L'epopea della bonifica nel Polesine di San Giorgio/5

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L’aratro sacrificato al tramaglio

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I risultati della spedizione non sono, peraltro, immediati, come attesta la pagina desolata che lo stesso Forlani verga, ricordando il sopraluogo, l’anno successivo: “Quanto prosperava per il conseguito beneficio di scolo il Terzo altrettanto languiva il Secondo Circondario Scoli per la peggiorata sua condizione – scrive l’”ingegnere primario”-. A formarsene un’idea, abbenchè non sia descritto lo stato deplorevole di tutti i condotti e di tutti i manufatti, occupandosi specialmente di terreni e di strade coperti d’acque stagnanti, basta leggere l’affliggente rapporto dell’Ingegnere Consorziale, e gli atti relativi d’archivio dell’anno 1827. All’abbandono improvvidissimo nel quale erano lasciati i condotti, le canalette in valle, le chiaviche ed i ponti, nel falso ed assurdo principio che la prevalenza dell’acqua delle valli su quella degli scoli rendeva inutile ogni spesa, aggiungevasi il barbaro impedimento delle arellate di fronte alle chiaviche di sbocco per impedire, all’opportunità di alzare le saracinesche, l’ascendere del pesce per gli alvei di scolo…

Le doglianze amarissime, ed i reclami fervidissimi dei possidenti del Polesine mossero il governo locale, nella legazione dell’Eminentissimo Arezzo, ad ordinare una visita all’Ispettore Giuseppe Professore Venturoli, ed all’Ingegnere in Capo della Provincia di Ferrara Tommaso Barbantini ed un congresso in Libolla nel quale fu fatta la convenzione 16 Ottobre 1827…in conseguenza della quale, riservato all’Azienda Valli il diritto esclusivo di pesca negli scoli ascendendo per cinque miglia, e nelle valli in libera comunicazione con gli scoli, furono disfatte le arellate o coladuri, e divenne alquanto men triste la compassionevole condizione di scolo del Polesine di S. Giorgio…

Abbandonato l’assurdo principio dell’inutilità dei lavori, ed ammesso l’altro che, allo spirare specialmente dei venti favorevoli, allo spingersi dell’acqua delle valli in direzione opposta a quella delle arginature, fatte le opere indispensabili, trascinerebbe seco l’acqua degli scoli, e si godrebbe del proficuo beneficio della espansione, dopo l’anno 1832 cominciò il servizio a prendere un diverso andamento, e fu fatto un nuovo e più conveniente riparto delle sezioni…

… ma ciò non ostante entrarono le acque torbide derivate dal Reno a mezzo della chiavica della Bastia per uso degli antichi e da lungo tempo abbandonati molini di Filo, entrarono per la costruita chiavica di sbocco nel Canale Menate quelle della cassa ravegnana di Longastrino, e così pure per la chiavica Garzana appositamente costruita le acque derivate dal Reno ad uso dell’umida coltivazione del riso nell’intrapresa Bonificazione di Umana, e di Longastrino; e quindi l’enorme massa d’acqua che si accumula nel Mezzano viene di continuo aumentata rendendo sempre più precario lo scolo del disgraziato Polesine di S. Giorgio...”

Sono trascorsi solo due anni dalla relazione di Forlani quando l’ospitale anfitrione del manipolo di tecnici che ha visitato, nel 1853, il Polesine di San Giorgio, Giuseppe Pavanelli, ottiene l’autorizzazione a installare una macchina idraulica per liberare dalle acque la propria tenuta di Sfondrabò. Si accende la prima vaporiera della serie che in pochi decenni muterà lo scenario agrario del Polesine.