Il buon cuore - Anno XIV, n. 17 - 24 aprile 1915/Religione

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Vangelo della terza domenica dopo Pasqua.

Testo del Vangelo.

Disse Gesù a’ suoi discepoli. Un pochettino e non mi vedrete; e di nuovo un pochettino e mi vedrete. perchè io zio al Padre. Disser però tra loro alcuni de’ Non suoi discepoli: Che è quello che egli ci dice: [p. 131 modifica]andrà molto e non mi vedrete, e di poi, non andrà molto e mi vedrete, e me ne vo al Padre? Dicevano adunque: Che è questo ch’egli dice: Un pochettino? non intendiamo quel ch’egli dica. Conobbe pertanto Gesù che bramavano di interrogarlo, e disse lt,ro: Voi andate investigando tra di voi il perché io ab— bia detto: non andrà molto e non mi vedrete, e di poi: non andrà molto e mi vedrete. In verità, in verità vi dico, che piangerete e gemerete voi, il inondo poi godrà; voi sarete in tristezza, ma la votra tristezza si cambierà in gaudio. La donna, allorchè diventa madre, è in tristezza, perchè è giunto il suo tempo; quando poi ha dato alla!nce il bambino, non si ricorda più dell’affanno a motivo della allegrezza, perchè è nato al mondo un uomo. E voi. adunque, siete pur adesso in tristezza; ma vi vedrò di bel nuovo, e gioirà il vostro cuore, e nessuno vi torrà il vostro gaudio. (S. GIOVANNI Cap. 16).

Pensieri.

Il Vangelo d’oggi fa parte di quel mirabile discorso dell’ultima Cena, nel quale ogni idea, ogni sentimento, è un lampo della mente, è uno slancio del cuore, all’unissono dello stato d’animo appassionato di Cristo, tra un bacio e una lagrima, il bacio dell’Eucaristia, la lagrima della passione imminente e dell’addio. E’ una pagina di psicologia soprannaturale: Cristo ricorda i diversi stati dell’animo, nel cammino soave e doloroso a un tempo della faticosa elaborazione della virtù: una sola immagine sembra a Cristo adeguata a ritrarre questo stato di angoscia e di amore, una madre che stringe al serio il neonato bambino: la madre è l’anima, il bambino è la virtù. Tre momenti compongono questo stato: le alternative della lott7i, il dolore, la gioia.

Un poco e non mi vedrete, e di nuovo un poco e mi vedrete. La spiegazione letterale immediata data dai Santi Padri a queste parole, è di riferirle alla morte imminente ed alla risurrezione di Cristo. un poco e non mi vedrete: io sarò catturato, condannato, crocifisso, sepolto, io sarò tolto a voi; ma di nuovo un poco e mi vedrete: io risorgerò, io comparirò ancora a voi, io starò ancora in mezzo a voi, mangerò, discorrerò, come faccio, e come ho fatto tante volte nel paSsato. Ma queste parole hanno ancora un altro senso, un senso morale. Al luogo degli Apostoli stanno le anime; è la storia dell’anima cristiana, fedele, pia, che qui è adombrata; dell’alternativa di luce e di tenebre, di forza e di debolezza, di divozione e di aridità. nel quale si trova l’anima nel percorrere il cammino della virtù. Noi dobbiamo stare con Cristo; noi vogliamo stare con Cristo; ci sono dei momenti in cui l’anima nostra è tutta con Cristo; Cristo è il nostro amore, è la nostra gioia, è la nostra speranza; ci pare impossibile che possa mai sorgere il momento in cui noi

possiamo essere disgiunti da- lui: noi ripetiamo la parola confidente di Davide: ego diti in mea abundantia, non movebor in aeternum: nel fervore della divozione dissi: io non muterò in eterno.... E poi, di lì a qualche tempo, forse domani, forse dopo, le cose non sono più quelle; cerchiamo Cristo, e Cristo non c’è più! La luce non brilla più alla mente, lo slancio non è più nel cuore, si è perduto l’appetito delle cose spirituali; si prega, e la preghiera muore sulle labbra; il giardino della pietà è mutato in deserto... Oh, quante volte questo stato di aridità ha strappato dalle anime le più perfette nella vita dello spirito, le espressioni della più profonda angoscia, i lamenti più infocati verso, lo sposo divino che si era nascosto! Perchè Iddio permette questo stato di alternativa tra le slancio della divozione e l’impotenza della aridità? I motivi sono molti, e tutti pieni di sapienza e di amore. La gioja è madre di spensieratezza: allorchè Anno va bene, si smettono facilmente le precauzioni perchè il bene non ci sia rapito: la fiducia si muta in presunzione, là presunzione avvia alla caduta! Quando tutto va bene, noi vediamo solo le belle qualità che sono in noi; i difetti scompaiono; ma i difetti ci sono, e, non avvertendoli, lentamente possono crescere, e un brutto giorno possono trovarsi padroni del campo. Le dolcezze spirituali scomparse, ci lasciano soli alle prese colla virtù, alla lotta col vizio. Allora sentiamo quanto siamo fiacchi, quanto siamo deboli: la conoscenza della nostra debolezza ci rende umili, e Fumiltà è il primo e più efficace passo per renderci prudenti presso di noi, e metterci nel cuore e sulle labbra la preghiera che invoca l’aiuto di Dio. Dio si allontana.da noi per far sorgere in noi più vivo il desiderio di unirci a lui: era lontano da noi solo in modo transitorio, apparente: absentia Dei, — ha detto S: Agostino — non est absentia. L’importante è., di non lasciarci abbattere da questi momenti di prova: proseguiamo fedeli nell’adempimento del nostro dovere: il dovere adempito, senza gioia, cresce la forza dell’animo, è più meritorio: cerchiamo Dio, — dice S. Francesco di Sales, -7 - non le gioje di Dio: queste gioie ci verranno date più presto e più grandi quando meno le cerchiamo. Dopo la tempesta viene il sereno, e il sereno dopo la tempesta è più bello, è più puro, è più splendido del sereno di prima.

  • * *

Ma nella vita dell’anima cristiana c’è qualche cosa di più e di più grave che non sia la privazione sensibile della grazia di Dio, l’aridità; vi è il dolore della miseria, il dolore della malattia, il dolore della calunnia, il dolore della persecuzione, dello sprezzo, dell’indifferenza, il dolore del rovescio e della sconfitta delle cause che ci erano le più care, che ci sembravano la causa stessa di Dio; tutte le tribolazioni insomma, materiali, morali, sociali e religiose, che accompagnano la vita dei buoni, e che [p. 132 modifica]diventano e sono tribolazioni più gravi quanto più si è buoni. Nè basta: il quadro delle tribolazioni dei buoni è fatto più doloroso dal quadro opposto della gioja e del trionfo dei tristi. In verità, in verità vi dico, — afferma Cristo, — voi piangerete e gemerete, e il mondo godrà. Questo purtroppo è il fatto più comune e più costante nella storia umana. Come si spiega? Dio è pur buono; Dio è pur sapiente; Dio è pur giusto; Dio non ignora il male degli empi; Dio non può non punirli; Dio vede le tribolazioni dei buoni; non può non esserne dolente, non può non essere spinto a sollevarle, a toglierle.... Dove sta la ragione di questa contraddizione, di questo squilibrio? Le ragioni ci sono e non possono essere che ragioni grandi, perchè ragioni divine. Le une riguardano la vita presente, le altre riguardano la vita futura; le une riguardano i buoni, le altre riguardano i cattivi. Le tribolazioni colpiscono i buoni. Ma i buoni sono esclusivamente buoni? non hanno qualche difetto? sono sempre stati buoni? non c’è pel passato qualche grossa partita da aggiustare con Dio? I buoni sono colpiti per castigo di quella parte nella quale non sono o non furono buoni. Le tribolazioni, col sopportarle, accrescono la forza morale dell’anima, aumentano gli atti di virtù, aumentano i meriti dell’anima, per ottenere maggiori grazie sulla terra, per preparare meriti maggiori pel cielo. Non sono queste ragioni gravissime, chiarissime, santissime, che -non solo spiegano, ma giustificano, ma gettano un raggio di vivissima luce sulla provvidenza di Dio nelle tribolazioni, nel dolore dei buoni? Lo spettacolo più bello, più eroico, della virtù dei buoni, lo spettacolo che, come deve giustamente crescere la compiacenza in loro, cresce l’ammirazione degli altri, è lo spettacolo della virtù praticata in mezzo alle difficoltà ed al dolore. O buoni, se si dovessero cancellare dalla vostra vita tutti gli atti di virtù in voi occasionati, resi necessari dal dolore, voi vedreste cancellata metà e la metà moralmente, cristianamente più bella della vostra vita. Non lamentatevi quindi del dolore! Nel dolore Iddio è vostro padre, voi siete grandi! E per contrasto, non lamentatevi, non meravigliatevi se i tristi godono, se i tristi sono in trionfo. I tristi sono forse soltanto tristi? non hanno qualche cosa di buono, non praticano anch’essi qualche atto di virtù? Oh, sì; quanti che sono tristi da una parte, sono buoni dall’altra; quanti, empi in pubblico, sono buoni in casa; quanti, tiranni in casa, sono buoni in pubblico! La giustizia vuole che nessun atto buono sia lasciato senza premio: Dio vedendo di non poter premiare quelle persone disgraziate nella vita futura, le premia colle misere briciole della felicità presente. Briciole, perchè la felicità presente è fugace e transitoria; briciole, perchè la felicità del mondo non tocca, non scende in fondo dell’animo; è una felici:...

tà a fior di labbro. — L’uomo è immortale; egli può negare di esserlo, ma non può non sentire di esserlo. l’al di là è un problema che si leva sull’orizzonte dell’anima di tutti. Infelice l’uomo che fissando il pensiero nell’avvenire è senza speranza; peggio, che non può fissare l’avvenire senza timore. Non tripudiate, o cattivi, nella vostra impunità presente: Dio è giusto; non vi castiga al presente, perchè sa, purtroppo sa, che voi non potrete sfuggirgli dalle mani nella vita futura. Invece del riso una cosa sola sarebbe più giustamente a posto presso di voi; una seria preoccupazione, il pianto!

L’avvenire, un avvenire di gioia, un avvenire di gioia che non avrà più termine, ecco la spiegazione, la soluzione, del dolore dei buoni sulla terra. La vostra tristezza si cangierà in gaudio, dice Cristo agli Apostoli: vi vedrò di bel nuovo, e gioirà il vostro cuore, e nessuno vi torrà il vostro gaudio. La gioia del premio futuro, nella sola speranza rifluisce già come gioia nella vita presente. La vita presente fosse tutta un dolore, non sarebbe da dirsi vita di dolore, quando si sa che è il preparamento, il merito, di una vita eterna di gioia. Ma i dolori della vita presente sono pure mescolati anche essi con gioie: anzi il do!ore, quando accompagna la. pratica della virtù, quando è la condizione della virtù, diventa fonte della più intima, della più squisita delle gioie. Gesù Cristo adopera in questo punto la più forte e la più soave delle immagini. Qual scena più cara di una madre che si stringe al seno il suo piccolo bambino? chi più felice di lei? leggetene la gioia nel lampo degli occhi, nel sorriso delle labbra, nella stretta affettuosa dell’abbraccio! O eara Madonna della seggiola di Raffaello, tu mi compar.i sempre dinanzi alla mente come l’espressione più viva dell’amore e della gioia di una madre; come sono parlanti quei quattro occhi, della Madonna e del bambino, disegnati quasi su una linea sola, come fossero gli occhi di una persona sola; quanto è espressivo quello stringersi del bambino al seno di Maria, che rivela quanto vivamente Maria si stringa al seno il bambino! La madre è soltanto nell’amore? No, all’amore precedette il dolore; anzi, il dolore che precedette è quello che ridesta e fa più forte l’amore: la madre tanto più ama il figlio, quanto più il figlio le è costato di ansie, di incertezze, di patimenti: ogni ricordo di dolore è una ragione di amore: lo ha ben divinato il poeta negli Affetti di una madre: «In ogni cura un nuovo affetto imparo!» Ogni atto buono si può dire il figlio dell’anima cristiana: quanto più un atto buono sarà costato di fatica, di dolori, all’anima cristiana, tanto più quell’atto le tornerà caro: quell’atto sarà già come premio a sè stesso, come è premio ai dolori della madre il bambino, che, appena nato, può stringersi al petto, baciare e ribaciare! E quale sarà la compiacenza dell’anima cristia [p. 133 modifica]na? Sarà una compiacenza eterna! Nessuno vi torrà il vostro gaudio, ha detto Cristo. La culla del bambino terreno più di una volta si converte in bara; ad ogni modo il timore della morte sempre aleggia sul suo capo, si prolungasse la vita anche alla più tarda vecchiaia: la morte è purtroppo sii questa terra, l’ultima parola della vita! Non è così nell’ordine morale, nell’ordine sopranaturale. i bambini dell’anima cristiana, i suoi atti buoni, non muoiono: ogni atto morale è eterno: si compiono sulla terra come atti di virtù, si perpetuano nel cielo come titoli di merito. A questo punto, non è più solo ascetica, ma umana l’espressione di S. Maria Maddalena de’ Pazzi, quell’anima che coll’acutezza della mente e collo slancio del cuore era penetrata così vivamente nei secreti del cuore di Gesù; più in là di Teresa, che aveva detto: o patire, o morire. Messa come contrassegna sugli atti, nei quali la virtù cristiana è accompagnata dal dolore, l’aspirazione di Maddalena è eroica, è sublime: Signore, non morire, ma patire. L. V.

Il Conte Angelo Gambaro

Una geniale, nobilissima figura che scompare; una vita intemerata, operosa, feconda che si chiude; un fulgido esempio di cristiane e civili virtù che trapassa; una voce soave di poeta che tace per sempre! Allievo degnissimo del Ponchielli, Angelo Gambaro fu appassionato cultore «di quell’arte che a Dio quasi è nipote,» e le sue composizioni di musica sacra furono encomiate dai più severi critici nostri. Amante di ogni cosa bella e buona, si dilettò di cesellare versi delicati come petali di rose, come filagrane d’oro, ma li scriveva più per compiacimento proprio che per il piacere d’altrui, nè deve quindi far meraviglia il sapere che l’opera sua musicale e letteraria restò in massima parte inedita, forse per un senso di modestia troppo severa nel giudicarla, forse per un pudore del suo spirito eletto, che s’appartava dal «mondan rumore» beandosi nel raccoglimento della casa ch’egli considerava — ed era veramente il santuario dell’amore e della pace. Nato da una famiglia che tutto sacrificò all’ideale supremo dell’italica indipendenza, amò fervidamente la - patria, pur tenendosi appartato dalla cosa pubblica, non paventandone gli oneri; ma rifiutandone gli onori, e tenne inseparabili nel suo cuore Dio e l’Italia Dalla sua Lombardia prese dimora in Torino; si fece erigere, in cospetto delle Alpi che la incoro• nano di gloria, un bellissimo Castello, che all’esterno riproduce fedelmente le caratteristiche linee dell’architettura medioevale, e nell’interno accoglie tutta la signorile eleganza dei tempi moderni, con squisito buon gusto. Come l’amava quella sua casa l’egregio Conte, che vi profuse tesori d’arte, che vi raccolse preziosi

cimeli, che sognò di trascorrervi, tra i suoi cari, i giorni sereni di un radioso tramonto, ascoltando rapito, le soavi melodie che da vicino e da lontano gli cantavan nell’anima! Invece, non chiamata, non desiderata, vi entrò, funestissima la morte a mutare la gioia in pianto, i baci in gemiti, l’amore e la felicità in desolazione ed in lutto! L’eletta della cittadinanza, che durante le angosciose fasi della crudele infermità, aveva recato al Castello i suoi voti bene auguranti, partecipò al profondo cordoglio della desolata famiglia con un commovente plebiscito di simpatia, di affetto, di compianto. I più bei nomi del patriziato piemontese infollarono il registro delle firme; le autorità, con a capo il Prefetto di Torino, Conte Jacopo Vittorelli, Senatore del Regno, presero parte ai solenni funerali; e lettere e telegrammi, a centinaia, portarono la parola consolatrice di memori cuori lontani, tutti uniti e concordi in uno stesso pensiero di condoglianza. Il Conte Angelo Gambaro, già amico del venerato monsignor Bonomelli, fu visitato dall’Eminentissimo Cardinale Richelmy, Arcivescovo di Torino, e ricevette nella pienezza dei sensi, ch’ebbe lucidissimi fino all’estremo respiro, i Santi Sacramenti, e la Benedizione Apostolica del Sommo Pontefice, che si degnò poi di mandare ai congiunti paterni incoraggiamenti di rassegnazione cristiana. Anche le auguste Sovrane, S. M. la Regina Elena e S. M. la Regina Madre coi Reali Principi e Principesse residenti in Torino, inviarono l’espressione del loro rimpianto e del loro conforto alla Contessa Olga ed ai figli, che dalla santa memoria del carissimo Estinto trarranno la forza per vivere, seguendo le luminose sue orme sulla via del dovere e del bene.

Dona Rita Cajrati Crivelli Mesmer

Martedi,. nella Chiesa di S. Francesco di Paola, vennero fatti i funerali alla Nobil Donna Rita Cajrati, rapita quasi improvvisamente all’amor dei figli, dei parenti, degli amici. Si può dire che la classe signorile femminile milanese fosse tutta presente. Lo stesso sincero dolore era sul volto di tutti, dalla amica all’umile donnicciuola del volgo. Il. Coro delle Cieche accompagnò colle sue meste melodie la funzione in Chiesa. Portata la salma al Cimitero monumentale, prima di essere portata a Monza, per essere seppellita nella tomba di famiglia, Monsignor Luigi Vitali, amico di casa, lesse il seguente breve discorso: «Sono stato in ansiosa alternativa se dovessi o non dovessi parlare; temevo che le parole mi facessero gruppo alla gola; ma poi troppo mi pesava che Donna Rita Cajrati partisse dalla terra senza una parola di ricordo e di rimpianto da mia parte e per lei che parte e per noi che restiamo. «Volendo definire Donna Rita, una frase sola [p. 134 modifica]mi viene corrispondente al vero: era un’anima serena in un corpo dolorante! E ciò non per breve tempo, rna per una lunga serie di anni. Chi può immaginare Donna Rita altrimenti che legata sulla sedia nel suo salottino, vittima del male che l’aveva sorpresa e fatta impotente al moto nella piena esuberanza della vita? Ed ella aveva accettata la sua parte senza recriminazione, senza lamenti. Chi l’ha mai sentita ricordare i suoi mali? Soffriva sempre, soffriva molto, e pareva non soffrisse nulla, non soffrisse mai, anzi era in lei uno studio speciale per non far conoscere, per non far sentire agli altri i suoi mali. Ella non voleva che gli altri venendola a trovare, avessero una impressione di pena. «I suoi dolori li teneva tutti per sè; per gli altri non aveva che un sorriso, sempre vivo e sentito, sebbene abituale, non aveva che parole dolci, soavi, Ftssennate, che aprivano il cuore di tutti alla fiducia, alla confidenza; rispondendo agli speciali bisogni di ciascuno; aprendo il proprio cuore dinnanzi a lei, versando la piena dei propri affanni, nel suo cuore, ognuno sapeva di non trovare una ripulsa, di non ingenerare della noia; anzi si era subito prevenuti da una parola di conforto, di incoraggiamento, che riconciliava alle traversie della vita: si partiva da lei moralmente risanati, contenti, desiderosi di fare il bene, pronti a tollerare i mali, avendo dinnanzi in lei un esempio così eroico di pazienza: questa impressione salutare di pace era come un patrimoni() di cui ciascuno poteva fare assegnamento. Donna Rita non era soltanto una persona cara, affabile, che portava a fare il bene, era, vorrei dire, come una istituzione permanente di bene. E tutto ciò in un modo semplice, spontaneo, naturale, che prendeva la sua inspirazione, la sua forza, in una vita interna di fede, di virtù, di ’criterio: lo spirito cristiano non era da lei ostentato, mà era in lei un fatto, era il suo spirito, era lei. «Sentiva vivamente le gioie di famiglia: aveva provato gran dolore alla perdita del compagno della sua vita, e si era maggiormente legata all’amor dei figli, Riccardo e Matelda, che le corrispondevano con altrettanto amore: era poi oggetto. di speciale animirazione l’assistenza amorosa, eroica della figlia verso la madre, la figlia che divideva e riassumeva la stia vita nelle opere di beneficenza e nell’assistenza della madre, la quale godeva come se fosse consacrato a lei il tempo che la figlia impiegava nell’assistenza degli sventurati, e specialmente dei bambini ciechi, che nella madre e nella figlia sentivano di avere due madri. Povera Matelda!! Nello schianto di aver perduto la madre sola a piangerla col fratello Riccardo, ma così unita a lui prima nelle figliali cure, negli stessi ideali sempre, si consoli pensando che continuando nelle opere di beneficenza, continua ancora metà della vita che aveva colla madre; si consoli col fratello, pensando che la madre sebbene morta non è perduta: partita dalla terra vive nel cielo: i rapporti di affetto sono mutati ma non rotti: si- consoli ripetendo una fra se che la fede le ha reso ben nota e che ora diverrà abituale: nostra conversatio in _coelis est.» Alle parole di Mons. Vitali fecero seguito in rappresentanza dell’Asilo Infantile dei bambini Ciechi, alla cui fondazione tanto contribuì la figlia Matelda, Ispettrice dell’Asilo, le parole piene (li affetto della maestrina cieca Venturelli Carolina, destando negli astanti un senso di vivissima commozione.

Parole funebri

della maestra cieca Venturelli Carolina.

Quanto inatteso, altrettanto ed assai più, triste e doloroso è il mesto ufficio che ora compiamo, d’accompagnare all’ultima dimora la venerata e compianta salma della Nobil donna Rita Crivelli. Cajrati. A chi ebbe la fortuna di conoscerla davvicino, lasciamo il sacro compito di tessere l’elogio della sua vita operosa e santa; i piccoli ciechi dell’Asilo Infantile Conv. L. Vitali, si pregiano solo per mezzo mio, di deporre sulla sua tomba il modesto fiore d’un’in• cancellabile riconoscenza pel bene che ha loro fatto, e il tributo affettuoso d’un imperituro ricordo pel bene che ha loro voluto. Dall’istante in cui il benemerito ed amato nostro fondatore concepì il provvidenziale pensiero di aprire una casa anche pei piccoli ciechi, da quell’istante sino ad oggi, Donna Rita Cajrati non solo permise alla cara sua figliuola signorina Matelda, ma la incoraggiò, la sollecitò a dedicare gran parte dell’operosa sua vita a vantaggio di questa santa, benefica istituzione; rinunziando con generosa bontà a molte ore dell’affettuosa e figliale sua compagnia, pel bene degli infelici. • Pei ciechi educati e istruiti, lo svago più caro e gradito, è la lettura. Ed ecco, donna Rita, Dio sa con quanta fatica per le sue mani, da lungo tempo indolenzite, eccola tutta occupata a trascrivere nel nostro metodo Braille, poesie, racconti, e tutto ciò che poteva sollevarci e dilettarci. Qualche volta, quando appena la- sua salute glie lo permetteva, onorava di sua cara visita il nostro Asilo. Che festa allora pei bambini, di poter avere tra loro, sia pure per poco, la buona e adorata mamma, della cara loro Ispettrice! e Lei, la nobile signora, alla vista di quei visini allegri e felici per festeggiarla, di quelle manine che si stendevano per salutarla, Lei, dimentica delle molte sue sofferenze, porgeva a quelle piccole creature, il suo affabile sorriso, la carezza suà materna; e a tutti, la buona parola d’un affettuoso incoraggiamento. Oh benedica Iddio al modesto fiore di affettuosa riconoscenza che, irrorato dalla celeste rugiada di fervida e costante preghiera, i piccoli ciechi depongono sulla venerata tua tomba, cara e nobile signora, e lo tramuti per Te nella preziosa gemma (l’un eterno gaudio! e possa l’affetto nostro sentitissimo e grato, recare oggi e sempre, soddisfazione e conforto ai cari Tuoi figli che con noi ti piangono e con noi implorano pace al tuo spirito immortale.

ANINI1~111111~1111111~11111~ [p. 135 modifica]Per i soldati accecati in guerra

Fra tutti i feriti di guerra non vi è forse nessuno che più fortemente faccia appello alla nostra pietà, di colui che fu privato della vista. E’ perciò confortante che provvedimenti sono già stati presi per venire in particolare soccorso di questi infelici, provvedendo al loro presente e futuro benessere. Questi provvedimenti sono opera speciale del «Comitato per la Cura dei soldati e marinai resi ciechi in guerra.» comitato di cui è Presidente Mr. c. Arthur Pearson, e conta fra i suoi membri Mr. Arthur Stanley, Presidente del «Joint Comittee» della Croce Rossa inglese, e dell’ordine di S. Giovanni, oltre a quattro persone ben note come esperte nella Cura dei ciechi: Miss. E. W. Austin, Dr. A. W. G. Ranger, Mr. P. Tindal Robertson, e Mr. Henry Stainsby. Re Giorgio e la Regina mostrarono il loro in-. teressamento a quest’opera esprimendo al Presidente di questo Comitato la loro approvazione; il ’Principe di Wples, pure, dimostrò interessarsi a.questa nuova istituzione, che porterà il nome di «The Blinded soldiers’and sailors’Hostel» e qui codeste speciali vittime della guerra troveranno modo di essere istruite noti soltanto nel leggere, scrivere, dattilografare ecc. ma anche in quei dettagli della vita come vestirsi, svestirsi, mangiare ecc. che divengono arte necessaria -ad essere appresa da chi ha perduto il dono della vista. E’ un fatto che in questi minuti dettagli della vita giornaliera, i ciechi stessi sono i migliori maestri per i compagni della medesima loro sventura, e già un gran numero di ciechi si provano al «Blinded soldiers’and sailors’Hostel» per assistere questi nuovi disgraziati ed insegnar loro a provvedere a sè stessi. Riguardo al loro futuro si cercherà di rendere ciascuno abile a quel dato lavoro per il quale si mostra inclinato. Il comitato esecutivo del «National Relief Funci» fece una prima offerta di 5000 sterline, mentre M.r. Otto Rahn, il ben noto finanziere americano, hà messo a disposizione del Comitato St. Dunstan’s Regent’a Park», una magnifica casa con quattordici iugeri di terreno, dove i ciechi troveranno non solo giuochi ricreativi, ma lavori di giardinaggio, di fattoria, allevamento di pollame ecc. Per le poche settimane necessarie all’adattamento del suddetto locale, Mrs. Lewis Hall offre gentilmente l’uso del suo stabile in Bayswater Hill. Già un buon numero di soldati ciechi vi si trovano alloggiati. Il personale è volontario sotto la direzione di un abile «Matron». Al mantenimento provvede il «Comitato Aggiunto». Alla Società Croce Rossa inglese, l’Ordine di S. Giovanni e l’Istituto Nazionale per i ciechi. Contribuzioni però per ulteriori miglioramenti, giuochi, macchine per dattilografia ecc. saranno ricevute con riconoscenza.

Sir George Riddel ha iniziato questo fondo con un dono di 250 sterline. Da " The illustrated London Mzes „ March 6 - 19r5.

La Regina Una al soldo del beato "Pro Ciechi„

Già da alcuni mesi, per iniziativa della Società Lombarda Pro Ciechi è sorto in Milano il «Soldo del neonato», una gentile istituzione a favore dei bambini ciechi. Quando una nuova creaturina apre gli occhi alla luce la mamma, nella gioia del lieto evento. si ricorda di tanti piccoli nati che vennero alla luce senza vederla: e dà alla Pro Ciechi un’offerta, ricevendo una medaglietta che reca-il motto In lamine vita e l’emblema di un giglio fiorito. L’iniziativa del soldo ha già raccolto il favore di molte mamme. Ed ora anche S. M. la Regina Elena ha voluto dare il suo nome al «Soldo del neonato» per festeggiare nel bene la nascita della Principessina Maria. Sua Maestà ha fatto pervenire alla Pro Ciechi Lombarda la somma di L. 30o per mostrare la benigna simpatia sovrana al Patronato e come incoraggiamento a quanti vi si sono dedicati. Dopo questo la Società Lombarda per il bene dei ciechi, la quale da oltre un anno va svolgendo una azione provvida di coltura, di collocamento, di elevazione a vantaggio dei ciechi, si ripromette una più larga adesione di simpatia da tutti quelli che già la conoscono e dagli altri che la vorranno in qualche modo beneficare. La Regina ha accolto con gradimento l’omaggio della medaglietta augurale..94

MOSAICO Un mosaico ammirabile è quello dovuto ad una eroina della penna la quale ha avuto da Dio, oltre il dono di un ingegno vivido; sempre pronto, a buone ispirazioni, una giovinezza senza tramonto e una invidiabile energia. Alludiamo.a Maddalena Cravenna Brigola, p() derosa scrittrice dagli occhi scintillanti. Il suo mosaico è un pregevolissimo lavoro. contenente Ricordi di vita di quel santo Pontefice che fu Pio X. A questo segue uno studio robusto, elevato, profondamente sentito, intitolato Donne che salvano e donne che perdono: esempi sublimi di salvatrici dell’umanità e raffronti eloquenti di scandali indicibili. Non aggiungiamo di più per lasciare pienezza di godimento ai’ lettori, che vorranno procurarsi la interessante e benefica pubblicazione.

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