Invito a Lesbia Cidonia ed altre poesie/La fabbricazione degli istromenti de' martirii

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La fabbricazione degli istromenti de’ martirii

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La fabbricazione degli istromenti de’ martirii
A Carlo Testi Ottave
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LA FABBRICAZIONE

DEGLI ISTROMENTI DE’ MARTIRII

carme.


Nel terren Siculo, non lungo da l’ultima punta,
Che mira la vicina Ausonia, e fra Scilla e Cariddi,
Al flutto mediterraneo fa piccolo varco,
Sorge la vasta mole ignivoma che ingombra di fummo
5Al puro giorno l’aer, e ’l ciel confonde di fiamme.
La credula antichità quel monte ardente, sepolcro
Disse già d’Encelado in versi; da che l’igneo dardo,
Piombando da la man di Giove, stese presto traverso
Sul seno della madre Tempio semiarso gigante.
10Son favole, che zolfo quivi nudrendo la terra,
Allor che i venti cozzan ne le basse caverne,
E il pelago ondisono li flagella; urtandosi contro
L’un l’altro le grosse glebe d’incendio pregne,
Qual spesso percossa vibra le faville la selce,
15Sciogliesi l’impaziente elemento; e il monte rodendo,
Fino nel ciel di lui liquefatte le viscere manda.
Ma chi dirà, donde l’immancabil esca perenne
Sottentri al furial di foco torrente? chi, donde
I massi orribili che fuori scoccando minacciano
20I popoli attoniti in faccia de la pioggia pesante?
Nullo ingegno puote Natura, nè il Fabbro di quella
Pensando agguagliar. Non col dir, svolgere quelli
Che ne la perfettissim’opra, quai scherzi, li piacque
Spargere mostri vari: meraviglie al guardo de’ saggi:
25E non dubbi segni dell’eterna e somma Potenza.
Or quivi quel tempio che a la bestia negra d’averno
Fu dall’alto dato far guerra, e vincer i Santi.
Si fabbricar l’armi: tal fornace scelsero a l’opra
I demoni guerrier di lei. La nefanda puranco
30E maledetta fera serba all’Altissimo contro
II violento furor dell’armi, che tanto le costa;
E da la fiamma penal, benchè in soggiorno diverso.
Pur guerra, solo guerra, grida. Allor dunque che Cristo
L’imperial di croce piantò vessillo nell’orbe;
35E ad adorarlo nova di redenzion schiatta celeste
Del suo sangue novo surgean germoglio li Santi:
Ecco, che tutta l’ira richiamando, e de l’arte maligna
I noti consigli, qual opra facilissima pensa
Strugger ogni culto di quel nome che odia tanto:
40Ma che pur essa cole con a forza incurve ginocchia.

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Son mire sue de’ regi stimolar nel petto di falsa
Religion lo zelo, e di Giove pei tempi cadenti:
Anzi pur indomite passion, senz’ombra di causa,
Sospetto, e gelosia di regno; crudelissima peste
45Ch’ebbra di morti, nè giammai sazia, cinge
Con freddo amplesso i sogli nel sangue nuotanti.
Questo timor d’Erode or medita propagar ne’ monarchi;
Pur come se colui che a donarne il regno paterno
Venne, volesse i regi balzar da la bassa potenza.
50Or perchè armi abbian li tiranni all’orride morti
Dei cultor di Dio, fierissime mille diverse,
Il drago d’Inferno co’ fedei compagni si porta
A fabbricarle loro. Ahi misero! ei quel tempo peranco
Non scorge dove l’arme sue, prima dolci cotanto,
55E di lodi alta cagione ai martiri forti di Cristo
Vedrà ne’ templi loro pender per un altro trionfo.
Dunque dall’inferno, alzatosi con vasta famiglia
D’atti ministri sui, Satanasso ne l’Etna si caccia,
Per la superna buca, d’onde esce la negra favilla.
60Per lo fumo scendon penetrando ne l’ignee grotte,
I Ciclopi orrendi, già di fabbri assunta la forma;
Membra gigantesche con vasta altezza di corpi.
Pendon i magli gravi da le cinture: parte di quelli
Il ferro a incrudelir porta, vasi d’onde d’Averno
65E d’Acheronte fero, che di dannate lagrime cresce.
Scelsero questo loco, per aver li metalli da presso;
E nuove continue del buon successo de l’opra,
Quando presentasser d’infernal tossico pieni
I fatti ordigni per strazio dei martiri sacri
70Ai duri carnefici d’infernal tossico pieni.
Già quivi pur da loro prove mille ai tempi vetusti
Fatte s’erano, quanti di spasimo, quanti di morte,
Ordigni in bronzo o in ferro fare l’arte potesse.
In quel tempo fue, se fede ai racconti si preste,
75Che da furor bestiai spinti, la Trinacria terra
Scorse i tiranni suoi, e pianse: chè de’ figli le membra
Con strazio mai sempre nuovo lacerarsi dinanzi,
E segnar si vedea misera con morti nefande
I dì sanguinei; e crudel da le genti chiamarsi.
80Fu dentro all’Etna, che prima squagliossi e si formò
Da ferrai Demoni quel mugghiante igneo tauro,
Che di Perillo poi ne le man passando e de l’altro,
Dei miseri ardenti gravido voci taurine sempre
Rendeva per gemiti; e come pur giustizia volle,
85Da’ due suoi signori trasse il primo e l’ultimo mugghio.
L’officina or riapre la crudel densissima turba,
Cresciuta in numero; sgombran le roventi caverne
Dai caduti massi, e in fondo fanno ampia piazza:
E prima per decreto di chi regge, a squillo di tromba

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90Tartarea, i vari uffizi s’intendono fissi
A ciascun di loro. O egregi, per forza, per arte,
Disse Satan, chi fia? chi di voi che torpido resti
Nel fabbricar l’arme, di velen nel tingere i ferri.
Che divorar devono di chi serve a Cristo le carni?
95Nè v’è posa; in vari squadron si dipartono: tosto
Altri disegna l’opra e de li orridi molti strumenti
Dei feri martirii fra i piccoli molti modelli,
A poste incudini altri suda sul saldo metallo.
Cento in un istante s’alzan fortissime braccia.
100Gran maglii ne l’adunche mani. Poi queste cadendo,
S’alzano cent’altre in concerto: rivolgesi sotto
Intanto il ferro, stretto in mordente tenaglia.
Ma chi ebbe in sorte la cura dei mantici vanne,
E per ogni fianco del concavo monte ricerca,
105Onde poter, smosse le rupi, dischiudere a’ soffi
Dei turbin sotterranei larghissima porta.
Inverso a Peloro. Flegias tantosto si volge:
Gran Demone, ch’ha di bronzo l’ugne, che ha le corna di bronzo.
E poichè senti il vento, che la vasta Cariddi
110Formato nel rapido suo vortice, manda ne l’Etna,
Per le sepolte vie, per fargli ingresso più largo,
Fra rupe ficca e rupe le diritte altissime corna,
E così fatta leva, ne stacca orrendo macigno.
In guisa consimile allo scoppio rimbombante
115Dell’accosta mina si svelle, con alto lamento.
Dal suo greppo natio la pesante colonna di marmo:
Il minator cauto n’ode lunge il vasto fracasso.
Il vento da l’aperta via rapidissimo sorge,
E ingrossa orribile ne la fiammeggiante caverna.
120Allor s’addoppia l’incendio; e lungi beendo
Sorsi de l’aura nova, Vulcan furibondo s’innalza,
Gli astri minacciando di fumo e di cocente favilla.
Nulla però senton di pena pel caldo novello
I Fiegetontei artefici, cui sembra susurro
125D’aura leve ogni foco, per quel che addentro li cruccia.
Già cola a ruscelli, anzi a rivi nel torrido forno,
Il bronzo e ’l ferro feritor: già in concave forme
L’accolgon; per lunghe rive derivando, le lunghe
Forman acute spade coll’aste le falci ricurve.
130Intesson questi graticella di ferree verghe,
Destinata a stridere sotto delle membra roventi.
Al bollente olio caldaje qui fondono, e questi
Intreccian catene, e annodano co’ graffi le ferze.
Ciascuno si ingegna provveder de’ Tiranni la rabbia,
135Quanto al meglio puote. Si suda per molte provincie.
C’hanno di sangue sacro ben presto a correre tutte.
Ma più assai per te Roma, barbara. Molto qui porge

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D’opra Neron; molto Massenzio; molto Diocle,
Cui lavoran più di mille mani. In un altro riposto
140Angolo dello speco, tre giganti ordiscono grande
Tartarea invenzion. Rota, che in sul perno si volve,
Tutta di coltelli circondata, tutta di denti.
Parte da queste mani n’era omai perfetta: ma parte
Scabra giace sotto ai colpi de le mazze sonanti,
145E scintille vibra: rimbomba il fornice largo.
Non Bronte, o Sterope, non con nude membra Piracmon,
Fer tanto strepito in Lipari per l’ottimo Teucro,
Quanto ardenti d’ira quei spirti all’Alto ribelli.
Mentre l’opre orribili qui affrettano contro de’ Santi.
150Nè alcun manca pure, che fusil rinnovelli di bronzo
Di Falari il tauro; il traggon da la concava forma.
Altri vi si interna, e se bene sien fatte le fauci,
Fanne gemendo prova, e fuor mugghio tosto ne venne.
Stolti! che non gemiti, ma giocondi altissimi plausi,
155Quinci udiransi a voi, delusi lasciando in Averno,
I gemiti e il mugghio d’un più abbruggiante baratro.
Altri pur il tempo non perdono nel loro penso.
Non s’io cent’abbia lingue, e cento abbia bocche,
Ferrea pur la voce, potria narrando ritrarre
160Tutte de’ tormenti le spezie, tutte le forme.
Che, dappoichè fur compiute, e a termine tratte:
Or sia vostra cura, disse il gran prence de l’Orco,
Far ch’una non resti nell’ozio pigro sepolta.
Andatene, e de’ regi empitene li superbi palazzi.
165Partono; e solleciti quei, del Duce l’ordine fanno