Il continente misterioso/21. L'attacco del campo

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21. L'attacco del campo

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21.

L'ATTACCO DEL CAMPO


Il dottore, rimasto solo sul dray, dopo la partenza dei due marinai, come si disse, si era accomodato sull'osservatorio costruito a fianco della palizzata, fumando un sigaro, ma sorvegliando attentamente la piccola prateria. Sentiva per istinto che Niro-Warranga non doveva trovarsi lontano e che sarebbe ritornato per compiere l'opera del suo tradimento, da lungo tempo e con pazienza infinita preparato. Pel momento, però, non si inquietava di essere solo, poiché non ignorava che gli australiani hanno l'abitudine di assalire di notte per rendere meno certi i tiri delle armi da fuoco, e potersi avvicinare più facilmente col favore delle tenebre.

Passarono due ore, poi tre, poi quattro, ma con sua grande sorpresa non udì alcuna detonazione, né vide ritornare i suoi due fedeli compagni, ai quali aveva pure raccomandato di non allontanarsi troppo, né di tardare. Egli non sospettava menomamente che in quel momento, essi già si trovavano prigionieri in fondo al tronco dell'albero delle sarighe. f Il sole era già tramontato e le tenebre erano calate con quella rapidità che è propria di quelle regioni, ma i due marinai non avevano dato segno di vita. In preda a vive inquietudini e a tristi pensieri, il bravo dottore aveva abbandonato l'osservatorio ed era disceso nella prateria spingendosi verso il vicino bosco colla speranza di raccogliere qualche rumore che indicasse il loro ritorno, ma il più assoluto silenzio regnava sotto quei grandi vegetali. Si provò a scaricare lo snider, ma solo le lugubri urla dei dingos risposero a quella detonazione. Allora le sue inquietudini non ebbero più limite.

— È toccata a loro qualche disgrazia o si sono smarriti? — mormorò. — Cosa fare ora? Dove cercarli?

Ritornò al dray più triste che mai, col cuore straziato e la fronte coperta d'un freddo sudore. Tetri pensieri lo assalivano, e non riusciva a respingere il sospetto che quei due valorosi fossero caduti in qualche imboscata. Risalì sull'osservatorio portando con sé due fucili per essere pronto a rispondere al loro primo segnale, e attese cercando di tranquillarsi. Forse i due marinai erano ancora liberi, e si erano smarriti in mezzo ai grandi e folti boschi che coprivano le sponde del lago.

La luna era sorta dietro i monti Ashburton, ma una luna pallida, quasi senza splendore, essendo al suo primo quarto; gli astri luccicavano sul fondo oscuro degli spazi celesti, riflettendosi sulle acque del lago; un legger venticello si era alzato e faceva ondeggiare le rigide foglie dei colossali eucalyptus. Al di là della prateria, una banda di dingos affamati, urlava, disputandosi i carcami avvelenati dei buoi e dei cavalli. Altre due ore erano trascorse, quando il dottore udì in lontananza una debole detonazione.

— Un colpo di fucile! — esclamò, scattando in piedi. — Forse che stanno per ritornare?

Ascoltò con profondo raccoglimento, sperando di udire qualche altra detonazione, ma non intese più nulla. Alzò un fucile e lo scaricò in aria, poi stette in ascolto, ma nessuno rispose. Si bagnò il pollice e alzò il braccio, per accertarsi della direzione del vento.

— Soffia dal nord, ora, — diss'egli, — mentre poco fa soffiava dal sud. Ma...! cambia ancora e ritorna come prima. Allora devono udire i miei segnali.

Stava per alzare il secondo fucile, quando vide i dingos, che stavano rosicchiando le carogne degli animali, fuggire rapidamente verso l'est, emettendo delle urla prolungate.

Quel fatto, che sarebbe sfuggito forse a qualche altro, fu notato dal dottore che conosceva le abitudini e la voracità di quegli animali. Quale pericolo li aveva spaventati, per deciderli a lasciare la preda?

Si alzò, inquieto, e gettò un acuto sguardo sulla prateria. Non vide nulla di sospetto, ma al suo naso giunse un buffo d'aria carico di esalazioni ammoniacali e selvatiche.

— Gli australiani! — mormorò, impallidendo.

Il dottore era coraggioso. Abituato alle lunghe e pericolose escursioni nell'interno delle provincie del Paraguay, rotto a tutte le avventure, non era uomo da spaventarsi dinanzi a qualsiasi pericolo; ma, nel trovarsi solo su quel dray, di notte, con dinanzi forse delle centinaia di assalitori feroci, risoluti e fors'anche grandi amatori di carne umana allo spiedo, rabbrividì. Nondimeno abbandonò precipitosamente l'osservatorio portando con sé le armi e si appostò dietro alla mitragliatrice, deciso a vendere la propria pelle a caro prezzo. Quella terribile macchina ne avrebbe gettati a terra parecchi di quegli assalitori, prima di lasciarli accostare.

Ben presto vide inoltrarsi, strisciando fra le erbe come i serpenti, dei corpi neri e lucidi che esalavano un acuto odore di selvatico. Quanti fossero non potè saperlo, ma dovevano essere moltissimi, poiché buona parte della prateria era coperta e dal vicino bosco ne continuavano ad uscire.

— Orsù, l'ultima mia ora sta per suonare — disse il dottore. — E di Diego e di quel coraggioso Cardozo cosa sarà accaduto? Almeno, cerchiamo di vendicarli.

Gli assalitori non distavano più di sessanta passi e cominciavano ad alzarsi sulle ginocchia tenendo in pugno le lancie, i boomerangs e le scuri di pietra. Ad un tratto echeggiò il grido di raccolta:

— Cooomooohoooèèè!

I negri balzano in piedi come un solo uomo, emettendo selvaggi clamori, e si scagliano contro la trincea gettando i loro boomerangs e le loro lancie.

Il dottore aspettava quel momento. Si abbassa sulla mitragliatrice e la terribile arma copre, colle sue detonazioni acute, le urla di guerra dei selvaggi. Le sue palle si disperdono fischiando, spazzando il terreno su di un raggio di trenta metri, attraversando petti, spaccando teste, fracassando braccia e cosce.

I negri, che si precipitavano attraverso l'apertura lasciata dalla trincea per balzare sul dray, senza demolire la palizzata o scalarla, cadono a drappelli, fulminati a bruciapelo. Il terreno, battuto da quella pioggia di proiettili, si copre di morti e di moribondi e si inzuppa di sangue.

Le urla di guerra si cambiano in grida di furore, in urla strazianti, in gemiti ed in rantoli. Sorpresi di trovare una sì tremenda resistenza, spaventati da quella grandine di palle che pare non debba più cessare e da quelle detonazioni che diventano sempre più acute, si arrestano, esitano e si disperdono per la pianura, ma un'altra orda uscita allora dal bosco, si precipita all'assalto del dray incoraggiandosi con terribili clamori. Il dottore, reso audace dal primo successo, lancia i suoi proiettili mortali addosso a quei nuovi assalitori. Le palle atterrano gruppi di uomini, diradano le file con ispaventevole rapidità facendo dei larghi vuoti, ed altri morti ed altri feriti si ammucchiano dinanzi alla trincea.

Ma, ad un tratto, il dottore ode alle sue spalle degli urti violenti e delle grida di trionfo. La prima orda, riunitasi al di là del bosco, ha cambiato tattica. Comprendendo che non poteva assalire il dray di fronte, difeso dalla mitragliatrice, si getta sulle trincee posteriori e si apre il passo a colpi di scure. Il dottore era perduto. Solo come era, non poteva far fronte ai due attacchi; Se vi fossero stati i due valorosi marinai, la vittoria sarebbe stata certa, ma essi erano in quel momento lontani e nell'impossibilità di accorrere in suo aiuto. In pochi momenti i negri sfondano la trincea, rovesciano o strappano i pali ed irrompono, come una fiumana, nel carro. Il dottore, abbandonata la mitragliatrice, scarica sui primi assalitori i due colpi degli sniders, poi scarica i sei colpi della sua rivoltella freddando sette uomini, ma gli altri gli si gettano addosso, lo stringono da ogni parte, lo atterrano, lo soffocano.

Un boomerang, lanciato da qualcuno, lo colpisce al capo e lo stordisce. Venti scuri si alzano su di lui, ma ode confusamente una voce a gridare: — Quest'uomo è mio!...

Poi smarrì i sensi e cadde inerte nel fondo del dray.

Quando tornò in sé, il sole era spuntato.

Sorpreso di trovarsi ancora vivo, s'alzò a sedere, girando attorno uno sguardo meravigliato.

Si trovava in una capanna formata da pali strettamente uniti e coperta da un letto di frasche e di sterpi, appena sufficiente a ripararlo dai raggi del sole e che pareva costruita di recente, forse da poche ore. Dinanzi a lui, stava accocolato un uomo, un negro, che lo fissava silenziosamente, con occhi di fuoco. Nello scorgerlo, un'ondata di sangue montò in viso al dottore.

— Tu!... Tu miserabile!... — esclamò con accento d'odio.

— Io, Niro-Warranga, padrone — rispose il traditore, con voce tranquilla. — Sono ben lieto di rivedervi ancora vivo; temevo che i miei sudditi vi avessero guastato.

— Infame!...

— Tranquillatevi, dottore, o riaprirete la ferita del capo. Ho faticato non poco ad arrestarvi il sangue.

Il dottore si portò le mani alla fronte, e solo allora si accorse di averla fasciata. Il suo stupore dovette essere ben grande.

— Mi hai curato, invece di uccidermi! — esclamò.

— Ho pensato che da voi potrei trarre un buon utile e vi ho risparmiato, padrone. E poi, non avevo motivi per odiarvi. Se si fosse trattato dell'altro, di mastro Diego, sarebbe stata un'altra faccenda, ma non ho potuto averlo ancora in mano.

— Non gli hai fatti prigionieri adunque, i miei marinai?

— Non ancora.

— Dove sono? Tu devi saperlo.

— I miei sudditi li avevano scoperti in fondo ad un albero vuoto, ma quei poltroni hanno avuto paura e sono fuggiti senza prenderli.

— In fondo ad un albero!... cosa narri tu?

— La verità, padrone. Io non so per quale disgrazia o fortuna, sono caduti in fondo ad un grande albero vuoto, ma spero di ritrovarli ancora nella loro prigione.

— Tu speri?... canaglia!...

— Vi è qui un uomo, che ha un vecchio conto da saldare col mastro.

— Chi è quest'uomo?

— Io presente.

— Dunque, Diego non si era ingannato!

— No, padrone, quel vecchio marinaio è assai furbo ed i suoi sospetti eran esatti. Il kerredais, fallito l'assalto notturno sulle sponde del Finke, vi aveva preceduti a marce forzate attraverso al deserto, ed era qui venuto per annunciare alla mia tribù il mio ritorno e preparare il secondo agguato.

— Dunque, tu ci hai guidati qui per farci assalire?

— Sì, padrone, voleva diventare capo della tribù a cui appartenevo, e procurarmi le vostre terribili armi per diventare potente, invincibile. Ho dei grandi progetti, io! Gli uomini bianchi mi hanno risvegliato l'ambizione: voglio diventare un grande capo, sottoporre al mio dominio tutte le tribù dell'interno e forse un giorno, scendere verso il sud a saccheggiare le opulenti città della costa o delle frontiere. Io odio la vostra razza: questa è la terra dei negri e dei negri ritornerà!

— Ma che cosa vuoi fare di me?

— Voi valete del denaro, padrone.

— E che vorresti fare tu, del mio denaro?

— Comperarmi delle armi. Voi mi firmerete una tratta di quattromila sterline pagabile al portatore ed io manderò il kerredais a Melbourne, o a Sidney, o ad Adelaide, dove meglio vi piacerà farmi versare la somma, e ritornerà con un dray carico di armi pei miei nuovi sudditi.

— Ah! Tu sei il nuovo capo?

— Il kerredais ha avvelenato quello di prima, e il suo posto l'ho occupato io.

— Bella banda di canaglie!

— Si fa quello che si può.

— E se io rifiutassi di firmare la tratta?

— Vi darò da mangiare ai miei sudditi assieme all'altro.

— Chi è quell'altro?

— Ora lo saprete: seguitemi!...

— Dove mi conduci?

— Vi preparo una sorpresa che vi farà molto piacere.

— Spiegati.

— Seguitemi.

Aiutò il dottore ad alzarsi, lo introdusse in una palizzata che metteva capo ad un'altra capanna consimile, e lo fece entrare in quel tugurio.

— È là — disse Niro-Warranga. — Voi lo deciderete a firmare una tratta di quattromila sterline, o fra tre giorni vi farò mettere allo spiedo dai miei sudditi e divorare. Mi avete compreso, padrone: o firmare o morire. Entrate!...