Il tesoro del presidente del Paraguay/27. Ancora i patagoni

Da Wikisource.
27. Ancora i patagoni

../26. L'estancia abbandonata ../28. La prateria in fiamme IncludiIntestazione 9 febbraio 2018 75% Da definire

26. L'estancia abbandonata 28. La prateria in fiamme


[p. 234 modifica]

XXVII.

Ancora i Patagoni.


T
utto il giorno i cacciatori batterono la prateria in tutti i sensi, spingendosi parecchie miglia verso il nord e tirando numerosi colpi di fucile sulla selvaggina che incontravano. Giunta la sera, erano tanto carichi da non essere quasi capaci di portare le numerose prede alla estancia.

Sei armadilli, due orsi formichieri, tre struzzi e una mezza dozzina di viscacha formavano il loro pesante bagaglio, che bene o male rimorchiarono fino alla capanna, dove li attendeva il signor Calderon, il quale durante la lunga giornata non aveva abbandonato un solo istante il suo posto.

Il gaucho non era ancora ritornato; ma nè il mastro, nè Cardozo s’inquietarono, quantunque da qualche ora il tempo si fosse cambiato, minacciando di scatenare uno di quei terribili uragani, di cui vanno famose le pampas della Repubblica Argentina. Senza dubbio il bravo cavaliere, non trovando cavalli nelle vicinanze, si era spinto verso il lago Urre, che si trovava a una trentina di miglia più al nord.

— Verrà domani, — disse il mastro a Cardozo, che lo interrogava. — Un gaucho sa sempre trovare la sua strada senza bisogno di bussole e sa anche trovare un rifugio contro gli uragani delle pampas. Non dobbiamo inquietarci di questo suo ritardo.

Cardozo, un po’ tranquillato da quelle parole, accese il [p. 235 modifica]fuoco e gettò fra le vampe quattro o cinque armadilli, mentre il suo compagno scorticava con bastante sveltezza la selvaggina abbattuta, che, ben seccata e affumicata, doveva formare la riserva pel viaggio. Il signor Calderon, come il solito, se ne stette in disparte rinchiuso nel suo silenzio.

La cena fu fatta in pochi minuti, inaffiata da una sorsata d’acqua corrotta, presa da una pozza che si trovava nell’interno della cinta; poi l’agente del Governo e Cardozo si distesero nella capanna, in attesa del loro quarto di guardia. Il mastro, più resistente di tutti e più abituato alle fatiche, si accomodò al di fuori, dopo aver spento il fuoco, onde non servisse di faro ai Patagoni, nel caso che questi scorrazzassero quei dintorni.

La notte prometteva di diventare assai cattiva. Densi nuvoloni galoppavano pel cielo, spinti da un vento furioso che soffiava dal sud, da un vero pampero, come dicono gli Argentini. La grande prateria, poco prima silenziosa, si agitava fino agli estremi limiti dell’orizzonte; si piegavano i grandi cardi, si spezzavano i cactus, si torcevano, scricchiolando sinistramente, gli smisurati rami degli ombù e sotto le erbe e i cespugli si udivano urlare lugubremente i lupi rossi, spaventati dall’appressarsi della procella.

Di quando in quando un lampo azzurrognolo dalla tinta cadaverica illuminava le tempestose nubi e la pianura, seguìto da un rullo che si perdeva fra il lontano orizzonte.

Il mastro, sdraiato presso l’entrata del recinto, colla carabina nascosta sotto la casacca per ripararla dai larghi goccioloni che cominciavano a crepitare sulle erbe, spinti in tutti i sensi dai furiosi soffi del pampero, teneva gli occhi fissi verso il sud. Si sentiva invaso da una forte inquietudine, che non riusciva a calmare, e presentiva la vicinanza di un pericolo.

Di tratto in tratto si levava, brontolando contro la bufera, che tendeva a diventare più violenta, e si sforzava di vedere più lontano che era possibile, spingendo gli acuti sguardi sotto le grandi erbe, che potevano nascondere l’avvicinarsi [p. 236 modifica]dei nemici. Tre o quattro volte si arrampicò sul tetto della capanna interrogando l’orizzonte, che i lampi illuminavano, e tendendo gli orecchi, parendogli di udire fra i fischi del vento delle lontane grida o il galoppo di parecchi cavalli.

— Non ci vedo dentro, — ripeteva il degno marinaio, scuotendo la testa. — Se almeno fosse qui Ramon; ma chi sa quanto sarà lontano quel bravo gaucho.

Verso le undici, mentre l’uragano cominciava a infuriare con maggior rabbia, l’attenzione del mastro fu richiamata da una numerosa banda di struzzi che veniva correndo dal sud, fuggendo verso il nord. Qualunque altro non si sarebbe inquietato; ma il mastro, che aveva profonda conoscenza delle pampas e dei suoi abitatori, si impensierì gravemente.

— Quegli struzzi sono spaventati e fuggono un pericolo che viene dal sud, — mormorò. — Che i Patagoni si avanzino?

Si slanciò sulla palizzata, vi si arrampicò coll’agilità di un gatto e guardò attentamente. Un lampo illuminò la grande pianura, mostrandola come se fosse giorno fatto.

— Eccoli! — esclamò il mastro, discendendo precipitosamente. — Il cuore non m’ingannava.

Si precipitò verso la capanna e svegliò Cardozo e l’agente del Governo con due vigorose scosse.

— Tocca il quarto? — chiese il ragazzo, alzandosi.

— Sì, ma un brutto quarto, figliuol mio, — rispose il mastro. — I Patagoni sono qui.

— I Patagoni!

— Sì, ho visto or ora parecchi cavalieri galoppare per la pianura.

— Sono molti?

— Non lo so ancora, ma lo sapremo ben presto.

— E Ramon è tornato?

— Non l’ho veduto.

— Che sia stato ucciso, Diego?

— Non lo credo, poichè i Patagoni vengono dal sud ed egli si è diretto verso l’est, o verso il lago Urre. [p. 237 modifica]

— Andiamo a vedere questi brutti pagani, marinajo.

Cardozo, che non pareva troppo inquieto della presenza dei nemici, il mastro e l’agente del Governo, che non aveva perduto una linea della sua solita calma, abbandonarono la capanna e si diressero verso l’uscita della cinta.

La pianura era allora oscurissima; ma i lampi non dovevano tardare ad illuminarla. Infatti, pochi minuti dopo, alla luce di un lampo i tre uomini scorsero a circa tre chilometri dall’estancia una numerosa truppa di cavalieri armati di lunghe lance.

— Corpo di una fregata sventrata! — esclamò il mastro, applicandosi un pugno furioso sul berretto. — È la tribù intera che si avanza!

— Siamo in un brutto imbarazzo, marinajo, — disse Cardozo. — Quel brigante di Hauka è stato più furbo di quanto lo supponevo.

— E non siamo che in tre!

— Fortunatamente siamo buoni bersaglieri, e le munizioni non iscarseggiano.

— Ma non basteranno per tutti.

— Guarda, Diego! Si dirigono a questa volta.

— Ma faremo loro una brutta accoglienza, ragazzo mio: te lo assicuro. Il primo che giunge a portata del mio fucile è uomo morto.

— Ecco che parli bene, marinajo. Bisogna tener duro fino al ritorno di Ramon.

— Speriamo che ritorni con dei buoni cavalli.

— Orsù, organizziamo la difesa.

— Sono pronto, Cardozo. Cominciamo coll’ingombrare l’entrata del recinto, onde non farci fracassare la testa dalle bolas.

— E con che cosa? Non abbiamo nulla, a meno che non ti rechi ad abbattere qualche albero.

— Abbiamo il cavallo: ciò sarà sufficiente per ripararci.

Il bravo marinajo, vedendo che i Patagoni si avanzavano di buon trotto, punto curandosi dei lampi, dei tuoni e del pampero, che continuava a soffiare con estrema violenza, [p. 238 modifica]fece alzare il cavallo, che sonnecchiava in un angolo dell’estancia, lo condusse presso l’entrata e con un vigoroso colpo di coltello lo fece stramazzare a terra cadavere.

— Presto, — disse poi, armando la carabina. — Collocatevi dietro a questo morto e, appena i Patagoni giungono a tiro, aprite il fuoco. Signor Calderon, spero che non risparmierete i vostri antichi adoratori.

— Non m’interessano, — rispose l’agente con un sorriso sdegnoso.

— Sta bene; tenetevi pronti a far fuoco al mio segnale.

— Vi avverto però che le mie pistole hanno una portata piccola.

— Lo so, signor Calderon: ve ne servirete quando lo crederete opportuno.

I Patagoni avevano rallentato la corsa e si avvicinavano con precauzione, tenendosi riparati dietro ai grossi mazzi di cardi, che li nascondevano in buona parte. Senza dubbio sospettavano la presenza dei fuggiaschi e, sapendoli armati ed eccellenti bersaglieri, non volevano esporsi troppo.

Giunti a circa seicento metri, si fermarono, rizzandosi sulle staffe per abbracciare maggior orizzonte e spingere lo sguardo nell’interno dell’estancia. Diego, che non li perdeva di vista un solo istante, giudicò opportuno dar segno di vita.

Si alzò sulle ginocchia, appoggiò la carabina sul corpo del cavallo e, appena un lampo illuminò la pianura, mirò il cavaliere più vicino. La detonazione fu coperta da urla di rabbia e da un precipitoso galoppo.

— Qualcuno è caduto, — diss’egli alzandosi.

— Sì, sì, — confermò Cardozo: — vedo un cavallo senza cavaliere che fugge.

— Ne avremo uno di meno.

— Zitto!...

Il galoppo era cessato improvvisamente. Cardozo e il mastro attesero un nuovo lampo, e videro che la pianura era ridiventata deserta.

— Oh! Oh! — esclamò il mastro, grattandosi furiosamente la testa. – Dove sono fuggiti? [p. 239 modifica]

— Si saranno nascosti fra le erbe, — rispose Cardozo.

— Cosa hanno intenzione di fare quei dannati pagani?

— Cercheranno di avvicinarsi strisciando fra le erbe: ne sono certo, marinajo. Tu sai che le loro bolas non vanno molto lontane.

— Non vorrei che li scoprissimo troppo tardi.

— O che ci assalissero alle spalle.

— Mille milioni di fulmini! Non ci mancherebbe che questo brutto tiro! Signor agente del Governo, abbiamo bisogno di voi per salvare la nostra pelle.

— Comandate, — rispose il signor Calderon.

— Se non vi rincresce, portatevi dall’altra parte della cinta e fate attenzione alle erbe, che potrebbero celare i briganti che ci assalgono. Vi avverto che bisogna tenere gli occhi ben aperti e le mani sulle pistole.

L’agente si alzò senza dir verbo e si allontanò con passo lesto.

— Ora possiamo essere un po’ più tranquilli, — disse il mastro. — Oh! Oh! Le erbe si muovono dinanzi a noi.

— Dove?

— Laggiù, a trecento passi.

— E anche più vicino, marinajo, non vedi quel gruppo di cactus aprirsi? Il vento li piegherebbe, ma nulla più.

In quell’istante, tra i fischi furiosi del pampero e gli scrosci del tuono, si udirono alcune acute note, che parevano emesse da un flauto. Era il segnale dell'attacco, o di qualche nuova manovra?

Cardozo e il mastro balzarono in piedi per meglio osservare le alte erbe, che si vedevano agitarsi in parecchi luoghi.

— Apri bene gli occhi, Cardozo, — disse il mastro.

— Sono tutt’occhi, Diego.

In quel momento si udì fra le tenebre un fischio acuto, e una bola lanciata da un robusto braccio urtò furiosamente contro la palizzata, schiantando un palo.

Il mastro, che al chiarore dei lampi aveva seguìto il volo del pericoloso projettile, puntò rapidamente la carabina e fece fuoco. Nessun grido rispose alla fragorosa detonazione. [p. 240 modifica]

— Corna di Belzebù! — esclamò con rabbia. — Ecco una palla perduta, che forse rimpiangeremo.

— Attenzione, marinajo! — disse Cardozo.

— Vengono?

— Eccoli!

A cinquanta o sessanta passi erano improvvisamente sorti dalle erbe quindici o venti uomini. Una grandine di bolas cadde contro lo steccato, aprendo dei fori nel legno semimarcito, poi i nemici si scagliarono innanzi colle lance in mano, empiendo l’aria di urla terribili.

Cardozo, quantunque spaventato dalla vicinanza dei formidabili guerrieri, le cui stature gigantesche spiccavano vivamente sul fondo azzurrastro dell’orizzonte, che i lampi illuminavano quasi senza interruzione, puntò la carabina e fece fuoco nel mezzo della banda.

Un uomo cadde fra le erbe; ma gli altri continuarono la corsa, mentre altre bande apparivano qua e là. Il mastro, che in quel frattempo aveva caricato il fucile, fece pure fuoco.

Un altro guerriero cadde, gettando un urlo di dolore. I suoi compagni, spaventati da quei colpi maestri, si arrestarono indecisi, poi volsero le spalle, gettandosi in mezzo alle erbe.

— Era tempo! — esclamò il mastro, tergendosi il freddo sudore che gli inondava la fronte. — Ancora pochi passi, e per noi era proprio finita.

Ma la sua gioia fu di breve durata. Le altre bande, che non avevano ancor provato gli effetti del fuoco, si avanzavano intrepidamente, lanciando le bolas, che, se non colpivano i difensori dell’estancia, sfondavano a poco a poco la malferma palizzata. Erano oltre cento guerrieri, armati tutti di lance e decisi, a quanto pareva, a tutto.

— Non perdere colpo, Cardozo, — disse il mastro.

— Ho il polso fermo, — rispose il ragazzo.

— Tira sui più vicini.

— Sì, marinajo.

— E se vedi Hauka, non risparmiarlo. [p. 241 modifica]

— Sarà il primo a cadere; se si mostra.

— Vedi l’agente?

— È al suo posto.

— È necessario che venga in nostro aiuto. Signor Calderon!

L’agente del Governo, che aveva compreso quanto fosse disperata la posizione dei compagni, invece di rispondere, lasciò il posto e si avvicinò all’entrata della cinta.

— Sono con voi, — disse colla sua solita calma.

— Avete udito nessun galoppo verso il nord?

— Nessuno.

— Ah! Se Ramon potesse udire le nostre fucilate!

— Sarà lontano assai, — disse Cardozo.

— Confidiamo in Dio. Ognuno a posto, e tenetevi pronti a tutto, anche a fuggire se non potremo più resistere.

— Eccoli! — disse Cardozo.

I Patagoni erano appena a cinquanta passi. Si radunarono strettamente, forse per incoraggiarsi vicendevolmente o forse per essere più pronti a irrompere nella cinta dalla stretta apertura, poi si scagliarono innanzi, gettando il loro grido di guerra.

Quattro spari si udirono a breve distanza l’uno dall’altro e tre uomini scomparvero fra le alte erbe, senza dubbio colpiti dalle palle degli assediati. I loro compagni, niente atterriti da quella accoglienza micidiale, continuarono la corsa, incoraggiandosi a vicenda con vociferazioni spaventevoli, e si slanciarono all’assalto con furia incredibile.

Diego, Cardozo e Calderon, malgrado si vedessero ormai perduti, non si perdettero di animo. Radunatisi dinanzi all’entrata della cinta, che non permetteva il passaggio a più di due uomini e che era semi-ingombrata dal cadavere del cavallo, fecero intrepidamente fronte all’attacco.

Scaricate un’ultima volta le armi, che fecero altre quattro vittime, impugnarono le carabine per la canna, menando per ogni dove colpi disperati, mentre l’agente del Governo, che conservava anche in quel terribile frangente una ammirabile calma, caricava e scaricava senza posa le sue pistole. [p. 242 modifica]

La cosa però non poteva durare molto. I tre difensori dopo pochi minuti si videro costretti a ripiegarsi nell’interno del recinto e a rifugiarsi nella capanna. I Patagoni, furiosi per le perdite subìte, irruppero nel recinto, mandando urla di vittoria.

— Siamo perduti! — esclamò Cardozo.

— Fuggiamo nella prateria, — disse l’agente.

— Non ancora! — tuonò il mastro.

Aveva veduto un guerriero di alta statura attraversare l’entrata e in quell’uomo aveva riconosciuto il capo Hauka.

Si lanciò fuori dalla capanna a rischio di farsi sfracellare il capo da qualche bola, e puntò la carabina.

Già stava per far scattare il colpo, quando dalla parte opposta del recinto si udì una voce gridare:

— Tenete saldo, amici! Son qui io!

Una detonazione formidabile seguì la voce, coprendo le urla di furore dei Patagoni, e Hauka, colpito in pieno petto, cadde fulminato in mezzo ai suoi guerrieri.

Il mastro, sorpreso da quell’inaspettato soccorso, si volse verso la cinta e vide Ramon che si avanzava correndo, con in mano il trombone ancora fumante.