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1.1 Nè mio nè tuo: nuovi sensi del possesso

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È pericoloso aver ragione quando le autorità costituite hanno torto.
(Voltaire)


La Giustizia e la pace si baciano, Pinacoteca Tosio Martinengo, Brescia. Foto di Giovanni Dall'Orto (13-4-2002).


Da sempre, nella storia dell’uomo, chi detiene l’informazione detiene il potere.

Gli antichi sacerdoti egizi non rivelavano la propria scienza per mantenere il proprio stato di divinità e poter così “predire” ogni anno le piene del Nilo.
Il clero medioevale approfittò della propria cultura e dell’ignoranza delle masse per mettere da parte grandi ricchezze e assicurare il proprio potere su intere popolazioni.
Nel XVII secolo, in Francia, viene proibita la stampa per ovviare ad un problema prima inesistente: quello della diffusione delle idee; in Inghilterra, nel 1662, di fronte all’impossibilità di mettere la stampa fuorilegge, si crea un sistema di monopolio per l’uso delle macchine (la Stationers’ Company).
Sempre in Inghilterra, nel 1710 viene redatto l’Anne Statute, la prima legge in materia di copyright, che però protegge l’editore e non l’autore.

I dittatori, i re, i governi di ogni angolo del mondo e di ogni epoca storica hanno sempre saputo che quello della diffusione di informazione è un tema scottante: non bisogna lasciare che milioni di persone vengano a contatto con la cultura, con la conoscenza, con il sapere. Non bisogna dar loro modo di diventare forti e consapevoli della propria potenza.

Suona male e a qualcuno potrà sembrare una specie di bestemmia, ma bisogna rendersi conto che non sempre la legge è nel giusto: spesso dimentichiamo che una cosa è la legge, e un’altra la giustizia.
Nel 400 a.C., quando la pedofilia era una pratica moralmente accettata, Plenide disse al Senato: “Dovremmo fare più del giusto e meno del dovuto”. Fu accoltellato seduta stante dai senatori stessi.
Plenide, a suo tempo, stava solo cercando di guardare le cose dal punto di vista pratico ed etico, e non solo dal punto di vista legale.Il nostro mondo e il nostro stile di vita sono cambiati, ed è giusto che ora cambino anche le leggi.
Secondo il filosofo spagnolo Xavier Zubiri, ogni volta che diciamo “mio figlio” ovviamente non intendiamo quel “mio” nel senso stretto del possesso, perchè un figlio non si può vendere, comprare, cambiare o gestire come un qualsiasi altro oggetto che realmente possediamo (come una casa o un’auto). Sappiamo bene che “mio” figlio è in realtà solo “di sè stesso”, nonostante egli faccia parte di un tutto ben più vasto (che può essere la famiglia, la comunità, la società). Anche se possiamo dire “l’ho fatto io”. [vedi nota 1]
Forse dovremmo cominciare a fare lo stesso con le opere frutto dell’ingegno umano, in quanto espressioni di una creazione: una volta create non dovrebbero appartenere più a nessuno, ma semplicemente dare beneficio a tutti.

E’ innegabile che ormai il cosiddetto “futuro” è già qui, con noi, nelle nostre case, nella vita di tutti i giorni. Non possiamo fingere che non esista, così come non possiamo continuare a pensare utilizzando sempre gli stessi vecchi schemi mentali, perchè le regole della nostra società sono profondamente cambiate in questi ultimi decenni.
Il sistema aperto, rizomatico e imprevedibile della rete e del libero scambio di informazioni, i nuovi modi di creare cooperando online in comunità che non prevedono ritorni in denaro, l’economia del dono e le produzioni dal basso mettono in crisi gli economisti classici e le loro ormai obsolete teorie. Casalinghe cinquantenni e studenti di dodici anni hanno oggi la possibilità, utilizzando semplicemente un computer connesso ad Internet, di crearsi un proprio spazio nel grande oceano di flussi informatici e informativi del World Wide Web. Le nuove tecnologie hanno permesso a tutti di diventare creatori invece di rimanere semplici spettatori passivi di quello che un tempo poteva essere creato da pochi e importanti “artisti”.
Di fronte a tutto questo, personaggi che assicurano di difendere i nostri diritti in realtà cercano di imbrigliare la diffusione della cultura all’interno di maglie giuridiche assurde e sempre più strette, mentre coloro i quali vengono oggi definiti “pirati” hanno solo capito che Internet e le nuove tecnologie sono il più grande strumento mai posseduto dall’umanità per una più libera diffusione della cultura.