei di critica, nei quali sulla pietra della sua ideologia saggia le altrui ideologie e in quelli finalmente di polemica». Lo ringrazio pure, ancor più che di questi elogi immeritati, d’aver reso omaggio, con animo altamente cristiano in contrapposto di tanti altri.... viceversa, alle mie intenzioni e propositi, quando, dopo aver detto ch’io sono rimasto rosminiano nonostante la condanna delle quaranta proposizioni: soggiunge: «Da buon cattolico però — è giustizia dirlo — egli non s’argomenta di dimostrare che la Chiesa abbia errato e che quelle famose proposizioni debbansi ritenere per oro colato, no, ma s’accontenta e da anni si sforza di dimostrare che la condanna colpì se mai errori di particolare, non il nocciolo del sistema rosminiano, che questo sistema vince ogni altro in verità e che.... dopo tutto, il decreto Post obitum, non involgendo la questione dell’infallibilità pontificia, potrebbe eventualmente essere riformato». [p. 395 modifica]

Ma purtroppo qui, dopo i ringraziamenti, devo fargli un appunto grave. Lasciamo stare il vezzo poco commendevole di gran parte degli scrittori cattolici, che, trattandosi di un decreto dell’Inquisizione, quando parlano del caso di Galileo dicono l’Inquisizione o anche tout bonnement «alcuni teologi romani» e quando invece parlano del Rosmini dicono solennemente la Chiesa; lasciamo stare questo, giacchè in ultimo l’A. pare riconoscere che il decreto contro il Rosmini non involga la questione dell’infallibilità pontificia. Quello ch’io voglio notare, come un indice persistente di queste controversie, è il fatto positivo (ed io son solito attaccarmi ai fatti perchè contro di essi non valet argumentum) che l’A. discorre di me, di quel ch’io penso, di quel ch’io scrivo, di quel che sostengo, senza avermi letto o senza ricordare quel che di me ha letto. Egli afferma a mia lode (e tanto peggio per me s’io la guasto!) che da anni mi sforzo di dimostrare che la condanna colpì se mai errori di particolare, non il nocciolo del sistema rosminiano.... Ora nel mio grosso volume che è precisamente l’Esame critico delle quaranta proposizioni io scrivevo per l’appunto il rovescio: «Come ho già detto altra volta, non sono d’accordo affatto con coloro che hanno visto superficialmente (nella condanna delle 40) una raccolta di frasi scucite e incomprensibili, prese a casaccio dai molti volumi del Rosmini e poste lì comunque tanto per colpire e condannare qualche cosa.... In queste quaranta proposizioni è svolto mirabilmente un tema completo di enciclopedia filosofico-teologica. I più importanti problemi della filosofia ed i punti più fondamentali della teologia cristiana vi sono toccati, per modo che se fosse vero che il Rosmini avesse errato in tutte queste dottrine, di lui come filosofo spiritualista cristiano rimarrebbe ben poco: oso dire, non rimarrebbe nulla» (Esame crit., p. XXXVI). E svolgo a lungo nulla questo concetto. Mi pare adunque di essere giustificato quando insisto che chi scrive di qualcuno o di qualche cosa dovrebbe avere la non mai abbastanza lodata abitudine di leggere in anticipazione.

Dopo ciò non è maraviglia se troviamo nell’articolo del Novelli la strabiliante affermazione che lo Stoppani non era.... Rosminiano! «Rosminiano egli? Lo vollero tale gli ammiratori e fino a un certo punto egli lo credette, ma non lo era se non alla superficie dell’anima...» la quale anima in fondo «era straniera» alla metafisica rosminiana, perchè nelle sue lettere all’Amico non sente il bisogno di rivedere il suo «credo» filosofico, e perchè «la metafisica esula dal suo spirito sereno».

Dice il Cornelio nel suo commento che il Novelli è molto giovine. Dev’essere così, perchè noi, che non possiamo più passare per tali, siamo in grado di attestare quanto quell’anima aperta ad ogni luce di vero s’interessasse alle questioni filosofiche e metafisiche. Non ne scrive e discute col Maggioni! Ma è naturalissimo! Se si vedevano spesso ed andavano d’accordo come due anime in una! Io stesso, che, spero, sono abbastanza rosminiano, non ne discuto quasi mai con gli amici, e nelle moltissime lettere che ho scritte in vita sarebbe ben difficile trovarne più di pochissime che trattino ex professo di questioni filosofiche. Se voglio trattarne lo faccio in altra sede. E certo lo Stoppani era un grande geologo, un appassionato della natura, uno scienziato, un escursionista, ecc., ma la filosofia rosminiana in tutto questo era l’aroma, era il profumo, era l’innalzamento della sua anima anelante al mondo dell’ideale, che non è men bello e meno luminoso di quello materiale che si vede e si tocca. Si farebbe un’idea ben meschina della filosofia il Novelli, se volesse attribuirla solo a quelli che ne fanno professione di tutta la vita, che scrivono trattati, commenti, allumacature. Quanti pretesi filosofi che scrivono e scrivono e scrivono, e l’ala della filosofia non li ha mai sfiorati! Forse tanto numerosi quanto gli scribacchiatori di versi che le Muse hanno in odio. Ricordo che una volta la Civiltà Cattolica rimproverava allo Stoppani appunto di volersi pronunciare sopra una questione filosofica, lui che non professava filosofia. E il Bulgarini argutamente rispose che con una mente come quella dello Stoppani si arrivava più alto nella filosofia in tre giorni di meditazione, che non certe menti anguste in tre anni. Aveva ragione. E quanto penetrasse nelle dottrine del Rosmini l’acuto intelletto dello Stoppani lo dimostrano le sue opere. Basterebbe leggere (ma bisogna leggere!) quelle sul Dogma e le scienze positive, quella sulla Purezza del mare e dell’atmosfera, ch’è la Teodicea rosminiana applicata alla geologia, quella postuma sull’Exemeron, e specialmente le questioni sulla Creazione che sono alla fine del 2º volume, e dove il Novelli potrebbe prendere un bagno salutare nella metafisica dello Stoppani. Basterebbe leggere (ma bisogna leggere!) Le Ragioni del periodico «Il Rosmini» che ho detto, e ripeto essere la miglior cosa pubblicata in quel periodico e un superbo volo d’aquila attraverso la storia della filosofia dall’antichità a noi.

Basterebbe leggere anche il magnifico articolo da lui scritto in rettifica di alcune affermazioni dell’Osservatore romano, dove si sente il pensatore potente e il giudice acuto pure di questioni filosofiche. Basterebbero in fine eziandio queste lettere su cui il Novelli ha appoggiato la sua sbalorditiva affermazione. Nella lettera del 29 agosto 1880 narra all’amico d’aver letto già in parte il primo volume Degli Universali di Mgr. Ferrè, e di aver bene inteso la dottrina delle tre forme dell’essere, che, secondo lui, è il trionfo e la corona della filosofia rosminiana. Per una mente «straniera alla metafisica rosminiana» non c’è male! Nella lettera del 17 aprile 1888, poi, egli spiega e difende la dottrina del divino della natura ch’è la più alta e la più fondamentale delle dottrine filosofiche tutte, che è la gloria sempreviva del Rosmini, e che molti filosofi di cartello non hanno ancora capito oggi, dopo che il genio del Roveretano l’ha posta nella luce più chiara: e, sia detto con sopportazione, non ha capito ancora neppure il Novelli, che attribuisce al Rosmini di fare Dio, Bellezza riflessa nell’universo, oggetto di immediata intuizione dell’anima umana. Sicuro, prima di scrivere su certe cose delicate, bisogna leggere e molto!

Nel 1887 venne pubblicata a Milano (si diceva dalla società dell’Osservatore Cattolico) un’edizione dei Promessi Sposi, preceduta dalla vita dell’Autore per cura [p. 396 modifica] di un Sacerdote Milanese. In essa questo Sacerdote osava scrivere del Manzoni: «Ivi (a Stresa) strinse intima amicizia coll’abate Antonio Rosmini, del quale si dice abbia accettate anche le dottrine filosofiche, della qual cosa noi dubitiamo fortemente, per cognizione (figuratevi!) che abbiamo e delle opere del Rosmini e di quelle del Manzoni....» (p. X). E questo dubbio, che esilarò Milano e l’Italia, lo si enunciava davanti non dirò a quei molti ancora viventi che conoscevano del Manzoni la vita, i documenti, la corrispondenza, ecc., ma quando tutte le persone colte ammiravano da un pezzo quell’inimitabile gioiello e quella insuperabile apologia della dottrina rosminiana ch’è il Dialogo dell’Invenzione scritto dal Manzoni con la penna che scrisse l’immortale romanzo! Se si diffondessero tali scetticismi e cinismi, come potrebbero più i Sacerdoti supporre di trovare ancora qualcuno che credesse in qualche cosa? E come si potrebbe ancora pretendere di dimostrare qualche verità d’indole storica o morale?

Io spero che il P. Angelo Novelli non voglia emulare la poco invidiabile gloria dell’anonimo Sacerdote Milanese. Tale speranza gliela esprimo con simpatia e senz’ombra di rancore.

E a proposito.... un’ultima parola. Il Novelli rileva ironicamente, discorrendo di queste lettere dello Stoppani, una contraddizione tra la mia promessa e invocata imparzialità storica, e le note da me poste in calce ad esse in cui vedo tutto bello, tutto grande negli uomini della mia parte e tutto nero e piccolo in quelli ch’ebbero il torto di pensare diversamente. Egli si fa dunque un curioso concetto della storia e della sua imparzialità. Altro è la passione che fa vibrare tutte le fibre, che fa fremere, piangere, accendere, esultare, accasciarsi, e persino infermare e morire, gli attori di un dramma vissuto; altro è il giudizio della mente che gli storici dopo quel periodo si formano intorno a tali avvenimenti. Il pathos della lotta rosminiana è cessato: il giudizio della mente sereno e tranquillo rimane, e di questo ho usato nelle note, perchè i fatti sono fatti. Se in qualche parte del mio giudizio avessi sbagliato e detto male (ciò che può anche essere) testimonium perhibe de malo... Ma la contraddizione è un regalo che mi de malo vuol fare il nostro scrittore e che io non accetto.

Giuseppe Morando.

Cose indegne d’un gran filosofo


Cioè?... Cioè, provocare del rumore attorno ad un atto di vita intima, e il perdere le staffe, nulla nulla che i nemici screditino in faccia all’opinione pubblica. Non parlo del gesto, molto discutibile del resto, di uscire dalla propria Chiesa a 76 anni; nè dell’altro non meno discutibile, di esservi restato cinquant’anni, ma contro genio e convinzione, e solo per riguardi alla famiglia. Se si vuole, ognuno è padrone di troncare i suoi rapporti religiosi con Dio quando vuole, anche allora che la gente, meglio che uscire dal grembo della Chiesa, suole ritornarvi. Quanto poi ai cinquant’anni

di condotta religiosa finta e ipocrita, chi avrà a lagnarsene dato che un senso gentile di pietà filiale — mettiamo pure esagerato malinteso — li determinò? Dopo tutto, questo è affar suo.

Dunque, ciò che stupisce in Ernesto Heeckel, il filosofo fondatore del monismo, e lo scienziato che avrebbe trovato l’anello mancante fra l’uomo e il bruto, ma che viceversa è ancora un pio desiderio, ciò che stupisce in lui è il rumore di cui circondò la sua uscita dalla Chiesa protestante lo scorso novembre.

Per quanto gli uomini grandi non possano del tutto passare inosservati, tuttavia l’Heeckel, e per l’età avanzata e col pretesto degli studi, non dovea mancare di buoni mezzi per coprire la materialità della sua uscita dalla Chiesa; quind’innanzi si sarebbe astenuto dal frequentare le riunioni cristiane ed era finita. Ma no; che sugo ci sarebbe stato nel ritirarsi così alla chetichella? Quando si vive di popolarità, di chiasso, di libidine di far parlare di sè a qualunque costo, non convengono certe prudenze e certi pudori e certi scrupoli di ferire coscienze deboli, di scandolezzare; purchè il proprio nome vada di bocca in bocca e si parli, si agiti attorno ad esso, tutto è permesso.

Bella poi la dichiarazione di essere stato spinto ad uscire dalla Chiesa «dai perfidi attacchi della stampa clericale e conservatrice.... dalle gravi accuse di pretesa falsificazione della scienza, ecc.» per un gran filosofo, la meschina ragione deve ben scusare un atto così grave! Bella poi anche la stizza e l’indignazione contro i suoi nemici. Insomma, non è vero che i ritocchi fatti ai disegni di vari embrioni per dare la rappresentazione completa del processo evolutivo dall’embrione fino all’uomo, anzichè una integrazione, siano piuttosto un suo trovato, siano una truffa? Ebbene, lo dimostri con sode ragioni; porti l’anello mancante; e se non integralmente, almeno in tale stato anche rudimentale, ma in modo da persuadere. Perchè accalorarsi come fa, dar in escandescenza poco dignitosa, minacciare questo e quello, e poi uscire con fracasso dalla sua Chiesa? Che razza di logica è questa? Ah, filosofo troppo poco grave, compassato, impassibile, inaccessibile alle miserie umane; che posi da grande con questi gesti e bizze e vendettuccie da ragazzo! I filosofi classici d’una volta no, no, non facevano così....

(r. e.)

DUE CAPPUCCINI

diversamente accolti in Inghilterra


(Continuazione e fine, vedi numero 49).


Ora ecco che cosa succede: d’un tratto, gli entusiasmi che scoppiarono facili alla lettura di tante gesta, si raffreddano e succede un atteggiamento di stupore, di freddezza, di ostilità quasi; il Cappuccino Scozzese di punto in bianco passa dall’accoglienza più festosa ad un’altra poco meno che di lapidazione. Perchè? Perchè la critica ha voluto occuparsi di lui, perchè lo [p. 397 modifica] ha trovato mancante, perchè nel lavoro del Rinuccini riscontrò un romanzo e non una storia, per quanto il fondo storico ci sia senza dubbio.

Veramente il primo colpo gli venne dalla caduta del romanticismo letterario; o meglio, da quel manierismo esagerato, affettato, svenevole, tutto artifizi, immaginose trovate, che non ebbero mai una realtà se non nella fantasia capricciosa del biografo, non già nella vita del Cappuccino Scozzese. E si sa, oggidì questo genere di letteratura non passa certo un buon quarto d’ora. Il convenzionalismo, il romantico ed il poetico, se sempre, oggidì anche più male si accoppiano ad un fatto storico, oggidì in noi è tanto sviluppato il senso di naturalezza, di semplicità, di verità, senza fronzoli e senza oratoria.

La critica ha fatto il resto col voler vedere quanto di vero ci fosse nell’affascinante racconto, o nel pio romanzo. E purtroppo trovò che la vita di P. Arcangelo non risponde affatto a date, a possibilità di incontri con certi personaggi che durante il suo soggiorno in

territorio inglese, erano certamente assenti; che il castello di Monysmusk non fu mai in possesso dei Leslie, che P. Arcangelo non già si fece frate in Italia, ma nelle Fiandre nel 1608 ecc. Nel 1891 Mr T. G. Law pubblicava poi una anche più decisiva demolizione del Cappuccino Scozzese per quanto basata molto sui giudizi già portati dal colonnello Leslie. E nel Dictionary of National Biography del XXXIII vol. M. Thompson Cooper dice della vita nel nostro cappuccino che «i fatti in essa registrati sono quasi tutti immaginari» e che «la Leggenda venne completamente demolita dal Law». L’ultimo colpo infine gli veniva dalla penna arguta e piena di innocente malizia ma senza fiele, del famoso critico P. Thurston nel fascicolo dell’agosto 1908 del The Month, che è la Civiltà Cattolica dei Reverendi Padri Gesuiti d’Inghilterra. Il qual Padre, giustamente si mostra indignato di questo genere di letteratura agiografica, così poco in armonia coi gusti moderni e col rispetto dovuto al pio lettore, così nocivo alla buona causa. A promuovere il bene non occorre proprio torre

ad imprestito da penne romantiche quel meraviglioso edificante ed eloquente, ma storico, che nel Cristianesimo non ha mai fatto difetto.

Ed ora passiamo all’altro Cappuccino, stato presentato esso pure agli Inglesi da uno scrittore italiano, che era un po’ meno credulone e romantico e non naturale di quel buon Arcivescovo di Fermo, il Rinuccini. E quest’altro Cappuccino è il notissimo Padre Cristoforo dei Promessi Sposi. Si sa che il romanzo celeberrimo venne in luce nel 1825-26, e subito tradotto e pubblicato nelle principali lingue europee; quindi anche in inglese — The Betrothed lovers — edito la prima volta nel 1828 a Pisa nientemeno; poi a New-York, nel 1845, poi a Londra nel 1872 e nel 1876.

Vuoi per il nome dell’autore, vuoi per il rumore fatto attorno al romanzo, oppure in grazia dei boni rapporti tra Manzoni e Walter Scott, o meglio per le stupide accuse mosse al poeta lombardo, come quello che avesse scritto sulla falsariga dell’Ivanhoe del romanziere scozzese, oppure per altre ragioni, il fatto è questo, che in Inghilterra il The Betrothed lovers ebbe una grande diffusione. Quando si pensi che capitò anche nelle mani

di uno il quale alla letteratura romantica aveva dedicato un’antipatia che rasentava l’odio, come è chiaro da uno dei suoi Parochial and plain Sermons, e per il tempo prezioso che ci ruba, e perchè svisa la realtà delle cose, e perchè eccita a cupidigie folli irrealizzabili e perchè è di una esasperante vacuità, frivolezza, verba, verba, ebbene il fatto che il Promessi Sposi capitò anche nelle mani del Reverendo Enrico Giovanni Newman, ci dice tutto. Ora quell’austero, tuttora ministro anglicano, e se non arrabbiato nemico di cose cattoliche, certo deciso con tutto il garbo e la dignità a tenersene al largo, il Reverendo Newman che poi doveva farsi cattolico, e religioso Filippino, e venir innalzato all’onore della Porpora, fu attratto esso pure verso il capolavoro manzoniano, e lo lesse. Naturalmente, se nessuno degli elementi del romanzo gli dovette sembrare trascurabile, tuttavia la sua maggiore attenzione ti fissò sull’elemento religioso e il più pronunciato. Ma tra tutti i personaggi, quello che gli piacque di più, lo affascinò di più colla sua incomparabile bellezza morale, ed ebbe un’accoglienza nel suo cuore, nel suo pensiero scrutatore e misuratore di grandezza [p. 398 modifica] sia di genio sia di bontà, fu il cappuccino, il Padre Cristoforo. Nel secondo volume delle sue Letters and Correspondance, pag. 285, sente il bisogno di sfogare l’animo suo nei riguardi dell’impressione riportata davanti al quadro della sublime carità, della coraggiosa franchezza, della tanto naturale e modesta vita d’un autentico eroe della Chiesa Cattolica, e scrive: «Ah! che questo padre cappuccino dei Promessi Sposi mi ha penetrato il cuore come un pugnale; io non posso più liberarmene.»

Ora queste parole d’un Newman, di un genuino rappresentante del mondo intellettuale, esigente, critico, d’Inghilterra, e sono l’esponente dell’accoglienza massima che si potesse fare ad un cappuccino, e sono l’indice di ciò che devono aver pensato e fatto migliaia di inglesi che prendevano l’intonazione e la parola d’ordine dal Reverendo Newman. La figura di P. Cristoforo per i paesi anglo-sassoni avrà quindi innanzi il migliore dei passaporti e la più autorevole raccomandazione; penetrerà ovunque bene accolta, festosamente incontrata, complimentata, benedetta; e tutti i lettori, del «The Betrothed lovers» proveranno un sempre crescente godimento intellettuale, trasaliranno di piacere, di gioia ogni volta che il loro sguardo si arresterà sul cappuccino italiano cinto di tanto seducente fascino quale glielo comunicò Manzoni.

La storia di questo frate è narrata dal mirabile episodio contenuto nel Capitolo IV dei Promessi Sposi, e dalle sparse vicende sue intrecciate nei casi di Renzo e Lucia, terminate da un epilogo smagliante, divino, là in quel luogo di desolazione e di morte, il lazzaretto, dove consuma il suo olocausto in servizio degli appestati. Quante altre vite di uomini eccezionali furono narrate da un genio con più arte, oppure con più naturalezza, senza ombra d’artifizio, d’amminicoli leziosi di una letteratura vuota e pomposa e gonfia?

E questo è il segreto che spiega la straordinaria accoglienza fatta al Padre Cristoforo dalla gente anglosassone. Il Cappuccino Scozzese, per quanto personaggio storico, venne presentato con tal veste romantica da parere un personaggio immaginario, e per di più molto antipatico, repulsivo; mentre il Padre Cristoforo, per quanto un personaggio immaginario, venne presentato con tanta naturalezza e veste da sembrare un personaggio storico o quanto meno reale. La sua storia verrà letta sempre con interesse; mentre quella del Cappuccino Scozzese, dopo l’opera dei critici, e quella di maggior autorità fra i lettori di simile letteratura, la critica del P. Thurston si può ritenere abbia finito i suoi giorni.

L. Meregalli.

Le vittime dell’aviazione


La noia cresce, cresce sempre e non accenna ancora purtroppo a terminare. Dopo la morte di Geo Chavez, del trionfatore delle Alpi, in questi due mesi sono già m orti altri 12 aviatori. Il crescendo è impressionante. Ecco pertanto la triste statistica:

I. Luogotenente Selfridge - Forte Meyerva - 11 settembre 1937.

2. M. Lefébvre - Iuvisy - 15 settembre 1909.

3. Capitano Ferber - Boulogne-sur-Mer - 22 settembre 1909.

4 Fernandez - Nizza - 6 dicembre 1909.

5. Delagrange - Bordeaux - i gennaio 1910.

6 Le Blon - San Sebastiano - 2 aprile 1910.

7. Hauvette Michelin - Lione - 13 maggio 1910.

8. Zosely - Budapest - 12 giugno 1910.

9. Herr Robl - Breslaft - 3 luglio 1910.

10. Wachter - Reims - 3 luglio 1910.

11. Daniel Kinet - Gand - 11 luglio 1910.

12. Rolls - Bournemouth - 12 luglio 1910.

13. Cherley Walden - New York - 3 agosto 1910.

14. Nicola Kinet - Bruxelles - 3 agosto 1910.

15. Tenente Vivaldi Pasqua - Magliana - 20 agosto 1910.

16. Masdy - Aruhem - 27 agosto 1910.

17. Hamilton - New York - 10 settembre 1910.

18. Barneth - Folkstone - 22 settembre 1910.

19 Geo Chavez - Domodossola - 23-27 sett. 1910.

20. Poillot - Chartres - 25 settembre 1910.

21. Maas - Metz - 2 ottobre 1910.

22. Madjeuritch - Pietroburgo - 8 ottobre 1910.

23. Capitano Madiot - Bragelle - 24 ottobre 1910.

24. Tenente Mente - Magdeburgo - 25 ott. 1910.

25. Blanchard - Issy - 26 ottobre 1910.

26. Tenente Saglietti - Centocelle - 27 ottobre 1910.

27. Johnston - New York - 1 novembre 1910.

28. Peters - Berlino - 11 novembre 1910.

20. Ralph Johston - Denver - 18 novembre 1910.

30. Ing. Enrico Cammarota - Centocelle - 3 dicembre 1910.

31. Giuseppe Castellani - Centocelle - 3 dic. 1910.

  1. Antonio Stoppani nel XX anniversario della morte. L. 3 — (A. M. Cornelio, Milano, via Castelfidardo, 11).