Juvenilia/Il Vaticinio

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Il Vaticinio

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A G.C. In fronte a una raccolta di rime.Pubblicata nel MDCCCLVII Libro I

                                   O patria, O divûm domus Ilium, et inclyta bello
                                   Moenïa dardanidùm!
                                             Aenead. II. 241.


Mentre solcando d’Anfitrite i piani
    Il frigio predatore
    Di Laomedonte a’ lari empio traea
    Varie di amor l’adultera ledea;
    5Scossa da un sacro orrore
    E preda agli euri abbandonata il crine,
    Su le patrie ruine
    E l’incalzar di fati ancor lontani
    Gemea gemea la mesta
    10Cassandra, e la funesta
    Voce nunzia di mali ahi non creduti
    Negli atrii ancor non muti
    Del suon degl’imenei giva sciogliendo
    A tal di sangue vaticinio orrendo

15Deh! ripiega, pastor, le infami vele
    De l’Atride a le braccia,
    Deh! radduci costei. Ve’ qual di guerra
    Nembo caliga su la nostra terra!
    Già già lo scudo imbraccia
    20Gradivo e affuoca il siciliano brando:
    E’n lui tutto versando
    Il tartareo venen Furia crudele
    Gli allaccia il grande usbergo.
    Già su noi piomba: a tergo
    25Mugge de’ figli suoi lo stuolo audace;
    E la sanguigna face
    Alto levando, Aletto anguicrinita,
    Ilio, le sacre tue rocche gli addita.

Oh! Qual di guerra ferve alto ululato:
    30Qual nitrir di destrieri,
    Qual peregrino suon d’aspri metalli
    Ti ferma, o Simoi, per le patrie valli!
    E quel di Achei guerrieri
    Quel diluvio che i nostri campi innonda
    35Che vuol? Qual fatto è sponda
    Al danäo furor di dritto armato?
    Ahi! Che su l’ilie porte
    Semini strage e morte,
    Divin ferro di Ftia di piaghe fabro:
    40E a l’assetato labro
    Del fuggente al terror Troiano esangue

    Meni, o patrio Scamandro, onda di sangue.

Chiuse il candor de’ membri in atro manto,
    E su ’l vergine petto,
    45Sospir d’amanti, il crine abbandonate,
    perché danze e imenei da ’l cor sgombrate?
    Figlie di Troia, il tetto
    Devoto e l’ara sorda Erinni tiene;
    Ed a la Dea non viene,
    50Ch’Ilio in campo minaccia, il vostro pianto;
    Né puote umana voce
    Piegar de la feroce
    Armipotente il crudo petto e l’ira.
    O Dei! Come vi mira
    55Volgendo gli occhi in sanguinose rote,
    E la gran lancia crolla e l’elmo scote!

E tu adultero vil solo, tra il lutto
    De’ tuoi, dentro la vòta
    Squallida reggia, a la tua druda in braccio,
    60Farai di rose al crin leggiadro impaccio?
    Mentre su Priamo immota
    La legge sta de l’inimico fato,
    Nel talamo odorato
    Scamperai, vil, de l’aste argive il flutto?
    65Secoli e genti, ei sia
    De la prosapia mia
    Rampollo senza gloria e senza vanti:
    nè vate eterno canti
    Come Nemesi ’l colse, allor che al fine
    70Prostrò dentro ’l suo sangue il molle crine.

Ombre de’ padri miei, voi da li avelli
    Il destriero nemico
    E dal sonno di morte, ah fia che deste!
    E questi sacri penetrali e queste
    75Are ed il lauro antico
    Che ad Apollo esorando abbraccio in vano,
    Bagna il sangue troiano,
    Di Priamo il sangue, il sangue de’ fratelli.
    Tu cadi, Ilio divina:
    80E su la tua ruina
    Tratta pe ’l crin fra militar trofei,
    O città de gli Dei,
    Io grido a te: patria di Ettorre mio,
    Patria di Priamo e de’ miei padri, a dio.

85Ma perche squarci a l’atterrita mente,
    Febo crudele, il velo
    Che tanti mali mi ascondeva, e, trista!,
    A l’orror mi togliea de l’empia vista?

    Ecco: di fiamme il cielo
    90Cupamente a l’intorno arde e rosseggia:
    Ampio già signoreggia
    Il foro, e tutto avvolge Ilio cadente.
    Dei crudeli, gioite:
    È vinta la gran lite.
    95Perfido Giove e ingrato anch’ei non cura
    D’Elettra sua le mura:
    E ne’ decreti il Fato ha scritto come
    Fu d’Ilio un giorno, or vota larva e nome.

E voi che cerchio fate a la funesta
    100Profetessa di mali,
    Iliache donne, per le argée convalli
    A gli Achivi fatali
    Pascerete con molli archi i cavalli. —
    Dicea Cassandra: e discioglieano intanto
    105Le vergini priamée d’amore un canto.


1850. 13 Febbraio. Firenze. — Ritoccata nel Marzo e Novembre 1852, in Firenze e in Celle.