Il vicario di Wakefield/Capitolo sesto

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Capitolo sesto

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Oliver Goldsmith - Il vicario di Wakefield (1766)
Traduzione dall'inglese di Giovanni Berchet (1856)
Capitolo sesto
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CAPITOLO SESTO.

Delizie del domestico focolare in campagna.

Riscaldati noi alcun poco dalla disputa precedente, affine di accomodare ogni cosa, stabilimmo ad una voce di apparecchiare parte di quella cacciagione per la cena; e le fanciulle gioiosamente vi posero mano. A me doleva di non vedermi in casa nè passeggiero nè prossimano alcuno che potesse partecipare di quella piccola gozzovigliata, perchè l’ospitalità fa più belle sì fatte allegrie; e ne discorreva con mia moglie, quando ella esclamò: “Oh fortuna! ecco in buon punto venirne il signor Burchell, quegli che ci salvò la Sofia e che ti rovesciò bellamente gli argomenti quando filosofaste.” Ed io: “Poveretta, tu t’inganni; confutar me non è così facil cosa, e pochi ne credo in istato. Io non pretendo mai di venir teco a paragone nel fare ottimi manicaretti; dunque tu pure lascia a me l’argomentare, chè a te non istà bene il ciarlarne.” Mentr’io parlava entrò in casa il povero Burchell, e tutta la famiglia gli fece festoccia prendendolo affettuosamente per mano intanto che Ricciardetto gli preparava [p. 38 modifica]la scranna. Per due ragioni io mi compiaceva dell’amicizia di quell’onest’uomo: perchè io sapeva aver egli bisogno della mia amicizia, e perchè lo vedeva manifestare la sua a tutto potere. Ogni vicino all’intorno lo predicava uomo che non aveva mai voluto far nulla di bene in gioventù, eppure e’ non era anche oltre i trent’anni; e lo si diceva il miserello dal buon tempo. Tratto tratto egli parlava con assai buon senso; ma in generale ambiva la compagnia de’ bambini ch’egli era solito chiamare gli omicciuoli innocenti, ed a’ quali per cantar ballate e narrare novelle era un portento; e in tasca non gli mancava mai qualche cosellina per loro, o fosse un frusto di confortino, un zufoletto o checchè altro. Per lo più egli veniva una volta l’anno in quelle vicinanze, e vi viveva dell’altrui ospitalità. Seduto ch’egli si fu a cena con noi, mia moglie non risparmiò il vino d’uva spina, e frammezzo al novellare Burchell ci cantò delle antiche canzoni, e raccontò ai ragazzi la storiella del cervo di Beverland, e l’altra della pazienza di Grisello, poi le avventure di Caschino e quelle del pergolato della bella Rosmunda. Il gallo che cantava ogni sera alle undici ore, ci intimò esser tempo di pórci a dormire; ma un improvveduto imbarazzo insorse sul modo di alloggiare il forestiero, perchè i nostri letti venivano occupati tutti da noi, e l’ora era troppo tarda per poterlo mandare alla vicina osteria. In tale dilemma salta in piedi quel piccino di Ricciardetto, e gli profferisce porzione del suo letticciuolo, quando il fratello Mosè voglia ricever lui nel suo: “Ed io pure,” esclamò Guglielmino, “cedo l’altra mia parte al signor Burchell, se le sorelle acconsentono d’accogliermi con loro.” “Ben fatto,” diss’io, “miei buoni figliuoli; chè l’uno de’ primi doveri del cristiano è l’ospitalità. Le fiere si riparano ai loro covili, e gli uccelli ai loro nidi; ma l’uomo necessitoso non può ricoverare che presso i suoi simili. Il più grande straniero in questo mondo fu Colui che discese a salvarlo, ed egli non ebbe mai casa [p. 39 modifica]propria, quasi volendo spiare quanta ospitalità tra di noi ancora rimanesse. Debora mia, regala tosto a ciascheduno di questi bambini un pizzicotto di zucchero, e largheggia un tantino di più con Ricciardetto, perchè fu egli il primo ad aprir bocca.”

Il dì vegnente di buon mattino chiamai tutta la famiglia a ragunare una segatura di fieno; ed offertaci dal nostro ospite l’opera sua, egli pure v’intervenne, e prestamente avanzava il lavoro. Io precedeva la comitiva, e gli altri in giusto ordine mi tenevano dietro rivolgendo i mucchierelli onde pigliassero aria; e presto mi accorsi della assiduità con cui Burchell alleviava la fatica a Sofia. Finita ch’egli avesse la di lui parte di travaglio, l’avresti veduto correre alla fanciulla, lavorare in di lei compagnia, ciarlando con essa fittamente. Ma io portava troppa buona opinione dell’intelletto di Sofia, ed era convinto troppo della di lei ambizione, per non dover temere la minima cosa di un uomo di rovinate fortune. Quand’avemmo terminato i lavorecci della giornata, fu invitato di bel nuovo Burchell, come il dì avanti; ma quei se ne scusò, dicendo dover egli dormire da un altro vicino, al di cui ragazzino aveva a portare uno zufoletto, e se ne andò. Fra la cena, il parlare non cadde che su quel povero uomo dell’ospite partito; e colto il momento, io dissi: “Che esempio non è egli mai costui delle miserie che sieguono una giovinezza sregolata! Egli non manca di senso comune, e ciò più aggrava le sue passate follie. Povera creatura abbandonata! dove sono ora i buffoni e gli adulatori che lo circondavano gioviali e tutti ossequio? Forse eglino lisciano ora la coda a qualche ruffiano inricchito dalla balordaggine del signor Burchell; e incensano il bardassa delle lodi istesse che un dì davano a lui, barattando gli encomi già fatti al suo ingegno in amare contumelie sulla sua pazzia. Egli è povero, e se lo merita forse, perchè non è nè ambizioso della propria indipendenza, nè atto a cosa veruna.” [p. 40 modifica]

Spinto per avventura da alcuna segreta ragione, pronunciai queste parole con troppa veemenza, e Sofia gentilmente me ne riprese dicendo: “Qual ch’ella sia stata la sua condotta per lo passato, le di lui strette attuali dovrebbero bastare per salvarlo d’ogni censura, come già assai gastigo quelle della sua follía; e quante volte non udii io mio padre istesso asserire non aver noi diritto di scagliare senza necessità verun colpo ad una vittima, sovra cui la Provvidenza già tiene alto il flagello della vendetta!” — “Ben parli, o Sofia” gridò il mio figliuolo Mosè; “ed uno degli antichi finamente ci dipinge la malignità di un cotal atto negli sforzi del contadino per iscorticar Marsia, a cui, come narra la favola, era già stata tolta di dosso interamente la pelle da un altro. Inoltre, io non so se questo pover’uomo sia sì male in assetto, come lo vorrebbe mio padre; perchè non possiamo giudicare delle altrui sensazioni da quelle che sentiremmo noi in loro luogo; e per quanto a noi paia oscuro il ricetto della talpa, ella pur vi trova abbastanza chiarore. A voler dire schietta la verità, la mente di Burchell sembra modellata a seconda dello stato suo e contenta, non avendo io mai veduto uomo di lui più giulivo quando egli conversava teco, sorella mia.” Queste cose da lui dette così alla buona senza la menoma furberia, eccitarono in lei tuttavolta alquanto di rossore, che l’astuta s’ingegnava di nascondere facendo vista con un ghigno di non intendere, e giurando che ella non aveva neppur badato al pispigliare del gentiluomo, il quale però le appariva essere stato un tempo buon damerino. La prontezza con cui ella prese a scusarsi, e quell’arrossare improvviso erano segnuzzi, che per fede mia io non sapeva internamente approvare; ma stimai di dover soffocare i miei sospetti.

Siccome pel domani aspettavasi da noi a pranzo il nostro padrone, così mia moglie se ne andò a preparare un pasticcio di salvaggina; e intanto ch’io faceva scuola [p. 41 modifica]ai piccini, Mosè sedeva in un canto leggendo, e le figliuole parevano anch’esse brigarsi di un lavorietto. Per lunga pezza io le vidi cuocere alcuna cosa al focolare, e da prima pensava che prestassero assistenza alla loro madre; ma il piccolo Ricciardetto mi susurrò all’orecchio quella essere una lavanda pe’ loro visi. A me era in odio ogni sorta di lavacri artificiali, sapendo io che in cambio di correggere le carni te le guastano; però bel bello accostai la mia scranna al fuoco, e quasi quello abbisognasse d’essere attizzato, v’adoperai tanto il frugatoio che l’apparecchio come per isbaglio si rovesciò; nè, andato male quello, vi fu tempo di riordinarne un altro.