Il continente misterioso/19. Una notte terribile

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19. Una notte terribile

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18. Prigionieri nel tronco d'un albero 20. La scomparsa del dottore

19.

UNA NOTTE TERRIBILE


I due marinai erano balzati in piedi col cuore stretto da un'angoscia indescrivibile, gli occhi strambuzzati, i capelli irti, bagnati d'un freddo sudore. Non vi era alcun dubbio: quelle urla feroci e quelle detonazioni che continuavano ad echeggiare nelle tenebre con matematica regolarità, annunciavano che gli australiani avevano assalito l'accampamento e che il dottore aveva cominciata la difesa, mettendo in opera la mitragliatrice. Quale doveva essere l'esito di quella suprema lotta? Sarebbe riuscita, la terribile arma, a respingere le orde degli assalitori, o il dottore, rimasto solo, senza compagni, avrebbe finito col soccombere sotto il numero dei nemici?...

Diego e Cardozo udendo la detonazione continuare senza interruzione, si scagliarono come due pazzi contro le pareti della loro prigione tentando di arrampicarsi su per quelle fibre tenaci e lisce. Ahimè! I loro generosi sforzi dovevano essere sterili! Invano cercavano a colpi di scure di fare delle incisioni; invano si arrampicarono l'uno sulle spalle dell'altro colla speranza di trovare qualche fessura più sopra e che permettesse a loro di cacciarvi le dita; indarno gettarono una funicella sperando che s'attorcigliasse attorno a qualche ramo: il ferro rimbalzava sempre su quel legno che pareva più duro della pietra; fessure non vi erano e la corda era tanto corta da non poter giungere fino ai rami.

— Siamo maledetti, adunque! — urlò il mastro.

— Tutto congiura contro di noi — disse Cardozo con voce sorda, torcendosi disperatamente le mani.

— E forse in questo momento quei miserabili lo assassinano. Ah! Sciagurato Coco!...

In preda ad un furore impossibile a descriversi, i due marinai, impotenti, giravano e rigiravano attorno alla loro stretta prigione come due tigri entro una gabbia.

Ed intanto in lontananza le grida di guerra degli australiani continuavano sempre più acute, sempre più terribili e la mitragliatrice tuonava con furia crescente. Ad un tratto le detonazioni cessarono bruscamente. Si udirono ancora per alcuni minuti le urla vittoriose degli assalitori, i quali forse erano riusciti a superare la trincea e a rovesciarsi sul dray, poi più nulla.

— È finita! — ruggì Diego, strappandosi i capelli. — E noi siamo qui!...

— I selvaggi l'hanno vinto.

— E forse ucciso.

— O fatto prigioniero.

— Peggio che peggio.

— No, Diego, poiché se non l'hanno ucciso, noi lo salveremo.

— Noi!... E chi ci trarrà da questa prigione? Ah, Cardozo non spero più!...

— Usciremo, Diego.

— Ma come?... Abbiamo tentato tutti i mezzi e sono riusciti vani.

— Ah!...

— Cos'hai?...

— Forse riusciremo a sfondare questa parete.

— Sei impazzito, figliuol mio?

— No, marinaio.

— Getta fuori... parla, o io divento pazzo.

— Ci esporremo a un grave pericolo però.

— Sono pronto ad affrontare tutto, pur di non morire di fame o di sete qui dentro.

— Faremo una mina.

— Una mina?... E dove?... E la polvere?...

— Non abbiamo la cartucciera piena di munizioni e anche le tasche? Io ho almeno trecento colpi.

— Sono una bestia, Cardozo. Non ci avevo pensato.

— Scaveremo un buco nel tronco, ci metteremo dentro della polvere e la faremo scoppiare.

— Ma dove ci nasconderemo noi? Salteremo assieme all'albero.

— Adopereremo delle piccole mine che faremo scoppiare in alto, mentre noi ci coricheremo, coprendoci colle sarighe morte.

— Ben detto, figliuol mio. Sali sulle mie spalle, prendi il mio coltello da manovra che ha la punta robusta e cerca di aprire un forellino più profondo che puoi. Sarà un lavoro faticoso, poiché questo legno è duro quasi come il ferro, ma con un po' di pazienza riuscirai.

Cardozo stava per arrampicarsi sulle spalle del mastro, quando all'esterno si udirono delle voci umane.

— Gli australiani? — mormorò Diego mentre nei suoi occhi balenava un lampo feroce.

— Sì, — rispose Cardozo — e forse si preparano ad assalirci.

— Tanto meglio! Ho una voglia furiosa di uccidere!

— Ne uccideremo, marinaio. Ah! Ora comprendo! Sono forse quelli di prima, che sono andati a chiamare dei compagni in soccorso. Ebbene, brutte scimmie, vi sfido a scendere.

— Ci assedieranno, Cardozo.

— E noi usciremo e daremo battaglia.

— Zitto!... Odi?...

Si udivano dei corpi strisciare sulla scorza esterna dell'albero e un bisbigliare sommesso. Certamente degli uomini salivano.

I due marinai si appoggiarono alle pareti della loro prigione, l'un di fronte all'altro, coi fucili in mano e gli occhi fissi verso l'orifizio.

Poco dopo, una testa apparve e lasciò cadere nell'interno un ramo acceso di banksia. Scorgendo i due marinai mandò un grido di trionfo, ma quel grido si cambiò tosto in un rantolo strozzato.

Cardozo pronto come il lampo, aveva alzato il fucile e gli aveva spaccata la testa mandandogli una palla in fronte. Il selvaggio scomparve e si udì il suo corpo stramazzare pesantemente a terra. Al di fuori s'alzarono spaventevoli clamori che crescevano d'intensità.

— Abbiamo da fare con una tribù intera — disse il mastro. — Fortunatamente le palle abbondano e ne abbiamo per tutti.

Un'altra testa apparve sulla bocca della prigione ed un braccio lasciò cadere un oggetto che s'infisse profondamente in terra. Un nuovo colpo di fucile rintronò e il secondo assalitore piombò a terra mandando un urlo terribile.

— E due! — disse Cardozo. — Avanti a chi tocca!...

— Urrah! — esclamò il mastro, con quel suo vocione potente. — Dalli a quelle scimmie!...

Parve però che i selvaggi ne avessero abbastanza di quelle scariche, poiché più nessuna testa apparve sull'albero, con grande rincrescimento di Diego che sperava di mettere fuori di combattimento tutti gli assedianti. Qualche cosa però dovevano fare gli australiani, poiché si udivano parlare animatamente. Senza dubbio si consigliavano sul modo più spiccio per impadronirsi di quei due arrabbiati difensori.

Parve che prevalesse il consiglio di abbattere il grosso albero, poiché si udirono dei colpi furiosi avventati contro la corteccia esterna. Le scuri di pietra lavoravano rabbiosamente, ma dovevano scheggiarsi contro le fibre interne che resistevano alle scuri d'acciaio.

— Buon divertimento! — gridò Diego.

La tempesta di colpi continuò mezz'ora, ma poi cessò. Gli australiani dovevano essersi convinti dell'inutilità dei loro sforzi.

Poco dopo però un oggetto lungo e rigido varcò l'apertura dell'albero e cadde dinanzi a Cardozo che per poco non lo ricevette sul capo. Era una lancia dalla punta di pietra assai aguzza. Una seconda cadde, poi una terza, indi una quarta.

— Diavolo! — esclamò il mastro, che balzava a destra e a sinistra per non lasciarsi infilare. — È un nuovo genere di grandine questa? Fortunatamente, le possiamo vedere queste lancie ed evitare a tempo. Se non avete altri mezzi migliori, vi assicuro che perderete il vostro tempo e il vostro arsenale.

Per dieci minuti quella pioggia pericolosissima continuò; poi anche quella cessò, Forse per mancanza di altre lancie, ma senza alcun utile, poiché i due marinai, che si tenevano in guardia, non si lasciavano colpire.

— Vedremo ora a quali proiettili ricorreranno — disse il mastro.

— Mi pare che qualcuno salga — disse Cardozo.

— Tanto peggio per lui. Crederanno di averci uccisi.

— Odi, marinaio?

— Sì, un uomo sale. Sei pronto?

— Appena lo vedo, lo ammazzo come un pappagallo.

Sull'orlo dell'orifizio apparve una testa, la quale si chinò guardando nell'interno dell'albero. Rassicurata dal silenzio che regnava nell'oscura cavità, si spinse più innanzi.

Un colpo di fucile tosto rimbombò. Il negro, fulminato dalla palla dell'infallibile Cardozo, stramazzò innanzi e venne a piombare addosso a Diego.

— Mille fulmini! — esclamò questi. — Anche i morti vogliono accopparci?

— Sei ferito? — chiese Cardozo con ansietà.

— No, ma se non avessi le spalle solide, quella scimmia mi avrebbe fracassati gli omeri.

— È morto?

— Per Bacco! Non si muove più; gli hai piantato una palla nel cranio. Ohe!... cosa cade?...

— Sono ciottoli — disse Cardozo.

— Che ci vogliano lapidare ora?

— Non ne cadono più.

— Cosa ruminano nel loro cervellaccio quelle scimmie?

— Poco di buono per noi.

— Se potessi gettare uno sguardo al difuori?

— Taci!

— Cosa odi?

— Mi pare di udire un crepitìo.

— E a me di vedere del fumo.

— Carramba!...

— Mille vascelli!...

— Ci arrostiscono marinaio!

— E non poter uscire!... Uh!... come farei volentieri una marmellata di quelle scimmie! Se l'albero è secco, cucineremo come bistecche.

— Ma no, l'albero è vivo e grossissimo e non arderà facilmente.

— Bisogna agire prontamente, Cardozo.

— Cosa vuoi fare?

— Mettere in opera il tuo piano. Spicciati, prendi il mio coltello e sali sulle mie spalle.

Il giovane marinaio non se lo fece dire due volte. Si arrampicò sulle spalle del mastro, impugnò con mano robusta il coltello e intaccò l'albero. Il legno era duro, ma la punta dell'arma era aguzza e di buona tempra. Con un po' di pazienza si poteva scavare un buco.

Il pericolo incalzava. Al difuori, si udiva scoppiettare la corteccia sotto le vampe; in alto, si vedevamo volteggiare nuvole di fumo e nell'interno di quell'oscura prigione la temperatura si alzava rapidamente. I due marinai stavano per venire cucinati al forno.

Cardozo scavava con crescente rabbia. In capo a un quarto d'ora aveva scavata una piccola nicchia profonda sei centimetri, con una circonferenza di sette od otto.

— Basterà — diss'egli.

Prese una cartuccia, svitò la palla e versò la polvere nel buco. Ripetè l'operazione sei volte ammucchiando la pericolosa materia entro nella nicchia.

— E la miccia? — chiese.

— Mille fulmini! — esclamò il mastro. — Eccoci in un brutto imbarazzo.

— No, aspetta. Nelle mie tasche ho un pezzo di giornale che può servirci.

— Benissimo, figliuol mio. Prima metti in mezzo alla polvere alcune cartucce di rivoltella; aiuteranno ad allargare il buco; poi tura la mina con un pezzo di lancia, lasciando solamente un po' di spazio per la miccia. Otterremo maggior successo.

Cardozo obbedì. Introdusse nel forellino rimasto un pezzo di carta attorcigliato e cosparso di polvere, l'accese, poi balzò giù.

— A terra! — diss'egli.

— E copriamoci — aggiunse il mastro.

Si coricarono nell'angolo più lontano, si tirarono addosso il cadavere dell'australiano e quelli delle sarighe e attesero in preda ad una viva ansietà. In alto si vedeva la carta bruciare lentamente e si udivano i granelli di polvere incendiarsi con leggeri scoppiettii. Diego e Cardozo rannicchiati sotto i cadaveri, non fiatavano. Ad un tratto, una strepitosa detonazione rimbombò in alto e l'albero intero tremò come se fosse per piombare a terra. Una densa nube di fumo ed un acre odore di polvere si sparsero nell'oscura prigione.

Al di fuori si udirono urla acute che parevano di spavento, poi un accorrere precipitoso e infine delle grida che si perdevano in lontananza. Diego e Cardozo non avevano riportato alcun danno da quell'esplosione. Solamente il cadavere dell'australiano e quelli delle sarighe erano stati spostati dalla colonna d'aria, violentemente respinta dallo scoppio della mina.

— In piedi! — gridò il mastro.

S'alzò e guardò in alto. Quelle poche cariche di polvere avevano operato un vero miracolo; le fibre dell'eucalipto, lacerate dalla violenza dell'esplosione, pendevano qua e là contorte e strappate e nel tronco si era aperto un foro di trenta centimetri.

— Urrah!... — esclamò il mastro. — Sali sulle mie spalle, Cardozo e getta uno sguardo al di fuori, ma bada alle lancie e tieni pronta la rivoltella.

Il giovane marinaio in due salti fu a posto ed accostò il viso all'apertura. Dei riflessi rossigni e un fumo denso si alzavano da terra, segno evidente che l'albero aveva cominciato a bruciare, ma il terreno appariva sgombro di persone.

— Che abbiano avuto paura? — si chiese.

— Chi? — domandò Diego.

— Gli australiani. Non ci sono più!

— Doppia fortuna. Bada di non ingannarti.

— Ti ripeto che non vedo nessuno. Sono fuggiti tutti.

— Puoi passare?

— Sono troppo grosso, ma posso salire sull'albero.

— Bisognerebbe esser scimmie per eseguire una tale manovra.

— Lascia fare a me, marinaio.

Il giovanotto tenendosi stretto ai margini dell'apertura, si rannicchiò più che potè e riuscì ad introdurre un piede.

— Bada che non ti schiacci, Diego, — diss'egli — Se perdo il colpo ti cadrò addosso. Uno... due!...

Si alzò bruscamente, puntando ambo i piedi nel buco e si slanciò in alto. Le sue mani aperte incontrarono i margini superiori dell'albero e vi si aggrapparono strettamente: una scimmia non avrebbe fatto di più.

— Bravo, Cardozo! — esclamò il mastro meravigliato. — Quale marinaio!

— Siamo salvi, Diego — rispose il giovanotto con voce soffocata. Si issò sull'albero e gettò all'intorno un rapido sguardo.

— Vedi nessuno, figliuol mio? — chiese il mastro con viva ansietà.

— Nemmeno un gatto. Gli australiani son scomparsi.

— Brucia l'albero? Qui comincia a fare un caldo soffocante.

— Ancora un'ora e noi cucinavamo come costolette.

— Ma come farò a salire io?

— Colla liana che ci ha servito a salire per cacciare le sarighe. Guarda la testa!...

Cardozo aveva prontamente ritirata la liana madre e l'aveva gettata nell'interno dell'albero.

— Prendi una sariga, Diego. Ci servirà da colazione.

— Ottima idea, figliuol mio.

Il mastro si legò alla cintola la più grossa, si aggrappò alla liana e salì lestamente, raggiungendo Cardozo.

— Auff! — esclamò, respirando liberamente. — Era tempo!

Poi il suo viso abbronzato si raggrinzò, i suoi occhi si infiammarono, i suoi lineamenti si alterarono come sotto un accesso di furore mal frenato, e tendendo le pugna, disse:

— Ora, a noi due, Coco!