Il mestiere di vivere/1949

Da Wikisource.
1949

../1948 ../1950 IncludiIntestazione 10 luglio 2023 100% Da definire

1948 1950

[p. 342 modifica]

1949


3 gennaio.

Altro colpo. Poesia è libertà, goduto e piaciuto.

8 gennaio.

Sentito dalla cocciuta convinzione di **** che il suo libro (*** ***) sia importante. Ne parlano lui e la moglie come del nostro libro... Pare che sia piaciuto ad A. **** dice che io sono uno scrittore ermetico, difficile... Lui avrebbe scritto per il popolo, per tutti. C’è un accordo tra la sua poetica e quella socialista. (Ti viene da dire quel che R. — 18 dicembre ’48 — diceva del Diavolo in collina: non piacerà né ai proletari né ai borghesi).

Quella tua scoperta del ’38, che il messaggio degli Americani sia il senso di una misteriosa realtà sotto le parole (prefazione a Alice Toklas) è vera, ma va allargata all’età di Emerson, Hawthome e Melville e Whitman. Tu l’attribuivi allora a Anderson, Stein ecc. Ciò mostra come sia autentico il revival del 1916, come abbia ripreso il grande motivo nazionale. Nuovo senso della democrazia americana rispetto all’illuminismo. L’individuo liberato scopre la realtà cosmica — una corrispondenza tra le cose e lo spirito, un gioco di simboli che trasfigurano le cose quotidiane e dànno loro un valore e un significato, altrimenti il mondo sarebbe ischeletrito. [p. 343 modifica]

11 gennaio.

Il fesso che hai sentito stasera («tutti cerchiamo il nostro comodo, i partigiani idem, gli idealisti sono fessi, m’importa tanto di morire e che domani si stia bene») è te stesso nei momenti di prudenza. Se tu l’avessi confutato in passato (id est, agito), forse ora non ci saresti piú (Leone). Tragedia. Eppure fra cent’anni crederà in te. No, crederà nel conformismo d’allora.

13 gennaio.

Vivere tra la gente è sentirsi foglia sbattuta. Viene il bisogno d’isolarsi, di sfuggire al determinismo di tutte quelle palle da biliardo.

19 gennaio.

Recensione di Cecchi, recensione di De Robertis, recensione di Cajumi. Sei consacrato dai grandi cerimonieri. Ti dicono: hai quarantanni e ce l’hai fatta, sei il migliore della tua generazione, passerai alla storia, sei bizzarro e autentico... Sognavi altro a vent’anni?

Ebbene? Non dirò «tutto qui e adesso?» Sapevo quel che volevo e so quel che vale ora che l’ho. Non volevo soltanto questo. Volevo continuare, andar oltre, mangiarmi un’altra generazione, diventare perenne come una collina. Quindi, niente delusione. Soltanto una conferma. Da domani (salva sempre la salute) si continua imperterriti. Non dirò si comincia, perché nessuno comincia mai. C’è sempre un passato, una prima volta anche in questo. Domani darò dentro, come ieri.

Però, che sicurezza di naso, che coincidenza di volontà e di destino! Che sia qui il valore e non nelle opere?

28 gennaio.

Dura lo stato di vaghezza, d’incerta ricerca. Si riapre il problema già sovente toccato: non t’accorgi di vivere perché cerchi [p. 344 modifica]il nuovo tema, passi trasognato i giorni e le cose. Quando avrai ricominciato a scrivere, penserai soltanto a scrivere. Insomma, quand’è che vivi? che tocchi il fondo? Sei sempre distratto dal tuo lavoro. Giungerai alla morte senza accorgertene.

Ecco perché l’infanzia e la giovinezza sono il vivaio perenne: allora non avevi un lavoro e vedevi la vita disinteressato.

Efficacia dell’amore, del dolore, delle peripezie: si smette il lavoro, si ritorna adolescenti, si scopre la vita.

Perché lo scrittore non deve vivere del suo lavoro di scrittore? Perché allora dovrebbe fornire la data merce. Non è piú libero davanti a sé. In qualunque momento lo scrittore deve poter dire: no, questo non lo scrivo. Cioè, avere un altro mestiere.

Cosa c’è di piú rischioso che mantenere una famiglia coi propri romanzi, o in genere con la penna?

8 febbraio.

(S. Stefano Belbo)


Perché la gloria venga gradita devono resuscitare morti, ringiovanire vecchi, tornare lontani. Noi l’abbiamo sognata in un piccolo ambiente, tra facce familiari che per noi erano il mondo e vorremmo vedere, ora che siamo cresciuti, il riflesso delle nostre imprese e parole in quell’ambiente, su quelle facce. Sono sparite, sono disperse, sono morte. Non torneranno mai piú. E allora cerchiamo intorno disperati, cerchiamo di rifare l’ambiente, il piccolo mondo che c’ignorava ma voleva bene e doveva essere stupefatto di noi. Ma non c’è piú.

13 febbraio.

Strano momento in cui (tredici o dodici anni) ti staccavi dal paese, intravedevi il mondo, partivi sulle fantasie (avventure, città, nomi, ritmi enfatici, ignoto) e non sapevi che cominciava un lungo viaggio che, attraverso città avventure nomi rapimenti mondi [p. 345 modifica]ignoti, ti avrebbe ricondotto a scoprire come ricco di tutto quell’avvenire proprio quel momento del distacco — il momento in cui eri piú paese che mondo — a riguardare indietro. È perché il mondo l’avvenire ora l’hai dentro come passato, come esperienza, come tecnica, e il perenne e ricco mistero si ritrova essere quel tu infantile che non hai fatto in tempo a possedere.

Tutto è nell’infanzia, anche il fascino che sarà avvenire, che soltanto allora si sente come un urto meraviglioso. (Cfr. 26 giugno ’48, II).

27 febbraio.

Notte limpida, spazzata, mordente. Un tempo mi eccitava i sensi. Ora no. Devo ricordarmi e dirmi «È come allora» per sentirla. Né quella smania di dire, di impormi, m’invade piú. È dovuto alla perenne ansia, alla nevrosi del già accaduto, del cataclisma imminente? È dovuto all’età, alla gloria-sicurezza di me piú o meno raggiunta?

In realtà, l’unico spunto che mi tocca e scuote è la magia della natura, l’occhiata ficcata nella collina. Non avendo in mente questo tema, ma uno umano, un gioco cittadino e morale, ecco che la fantasia è pigra.

1° marzo.

Una risata — che mette in dubbio i tuoi motivi, che proclama il sospetto che tu hai astutamente manovrato per ottenere un dato scopo (stampare il tuo libro) senza parere. Non può darsi che la risata celi il dispetto di sentir parlare di te, miri — falsamente — a screditarti, a scoprire che sei calcolatore meschino? Cioè, ti attribuisca i moventi propri di chi ha riso?

7 marzo.

Dice lei: «Il modo come un uomo s’interessa, o no, di una donna, delle donne, mostra tutto il suo sistema di vivere». Tu [p. 346 modifica]dici «ne faccio a meno», e cosí ti ritrai davanti a ogni impegno di vita che t’impedisca il tuo lavoro. Un altro dice «non devo sverginarmi, nel dubbio che cosí la santità mi sia preclusa» e cosí, nel dubbio, vorrebbe fermare la storia. Un altro si lascia andare, gode ingenuamente, e cosí vede i suoi rapporti quotidiani. Chi si compiace di analizzare e svilire ogni cosa del sesso, fa lo stesso con la vita e nella vita: svilisce le cose perché le intende come orgasmi materiali ecc. Sciocchezza banale.

11 marzo.

Non analizzare, ma rappresentare. Ma in un modo tutto vivo secondo un’implicita analisi. Dare un’altra realtà, su cui potrebbe nascere nuova analisi, nuove norme, nuova ideologia.

È facile enunciare nuova analisi, nuove norme ecc. Difficile è farle nascere da un ritmo, un piglio di realtà coerente e complesso.

L’ideale dialettale è lo stesso in tutti i tempi. Il dialetto è sottostoria. Bisogna invece correre il rischio e scrivere in lingua, cioè entrare nella storia, cioè elaborare e scegliere un gusto, uno stile, una retorica, un pericolo. Nel dialetto non si sceglie — si è immediati, si parla d’istinto. In lingua si crea.

Beninteso il dialetto usato con fini letterari è un modo di far storia, è una scelta, un gusto ecc.

Importante il 27 marzo ’48. Si scambia sempre ciò che noi siamo con la verità. Qui è l’errore (?) storicistico, il relativismo idealistico. Si può cercare di giustificarlo dando importanza a ciò che dobbiamo essere secondo la ferrea necessità storica. È il materialismo dialettico. Qui se non altro si riconosce l’obbligo di conoscere a fondo la necessità in cui versiamo. Ma si esaurisce cosí tutta la realtà? Intanto si tende cosí a porre l’assoluto nell’avvenire, nella rivoluzione. Ma non esiste anche una profonda compiacenza del momento presente — hic et nunc? Lavorare stanca? [p. 347 modifica]

13 marzo.

Il ragazzo: ciò che non ottengo subito, non lo voglio piú.

I cinquecentisti «facevano i cinquecentisti». È il primo caso di cultura radicata consapevolmente e criticamente su un’altra, cultura d’adattamento, quindi di posa. Nemmeno i Romani ellenizzati furono cosí «riflessi», perché in realtà non avevano una sufficiente cultura precedente che urtasse con la nuova d’accatto.

23 marzo.

Senza parere, cominciato il nuovo romanzo. Tra donne sole. Lavoro pacato, sicuro, che presuppone una solida organatura, un’ispirazione diventata abitudine. (Riprende la Spiaggia, la Tenda, molte poesie su donne). Dovrebbe scoprire novità.

3 aprile.

Prima di Cristo e del Logos greco, la vita era un continuo contatto e ricambio magico con la natura; di qui uscivano forze, determinazioni, destini; a lei si tornava, ci si rigenerava.

Dopo Cristo e dopo il Logos, la natura si fa staccata dalla sorgente mistica della forza e della vita (che viene ora dallo Spirito). È pronto il campo per la scienza moderna che constata e codifica la materialità l’indifferenza della natura.

5 aprile.

Tutte le passioni passano e si spengono tranne le piú antiche, quelle dell’infanzia. I miti ambiziosi o libidinosi dell’infanzia sono insaziabili perché l’età matura — la sola che potrebbe saziarli — ha perdute le occasioni — sensi freschi, mezzi e vero ambiente in cui quelle passioni tendevano originariamente a sfogarsi. [p. 348 modifica]

10 aprile.

La solidità e il pregio in cui sei tenuto ti giungono esattamente come li fantasticavi da giovane. Questo stupisce — che l’età matura sia proprio come la si pensava quando si era inesperti. O che ti sei dimenticato i sogni folli di allora e a poco a poco ti sei spostato e trasformato in ciò che ora credi di esserti vagheggiato prima? Comunque, una cosa non avevi sbagliato, ed era di credere che ti saresti sentito ora soddisfatto del tuo inizio e del tuo sperare.

Molti — forse tutti — mostrano la corda, scoprono la loro crepa. Natalia, Balbo, anche i nuovi (D’Amico) — nessuno piú t’incanta. Se non avessi la fiducia nel fare, nel tuo mestiere, nella pasta che tratti, nelle pagine che scrivi, che orrore sarebbe, che deserto, che vuoto, la vita? Sfuggono i morti a questa sorte. Quelli si conservano intatti. Leone, Pintor, perfino Berto. In fondo, tu scrivi per essere come morto, per parlare da fuori del tempo, per farti a tutti ricordo. Questo per gli altri, ma per te? Essere per te ricordo, molti ricordi, ti basta? Essere Paesi tuoi, Lavorare stanca, il Compagno, i Dialoghi, il Gallo?

12 aprile.

Un giornale nero di titoli come un temporale.

14 aprile.

«E prosegue e ritorna. Non ha posa
poiché l’opera sua è sempiterna,
poiché il suo soffio gelido lucerna
spegne che si riaccende gloriosa...»

scritti a quindici anni, in risposta a un sonetto di St. dove si descriveva la Morte che saliva su un colle.
[p. 349 modifica]

17 aprile (Pasqua).

Scoperto oggi che Tra donne sole è un gran romanzo. Che l’esperienza dello sprofondamento nel mondo finto e tragico della haute è larga e congruente e si salda con i ricordi wistful di Clelia. Partita alla ricerca di un mondo infantile (wistful) che non c’è piú, trova la grottesca e banale tragedia di queste donne, di questa Torino, di questi sogni realizzati. Scoperta di sé, della vanità del suo solido mondo. Che si salva come destino («tutto ciò che volevo l’ho ottenuto»).

20 aprile.

Ognuno si educa a suo modo. Sembra che sbagli: invece fa (tu e M.).

26 aprile.

Non mirano a fare opere. Teorizzano una poetica che sia l’esatta riflessione del momento presente (bomba atomica, comunicazioni mondiali, fisica nucleare, ecc.) e poi perché far l’opera? Nel tempo di farla sarebbe già invecchiata, imitabile, un compromesso con la realtà, la tradizione, sarebbe storia oggettiva; e loro invece si muovono perché hanno studiato o sentito cos’è la storia (=cose fatte, stili) e quindi sono impazienti — vogliono lo stile dell’epoca, non opere, sono astratti, attenti solo a non sbagliare la corrispondenza astratta e puntuale col momento presente. Mai che dicano: «Insomma ho uno stile e me lo godo. Deve pure servire a qualcosa...» Posizione romantico-hegeliana idealistica luciferesca.

28 aprile.

Gli americani non sono realisti. Scoperto questo vedendo un film americano che rifà un vecchio film francese. Quello che là era ambiente vero qui è fondale raffazzonato. Il loro vantato [p. 350 modifica]realismo 1920-40 era un particolare romanticismo del vívere la realtà. La fantasia che tutto è realismo (Dos Passos). Posizione non tragica ma volontaristica. La tragedia è cozzare contro la realtà; il volontarismo è farsene un conforto, una fuga davanti alla realtà vera.

29 aprile.

È straordinaria l’idea che ogni goffaggine tua, ogni incertezza, ogni rabbia — insomma tutto ciò che è negativo — può sempre domani, da un diverso e piú sapiente punto di vista, scoprirsi un valore, una qualità, un tesoro positivo. (Cfr. però il III, 11 marzo).

Ma vale anche l’inverso. Ogni tuo vanto può fallire, può mancarti sotto. Che importa?

7 maggio.

In qualunque mestiere e professione si può vivere secondo il cliché del mestiere o professione, «facendo» quella parte. Da scrittori e artisti no. Si sarebbe bohémiens, fessi e insopportabili. Perché? Perché l’arte e lo scrivere non sono mestieri. Almeno in quest’epoca. (Cfr. 28 gennaio).

26 maggio.

Finito oggi Tra donne sole. Gli ultimi capitoli scritti ciascuno in un giorno. Venuto con straordinaria, sospetta facilità. Eppure si è chiarito a poco a poco e le grandi scoperte (viaggio nel mondo sognato da piccola e ora vile e infernale) sono venute quasi dopo un mese, ai primi d’aprile. Ho avuto un bel coraggio. Ma sospetto di aver giocato di figurine, di miniatura, senza la grazia dello stilizzato. L’assunto non era tragico? [p. 351 modifica]

22 giugno.

Finito il prurito, cominciò il vuoto cerebrale. Finito questo, cominciano i reumi o artrite che sia. Se ne sente uno solo per volta oppure sei tu che li inventi?

Quante cose hai fatto in questo mese. Vuoto cerebrale, S. Stefano (una settimana) e quindi sole e acqua, bozzetti nudi, idea di nuovo libro ecc. Probabilmente è la tua stagione piú intensa, e comincia a corrompersi — tant’è vero che te ne accorgi. Che cosa scopriremo di nuovo — cioè, che cosa vivremo, per poi scoprirlo quando comincerà a puzzare?

Verrà pure la fine. E allora?

C’è gente che questa maturità, questa efficienza, questa ricca misura, non l’ha mai provata. Che cosa sanno della vita? La vita non è che questo. E poi? La felicità della pesca, del grappolo d’uva. Chi gli chiede piú in là? Sono, e basta.

A ciascuno piace o interessa una scena diversa. Ai R. via Calandra, ai R. Ivrea, a Nat. il foulard. Buon segno.

G. e la donna si somigliano. Non parlano che di sé. Carattere della gran vita un po’ ristretta, i viveurs che hanno problemi, che girano come scoiattoli sentendo la gabbia. Gli altri — gli spensierati — no. Ma questi sono viveurs che non stanno piú alle regole del loro gioco — maleducati. Dannunzianesimo deteriore.

25 giugno.

La vecchia Mentina, alla Cabianca, che cosa vede nella vita? Che cosa sa della massa enorme di pensieri, di fatti del mondo? Non ha mai mutato il senso, il ritmo che avevano per te i giorni remoti dell’infanzia. E adesso che la rivedi, settantenne, pronta a morire, e che non si pensa nemmeno che possa mutare questa [p. 352 modifica]statica immobile vita, che cosa ha di meno che te? Che cos’è tutta la molteplice esperienza, davanti a questo? Per 70 anni ha vissuto come tu nell’infanzia. C’è qualcosa che dà i brividi. Questo vuol dire, ignorare la storia.

1° luglio.

Una persona seria e vera, priva dello «Spirito», sarà, nella sua vita, testarda. Ciò perché, senza spirito, la lettera uccide. S’attaccherà alla lettera delle cose, dei pensieri, dei sentimenti, come per dar loro una consistenza una realtà che altrimenti non avrebbero.

Stasera, a Pavarolo nella cena coi tre G. e E. e N. e M., sentito per la prima volta — oggettivamente — la decadenza fisica, l’incapacità di fare uno sforzo, un salto, un exploit. Stato male e storto tutta la sera. Per salvarmi, odiavo il mondo, l’uomo, la compagnia. Vecchia storia.

Oggi venuta la Fil., che conosce Fed., che conosce Mar. Detto che mi serba rancore perché famoso e perché sempre nominato dalla Mar. Tratto facile, comune — la sfacciata ingenuità. Non c’è niente.

27 luglio.

La parola che descrive (echeggia) un rito (azione magica) o un fatto dimenticato o misterioso (evocazione) è la sola arte che m’interessa. Rendere direttamente la vita — se fosse possibile sarebbe inutile — perché l’uomo s’interessa soltanto a un rito o a una realtà occulta.

30 luglio.

Scorrendo le brutte copie di Lavorare stanca, trovato nei fogli [p. 353 modifica]dell’agosto-settembre ’32 (Fumatori di carta) i seguenti versi cancellati

... Ho rivisto la luna d’agosto tra ontani e canneti
sulle ghiare del Belbo e riempirsi d’argento
ogni filo di quella corrente. Ma il chiuso compagno
che sedeva su un tronco con me, non vedeva quel cielo
non sentiva le piante. Sapevo che intorno
tutt’intorno s’alzavano le grandi colline...

18 agosto.

Letteratura non si contrappone a senso pratico ma a senso del reale.

Che le cose descritte esistano veramente, dà loro un senso e una presa superiore. Se non esistono, allora ci basta la letteratura; se sí, ci vuole la poesia-mito.

22 agosto.

Dai rifiuti (Fallimenti ’41-’47) quest’inizio (15 novembre ’39):

2) Cinina non pensava alla nebbia, e tuttavia camminava come fosse sola in strada. Quel non sentire intorno a sé nessuno, era dolce e domenicale. 1) Cinina andava in direzioni inaspettate, seguendo vagamente le plaghe di nebbia meglio schiarite dal mattino.

Si fermò su una piazza...

(preparazione della Tenda

o La bella estate)

23 agosto.

In arte non si deve partire dalla complicazione. Alla complicazione bisogna arrivarci. Non partire dalla favola d’Ulisse simbolica, per stupire; ma partire dall’umile uomo comune e a poco a poco dargli il senso di un Ulisse. [p. 354 modifica]

2 settembre.

L’istinto risponde:

Tutte le spiegazioni cristiane della storia (che la Palestina è il teatro del mondo, ecc.) sanno di rappezzatura.

(Vedile in lowith, Meaning of history, p. 188)


La natura non è un soffio, un sogno, un enigma destinato a dileguare — è una cosa greve e sostanziosa.

7 settembre.

La risorsa ancestrale è solo questa: fare un lavoro bene perché cosí si deve fare.

(leggendo Piemonte di A. Monti sul «Ponte»).


12 settembre.

Le vere assorbenti mitico-residuali strutture sono nei libri che applicano un metodo d’indagine analitica: Propp, Philippson, Toynbee ecc. Probabilmente anche in quelli di scienza. Qui si trova la vera l’autentica prosa di ricerca (racconto = vedere come uno se la cava in una data situazione), analoga alla struttura del romanzo giallo. A queste strutture noi possiamo credere perché sono le sole che ci tengono sospesi, c’invogliano a vedere come va a finire. (E il racconto è questo: non caratteri, non psicologia, non cronaca, ma una serie di constatazioni congegnate insieme a portarci a una constatazione finale che include tutte le precedenti).

Non è questo, Erodoto?

30 settembre.

Non hai piú intimità. Meglio, la tua intimità è oggettiva, è il lavoro (bozze, lettere, capitoli, sedute) che fai. Ciò è pauroso. Non [p. 355 modifica]hai piú esitazioni, paure, stupori esistenziali. Ti vai prosciugando.

Dove sono le angosce, gli urli, gli amori dei 18-30 anni? Tutto guanto adoperi fu accumulato allora. E poi? Che si farà?

Qui deve entrare il destino e mostrare chi sei. Tutto è implicito in te. Anche l’insofferenza di questa situazione e conseguente disordine e caos. Ricorsi vichiani.

16 ottobre.

Esiste qualcuno oltre a te? Non parli che di te e del tuo lavoro. Siamo tornati a una posizione infantile di prima di scoprire il mondo (adolescenza), quando si era se stessi e il proprio gioco e nient’altro. Qualcosa si chiude. E poi?

La luna e i falò. È il titolo presentito fin dai tempi del Dio caprone. Da sedici anni. Bisogna darcela tutta.

Quante volte in queste ultime note hai scritto E poi? Cominciamo a essere in gabbia, no?

Io sono troppo felice. Policrate e Amasi.

17 novembre.

9 novembre finito la Luna e i falò.

Dal 18 settembre sono meno di due mesi. Quasi sempre un capitolo al giorno. È certo l’exploit piú forte sinora. Se risponde, sei a posto.

Hai concluso il ciclo storico del tuo tempo: Carcere (antifascismo confinario), Compagno (antifascismo clandestino), Casa in collina (resistenza), Luna e i falò (postresistenza).

Fatti laterali: guerra 15-’18, guerra di Spagna, guerra di Libia. La saga è completa. Due giovani (Carcere e Compagno) due quarantenni (Casa in collina e Luna e falò). Due popolani (Compagno e Luna e falò) due intellettuali (Carcere e Casa in collina). [p. 356 modifica]

20 novembre.

Caduta di G. T’importa?
Amore come l’hai sempre voluto. T’importa?
Celebrità solitaria. T’importa?
Si può continuare.

Nascono pensieri precisi, nuovi, stilizzati, efficienti. Maturità. Se l’avessi saputo quando smaniavi (’36-’39)! Adesso il rovello è che tutto ciò finirà. Prima anelavi d’averlo, adesso temi di perderlo.

Hai anche ottenuto il dono della fecondità. Sei signore di te, del tuo destino. Sei celebre come chi non cerca d’esserlo. Eppure tutto ciò finirà.

Questa tua profonda gioia, questa ardente sazietà, è fatta di cose che non hai calcolato. Ti è data. Chi, chi, chi ringraziare?

Chi bestemmiare il giorno che tutto svanirà?

24 novembre.

Caduta di B. «Ci vuole una base d’onestà» dice... Non l’ho mai detto, ma l’ho sempre praticato senza saperlo. Per timore delle complicazioni. Per quieto vivere. Perché non spendo, non raccolgo donne, non scendo al grand hôtel ecc. — se non per non avere la noia di vincere il disagio di questi sforzi? Ecco, non ho facilità di vivere in grande — ci patisco. Questione d’educazione. Ma non ho nemmeno le esigenze cui sono stato avvezzo — il modesto benessere, il vestire in ordine, il buon nome — quelle di mostra ho bensí quelle di sostanza: la tranquillità solida del domani. Dunque la mia onestà è interessata. Che senso avrebbe altrimenti?

Oggi, prima copia dell’Estate. Bella. Verginale. Festa rispettosa dei colleghi. Posizione d’arrivato. Dato consigli, dall’alto dell’età, al giovane Calvino: mi sono scusato di lavorare molto bene: anch’io alla tua età ero indietro e in crisi. Qualcuno mi ha mai fatto questo discorso quando avevo venticinque anni? No, sono [p. 357 modifica]cresciuto in una wilderness, senza agganci, con l’orgoglio di preparare il mio atollo in questo ignoto e scoppiare un giorno e, quando gli altri se ne sarebbero accorti, essere già grandissimo. Pare che mi riesca. È la mia forza (ecco perché non voglio leggere né descrivere un mio libro ad altri, prima che sia finito).

La D. ha notato che le mie donne sono puttane e se n’è stupita. Stupore mio che sia cosí: non ci avevo mai pensato.

26 novembre.

Cfr. 28 gennaio ’42. Discorsi di Levi che i «ricordi» sono i momenti in cui ci si è sentiti contrapposti alle cose, agli altri, in cui ci si è individuati. Ecco la ragione dell’estasi del ricordo: si ritrovano gli istanti di risveglio, di conoscenza del mondo.

Lavorare stanca 1930 parola e sensazioni
1933
1936
1938
1940
CarcerePaesi tuoi 1938, 1939 naturalismo
Bella estateSpiaggia 1940, 1941


Feria d’agosto 1941, 1942, 1943, 1944 poesia in prosa
e consapevolezza dei miti
La terra e la morte 1945
Dialoghi con Leucò 1945
Compagno 1946 gli estremi:
naturalismo e simbolo staccati
La casa in collina 1947-48 realtà simbolica
Il diavolo sulle colline 1948
Tra donne sole 1949
La luna e i falò 1949
[p. 358 modifica]

28 novembre.

Succede di notte, quando comincio a assopirmi. Ogni rumore — scricchiolio di legno, frastuono in strada, grido lontano e improvviso — mi risucchia come un gorgo, un repentino e ondeggiante gorgo, in cui mi crolla il cervello e crolla il mondo. Nell’attimo attendo il terremoto, il finimondo. È un residuo della guerra, delle bombe aeree? È una raggiunta consapevolezza della possibile fine universale? Esaurimento — è una parola — ma che cosa significa? È piacevole, un sussulto leggero come d’ubriachezza, e mi riprendo a denti stretti. Ma se un giorno non ce la faccio a riprendermi?

1° dicembre.

Passeggiando sul Lungo Po, davanti al Monte dei Cappuccini. Imbrunire nebbioso, le ville scompaiono, restano i dorsi scuri, irsuti dei colli, selvaggi, sfumati. A che serve questa bellezza — che cosa significa, almeno? Tornano in mente i pensieri sul selvaggio superstizioso (estate ’44), sull’irrealtà del selvaggio (20 luglio ’47), sul paesaggio magico (1° maggio ’48) — se ne conclude che il selvaggio non è nulla senza una concezione magica del mondo, senza la possibilità che esso influisca su noi in modi non razionali, non misurabili, non prevedibili. A che monta questo senso struggente del selvaggio, questa bellezza sobria e rude, questa commozione, se essa influisce su noi appunto soltanto come bellezza, come impressione? Non è tutto ciò un raffinamento civile? Il selvaggio per essere deve influire vitalmente anche sull’analfabeta, sul villano, sull’uomo economico, dev’essere potenza non bellezza.

Scoperto l’altra sera quanto mi abbia plasmato la lettura di Sun e The woman who rode away di Lawrence (’36-’37?).

3 dicembre.

La trovata di Graves (The common Asphodel) di allargare a sonetto retorico-descrittivo una poesia telegrafica di Cummings, per [p. 359 modifica]mostrare quanto questi avesse ragione a scrivere in modo disossato e impressionistico evitando il cliché tutto contemplato e previsto nel sonetto disteso — dimostra una cosa sola: che né sonetto né poesia futuristica andavano scritti. Infatti la poesia di Cummings non è altro ché un gioco sensoriale di sensazioni e immagini (lo dimostra la parafrasi) che non dice altro se non un cliché. La poesia deve dire qualcosa e quindi è inutile che violi la logica e la sintassi, modi universali del dire. Il resto è letteratura.

Condanna generale di tutta Parte d’avanguardia.

Bisogna che trovi:

W. H. I. Bleek e L. C. Lloyd
Specimens of Bushman Folk-lore
Londra 1911


Contiene le storie delle madri e della luna — il mondo magico dei cacciatori, cose e animali veri — del tempo di Aurignac.

5 dicembre.

In fondo, il piacere di chiavare non supera quello di mangiare. Se il mangiare fosse impedito come l’altro, sarebbe nata tutta un’ideologia, una passione del mangiare, con norme cavalleresche. Quell’estasi che dicono — il vedere, il sognare quando chiavi — non è nulla di piú che il piacere di addentare una nespola o un grappolo d’uva. Se ne può fare a meno.

Quel senso snug dell’inverno ’44 (dicembre), quel raccogliersi in una stanza, tra l’odore della cucina e la finestra appannata davanti ai colli nevosi, quei ritorni dalle colline pregustando la pace tiepida — tornerà ancora? Né mancavano i pensieri di tranquilla lettura spirituale, la speranza di una pace suprema, ch’era la stessa della cucina. [p. 360 modifica]

6 dicembre.

Quel che è insopportabile non è che ci sia una formale cultura elementare e media di tipo imposto, di tipo imbeccata e righteous — libro di lettura — ma che ci sia soltanto questa, che non esista la possibilità di uscirne e vederla dall’esterno — il mondo dove si fanno scoperte.

Il pensiero del 1° dicembre chiarisce come siano nati i fascismi. La cultura irrazionalistica dell’Ottocento dovette uscire dalla contemplazione e diventare potenza, economia. Smettere di servire soltanto al colto, e influire anche l’analfabeta. Origine delle nostre barbarie.

15 dicembre.

Il fatto è che sei diventato quella strana bestia: un uomo fatto, un autorevole nome, un big. Dov’è piú il ragazzo che si chiede come si faccia a parlare, il giovanotto che si rode e impallidisce pensando a Omero e Shakespeare, il ventenne che vuole uccidersi perché scioperato, il tradito che stringe i pugni pensando se potrà mai confondere la bella con la sua grandezza, ecc. ecc.? È evidente che non ti riescano che i giovani nel raccontare — è la sola esperienza a fondo e disinteressata che hai fatto. Il big lo tratterai da vecchio.

Le due esperienze adulte — successo e importanza, smarrimento e nullità — le hai avute (’45-’49 e ’43-’44) e già trattate (Tra donne sole e Casa in collina). Devi articolarle di piú.

17 dicembre.

Chi avrebbe detto che proprio Spagnoletti (lo strano Spagnoletti di Pintori) avrebbe scoperto la tua Terra e la Morte? Quel [p. 361 modifica]poemetto fu l’esplosione di energie creative bloccate da anni (’41-’45), non saziate dai «pezzetti» di Feria d’agosto ed eccitate dalle scoperte di questo diarietto, dalla tensione degli anni di guerra e di campagna (Crea!) che ti ridiedero una verginità passionale (attraverso la religione, il distacco, la virilità) e colsero l’occasione mista di donna, Roma, politica e turgore Leucò.

In genere, devi tener presente che negli anni ’43-’44-’45 tu sei rinato nell’isolamento e nella meditazione (di fatto, hai teorizzato e vissuto allora l’infanzia). Cosí si spiega la stagione aperta nel ’46-’47 con Leucò e il Compagno, e poi il Gallo e poi l’Estate e poi La luna e i falò ed ecc. ed ecc.

Non è vietata la grandezza, è vietata la grandezza senza la sanzione della classe egemonica.

18 dicembre.

Ieri sera vento caldo, letto miti e leggende africane. È mattino azzurro, fresco e giallo di sole. Le leggende sono la storia di ciò che avviene la prima volta e ne hanno la semplicità e lo stupore. Anche se raccontano un fatto non iniziale il tono è questo: semplice designazione mai descrizione, non aggettivi; struttura ritmica che costituisce il dramma, la sospensione.

23 dicembre.

Comincia... Gigli: Trittico di Pavese1.

29 dicembre.

Scappata a Milano, gita a Roma. Ritorna il piacere di muoversi, di viaggiare? Tornando da Milano, dopo 24 ore di assenza, [p. 362 modifica]riscoperto Torino. Che sia sempre qui il bello del viaggiare: riscoprire il proprio luogo?

Sono sinceramente agitato (domani si va a Roma). Sarà come il luglio ’45?

La fama americana di Vittorini ti ha fatto invidioso? No. Io non ho fretta. Lo batterò sulla durata. In fondo Vittorini è stato la voce (anticipata — questo è il grande) del periodo clandestino — amori nudi e vitali, astratti furori che s’incarnano, tutti in missione eroica. Ha presentito l’epoca e le ha dato il suo mito. Come D’Annunzio presentí l’epoca «imperiale» e la «civiltà letteraria» del ventennio. Entrambi sono e furono stoffa di portavoce. Crearono uno stile di vita, di discorso, di sentire, di fare.

Tu miri a uno stile di essere.

R. ti ha detto (Diavolo sulle colline) che in te si sente il giovane — e fai paura per questo. Che lavori una materia che si scheggia. Questa non l’ho capita. Ma era tutto un complimento?

30 dic. — 6 genn.
gita a Roma


Note

  1. La prima recensione a La bella estate [N. d. E.].