La Faoniade/Parte prima/Inno primo. Ad Apollo

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Parte prima - Inno primo. Ad Apollo

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Parte prima Parte prima - Inno secondo. A Venere

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Inno primo.

AD APOLLO.


Saffo, amante mal corrisposta di Faone, invoca l’ajuto di Apollo, acciò con l’armonia de’ versi vinca il rigore del suo amato.


     Figliuol di Giove, o Apolline,
Che col tuo ardor fecondo,
Tutto riscaldi ed animi
Ciò che racchiude il mondo;

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     Tu sei, che col prolifico
Onnipossente raggio,
L’autunno orni di pampani,
Orni di fiori il maggio.
     Te di natura giubilo,
Onor de’ Vati e mio,
Te, a’ voti miei propizio
Invoco, o biondo Dio.
     Io son la Lesbia giovane,
Al Nume tuo sì cara,
Per cui finor non videsi
Giammai tua destra avara.
     Quella son io, cui rapida
Fu di volar concesso
Dal margin del Castalio
All’alto del Permesso.
     PerFonte/commento: Pagina:Verri - Le avventure di Saffo e la Faoniade, Parigi, Molini, 1790.djvu/15 me dal plettro Eolio 1
Nuova armonía si schiuse;
Di nuovi ritmi ornaronsi 2
Per me le Greche muse.
     Grate al bel don, me cinsero
La caste Dee di alloro;
Nè accoglier me qual Decima 3
Sdegnò l’Aônio coro.

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     Ma che mi giova, ahi misera!
Se a sospirar costretta,
Fra mille affanni e smanie,
Vivo ad Amor soggetta?
     Non ti sdegnar, se libera
Le colpe mie ti svelo:
Amo: E in tal fallo ho complici
Il mar, la terra, e il cielo.
     Non v’è, chi viva, o vegeti
In terra, o in salso umore,
Nume non v’è sull’Etera,
Che non risenta Amore.
     Tu stesso un dì per Clizia,
Tu per Leucotoe in petto
Provasti le delizie
D’un amoroso affetto:
     Ma pel rigor di Dafnide
Soffristi ancor l’affanno
Che reca a un cor sensibile
Amor, quando è tiranno.
     Me di soccorrer piacciati,
Che fiamma egual divora:
Chi sa d’amor lo strazio,
Sa compatirlo ancora.

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     Faone è il crudo giovane,
Che Amor mi offerse al guardo,
Che per mia pena il perfido
Punse con ferreo dardo.
     Per lui sospiri e lagrime,
Spargo sovente in vano:
In van sul plettro sciogliere
Tento l’esperta mano.
     Sensi destar men rigidi
Cerco in quel core ingrato:
Ma, ohimè! che tutto è inutile;
Amor me ’l vieta, e il fato.
     Ah! tu del Nume instabile
Tu doma il folle orgoglio,
E quanto i carmi possano
Vegga con suo cordoglio.
     Giunse il pastor di Tracia
Per l’aspre Emonie selve
Le stesse rupi a frangere
A impietosir le belve.
     Novelle mura sorgere
Di Tebe assiso in trono
Vide il figliuol d’Antiopa
Della sua cetra al suono.

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     E sol dovrà resistere
De’ versi al dolce incanto,
Sol d’essere inflessibile
Avrà Faone il vanto?
     No: non lo speri. Armoniche
Note a me detta, o Apollo.
Questa è la cetra eburnea,
Che mi ponesti al collo.
     Questa a te sacro: e veggasi
D’amor, del fato ad onta,
Ch’ogni rigor possibile
Il tuo poter sormonta.

Note

  1. [p. 342 modifica]Aristosseno riferito da Plutarco fa Saffo inventrice dell’armonía Lidia. Mixo-Lydia quoque animum percellens tragœdiis est aptum. Hanc Aristoxenus scribit primum a Saphone inventam. Plutarc. de music.
  2. [p. 342 modifica]Fu parimente inventrice del nuovo metro, per lei detto Saffico, come lo rammenta Ausonio nell’epist. V, parlando della varietà de’ metri.
    Sunt, et quos generat puella Sapho.
  3. [p. 342 modifica]I Greci facevano tanta stima di Saffo, che l’annoverarono tra le muse: Est enim apud musas non indigna, ut commemoretur Sapho. Plutarc. de amor. Ed il citato Ausonio nell’Epigramma 31.
    Lesbia Pieriis Sapho soror addita musis.