La Montagna di luce/32. Un triplice assassinio

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32. Un triplice assassinio

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32.

UN TRIPLICE ASSASSINIO


Lo stupore e la collera causata da quella notizia, avevano resi muti Toby e l'ex favorito del guicowar.

Sitama ancora libero voleva significare nuove sorprese, nuovi tranelli, pericoli d'ogni specie e la ripresa della lunga e sorda guerra mossa dal luogotenente e complice di Dhundia.

Il Kohinoor, che aveva costato tanti sacrifici e che rappresentava la salvezza e la redenzione d'Indri, non era dunque ancora al sicuro, perché Baroda era ancora troppo lontana.

– Fuggito! – disse finalmente Indri con voce cupa. – Quell'uomo lo troveremo ancora sulla nostra strada.

– Ma in quale modo è riuscito a riprendere la libertà? – chiese Toby, pallido d'ira. – Sono dunque così malsicure le carceri del rajah o così malfidi i suoi guardiani?

– È stato aiutato da complici misteriosi.

– Affiliati anche essi all'infame setta dei dacoiti?

– Certo, sahib – rispose l'ufficiale.

– È scomparso solo?

– No, assieme a due carcerieri e alle quattro guardie che hanno consegnato agli sceikki della porta d'occidente l'uomo che abbiamo veduto appiccato.

– E chi era quel disgraziato?

– Un povero diavolo che era stato arrestato alle miniere per aver inghiottito un diamante, onde trafugarlo. I carcerieri lo avevano ubriacato in modo da non poter più parlare, né ribellarsi, poi l'avevano consegnato alle guardie.

– E gli sceikki lo hanno appiccato credendolo il fakiro? – chiese Indri.

– Sì, sahib.

– E noi che avevamo creduto d'aver distrutti tutti i dacoiti di Pannah! – esclamò Toby, mordendosi rabbiosamente le unghie. – Si sa almeno dov'è fuggito quel cane di Sitama?

– Nessuno lo ha più veduto. Il rajah ha fatto frugare stamane tutte le case della capitale ed ha lanciate le sue migliori truppe attraverso l'altipiano, senza alcun esito. Né Sitama, né i due carcerieri, né le quattro guardie sono stati trovati. Solamente...

– Ah! Continuate.

– È stata notata la improvvisa scomparsa d'una banda di giocolieri che da tre settimane dava spettacoli sulla piazza della grande pagoda.

– Forse dei complici di Sitama?

– Lo si ignora; però se ne ha il sospetto, perché quei giocolieri sono fuggiti di notte, abbandonando le loro tende ed i loro arnesi.

– Che si siano lanciati dietro di noi? – chiese Indri, fremendo.

– Avete incontrato nessuno? – chiese Toby.

– No, sahib – rispose l'ufficiale. – La via era deserta.

– Indri, appena l'elefante si sarà un po' riposato, riprenderemo la corsa – disse Toby. – Una sorpresa in questa valle sarebbe disastrosa per noi. Quando saremo nel Gondwana, avremo molto meno da temere.

– E sorvegliamo soprattutto Dhundia – disse Indri.

– Al primo tentativo di fuga, lo ucciderò come un cane.

– Signori, – disse l'ufficiale, – io ritorno per perlustrare l'altipiano, dove ho i miei rajaputi. Ho dato anche ordine alle guarnigioni dei fortini di sorvegliare tutti i passaggi e di far fuoco su qualunque banda cerchi di scendere verso questa valle. Signori, buon viaggio e contate su di me.

Risalì a cavallo, fece un saluto colla scimitarra e s'allontanò seguìto dai compagni.

– Non disperiamo, amico mio – disse Toby, vedendo Indri accasciato. – Forse quel briccone è ancora sull'altipiano e tenta invano di passare attraverso i cavalieri del rajah. Domani noi usciremo dalla valle e saremo nelle foreste del Gondwana e fra due giorni entreremo a Sagar.

– Le selve del Gondwana sono meno sicure degli altipiani di Pannah – disse l'ex favorito del guicowar. – Tu non conosci quelle folte jungle, rifugi dei meriah, gl'indigeni che compiono i sacrifici umani.

– Se sarà là che Sitama vorrà aspettarci, sapremo affrontarlo e anche ucciderlo. Ritorniamo, Indri, e lasciamo questa valle.

A mezza via incontrarono Bandhara, il quale, inquieto per la loro prolungata assenza, non era stato capace di trattenersi più a lungo all'accampamento.

Apprendendo la notizia recata dall'ufficiale, la sua fronte si oscurò.

– Sì, – disse poi, – Sitama non ci lascerà tranquilli, ma io veglierò e chissà che non scopra i suoi disegni prima che li metta in azione.

Quando giunsero all'accampamento, l'elefante non si era ancora coricato.

Aveva divorata la sua cena e stava scherzando col suo cornac, ora sollevandolo colla proboscide fino all'altezza delle vicine rocce, ed ora rotolandolo al suolo, senza però fargli alcun male.

– Se giuoca, non deve essere molto stanco – disse Toby. – Potremo marciare per alcune ore ancora, è vero, cornac?

– Sihor nulla rifiuta al suo guardiano – rispose l'interrogato. – Fino alla mezzanotte può resistere, purché gli sia data una buona razione di zucchero.

– Ti permetto di raddoppiarla, se vuoi.

– Fra cinque minuti Sihor ripartirà.

– E tu preparerai...

Toby non terminò la frase. Alcuni spari erano echeggiati verso l'alta valle, rumoreggiando lungamente fra i burroni e le montagne del Senar.

– Delle fucilate! – aveva gridato Indri, accorrendo. – Contro chi hanno fatto fuoco?

Toby non disse verbo. Si spinse verso il fiume e si curvò sull'abisso, tendendo gli orecchi.

Due altri spari, poi altri quattro rombarono cupamente, propagandosi lungo il corso del fiume.

– Sei colpi, – contò Toby, – e cinque prima formano undici. Hanno sparato contro l'ufficiale ed i suoi due compagni.

– Che siano stati invece i soldati dei fortini che hanno fatto fuoco su qualche banda?

– Gli hudi sono armati di cannoncini, e questi sono stati colpi di fucile.

– Allora Sitama ha teso un agguato all'ufficiale.

– Lo temo – mormorò Toby, con angoscia.

– Padrone, fuggiamo – disse Bandhara. – Ci troviamo in una posizione difficile, e qui un combattimento finirebbe male per noi.

– E lasceremo l'ufficiale forse moribondo.

– Può essere già morto!

– No – disse Indri. – Non dobbiamo abbandonarlo, Toby, vieni!

– Non commetteremo noi una imprudenza? – si chiese il cacciatore, il quale esitava. – Se durante la nostra assenza quei banditi piombano sull'elefante? Chi difenderà il Kohinoor?

– Io ne rispondo – disse Bandhara. – Lancio l'elefante e vado ad attendervi all'uscita della valle, dove sorge un vecchio fortino. I banditi non potranno tenerci dietro.

– Va' – rispose Indri. – Bada a Dhundia.

– Lo ucciderò piuttosto che lasciarmelo portar via.

Indri e Toby, senza attendere altro, si erano slanciati verso il sentiero, rimontando di corsa la valle.

Oltre le carabine si erano armati di pistole a lunga canna, di buona portata.

Gli spari erano cessati e nella valle altro non si udivano che i cupi muggiti delle acque scroscianti sul letto roccioso del Senar.

Dopo un quarto d'ora di corsa sfrenata, Toby e Indri, sfiniti, s'arrestarono per riprendere il respiro.

Si trovarono allora su una seconda piattaforma, più larga di quella che aveva servito loro d'accampamento, e che scendeva verso il fiume un po' dolcemente, permettendo di raggiungerlo senza esporsi al pericolo di rompersi il collo.

Anche verso la montagna il pendìo era meno aspro, interrotto da profonde spaccature che pareva salissero fino alla cima.

– È in questi dintorni che devono essere state sparate quelle fucilate – disse Toby. – Che gli assalitori si siano tenuti nascosti fra queste spaccature?

– O che siano discesi lungo il fiume onde meglio sfuggire alla vigilanza dei fortini, e che siano saliti attraverso le rocce della riva? – chiese Indri, lanciando all'intorno sguardi inquieti.

– Ma qui non vedo nessuno.

– L'ufficiale ed i suoi compagni saranno sfuggiti all'agguato.

– Hum! Gl'indiani non sono così cattivi bersaglieri da mancare tre persone con undici palle.

– Vuoi che ci spingiamo più innanzi, Toby?

– Tu sai, Indri, che io sono tutt'altro che un poltrone, eppure preferirei tornarmene. Qui fiuto odor d'imboscate.

– Duecento soli passi.

– Sia, ma non di più.

Armarono le carabine e le pistole, diedero uno sguardo al fiume che scorreva incassato fra le sue ripide sponde, un altro verso le pareti rocciose della montagna, poi si spinsero innanzi, tenendosi nascosti sotto l'ombra proiettata dalla parete granitica.

Avevano percorsi quasi tutti i duecento passi, quando scorsero, presso l'orlo della riva, una massa oscura.

– Cos'è? – chiese Indri, puntando la carabina.

– Lo si direbbe un cavallo – rispose Toby, arrestandosi.

– Allora è qui che hanno assalito l'ufficiale.

– Vedi nulla tu, verso la montagna?

– No, Toby.

– Ed io non scorgo niente sulle rocce del fiume.

– Erano neri i cavalli dei rajaputi, è vero?

– Sì, Indri.

– Andiamo a vedere.

Ascoltarono prima per qualche istante, poi, non udendo altro che lo scrosciare delle acque, uscirono dall'ombra e attraversarono rapidamente il sentiero, spingendosi verso la riva.

Era proprio un cavallo quello che giaceva sull'orlo del Senar, un bell'animale dal mantello nero e lucido, tutto macchiato di schiuma e bardato con una sella assai bassa, con gualdrappa rossa a frange d'oro e le staffe corte.

Aveva ricevute due palle nel cranio che gli avevano fracassate le tempia, facendogli uscire, assieme al sangue, brani di materia cerebrale.

– È un cavallo dei rajaputi! – esclamò Indri, rabbrividendo. – Dove sarà andato il suo cavaliere?

– E mi pare quello che montava l'ufficiale – aggiunse Toby, con emozione.

– Che il suo padrone sia stato ucciso?

– Taci.

– Cos'hai udito?

– Un gemito.

– Dove?

– Giù, nel fiume.

– Che i miserabili che hanno ucciso il cavallo, abbiano poi precipitato il cavaliere nel Senar?

Una voce fioca, appena distinta, era salita in quel momento fra le rocce che costeggiavano la riva:

– Aiuto... muoio!...

– Indri, scendiamo – disse Toby.

– Lo potremo noi?

– Vedo là una spaccatura che ci permetterà di giungere fino all'acqua.

– E se ci prendono alle spalle?

– È vero, Indri. Tu rimani qui, nascosto dietro il cavallo per proteggermi; io scendo.

Toby, senza attendere la risposta del compagno, raggiunse in due salti la spaccatura, la quale pareva che si prolungasse fino alla base della riva.

La discesa, che dapprima sembrava difficilissima, non presentava invece grandi difficoltà. Bastava lasciarsi scivolare per toccare il fondo, e fu quello che fece Toby.

In meno di mezzo minuto si trovò sulle scogliere, contro le quali si rompeva la corrente del fiume.

Subito distinse un corpo umano, coricato presso la sponda, colle gambe in acqua e le mani strette sulla testa.

– Chi siete voi? – chiese Toby, accostandoglisi.

Udendo quella voce, il ferito fece uno sforzo per alzarsi, poi ricadde mandando un lugubre gemito.

– Voi!... – esclamò Toby, riconoscendo in quel disgraziato l'ufficiale del rajah di Pannah.

– Sì... sahib... – articolò il moribondo.

– Chi vi ha gettato nel fiume?

– Lui... i dacoiti...

– Sitama?

L'ufficiale fece col capo un cenno affermativo.

– L'avete veduto?

– Sì – mormorò il ferito, con voce quasi spenta.

– Dove?

L'ufficiale indicò il fiume.

– Sono scesi lungo il Senar?

– Sì... sahib...

– Sono fuggiti, poi?

– Sì... sì...

– Ed i vostri compagni? – chiese ancora Toby, affannosamente.

– Mor...ti fiu...me...

– Maledizione!... Potete ancora parlare?

Il disgraziato non rispose. Si era abbandonato completamente, chiudendo gli occhi.

Un tremito agitò per un momento il suo corpo, poi cessò bruscamente.

Toby gli scoprì il petto e gli mise una mano sul cuore: non batteva più.

– Morto! – mormorò. – Noi ti vendicheremo, te lo giuro.

Ritirò il cadavere, onde la corrente non lo portasse via, lo depose in una specie di buca, poi s'arrampicò per la spaccatura, raggiungendo Indri, il quale si era sempre tenuto dietro al cadavere del cavallo, sorvegliando attentamente i dintorni.

– Sitama qui! – esclamò l'ex favorito del guicowar, quand'ebbe udito tutto quello che gli aveva narrato Toby.

– Sì, i dacoiti sono scesi lungo il fiume per evitare i fortini.

– Come hanno potuto compiere una simile impresa, e di notte, con tante cateratte?

– Io non lo so, – rispose Toby, – ma comincio a credere che quegli uomini siano veri demoni.

– Torniamo, amico mio, e raggiungiamo l'elefante. Può darsi che Sitama ed i suoi compagni stiano per assalirlo.

– Sì, andiamo, e di corsa.

Stavano per alzarsi, quando scorsero alcune ombre calarsi dalle rupi che fiancheggiavano la montagna. Scendevano silenziosamente, aiutandosi le une colle altre, spiccando talora salti da sfidare i più agili quadrumani.

– Uomini o scimmie? – chiese Toby, gettandosi precipitosamente dietro il cavallo.

– Mi sembrano uomini – rispose Indri.

– E da dove sono discesi costoro?

– Dalla montagna.

– Se ha le pareti quasi lisce e tagliate a picco!

– Ti dico che sono uomini, Toby.

– I compagni di Sitama?

– Lo sospetto.

– Allora devono essersi divisi in due bande per meglio sfuggire ai cavalieri del rajah e alle sentinelle degli hudi. Mentre una scendeva lungo il fiume, l'altra si calava dalle montagne, passando attraverso picchi e burroni impraticabili. Indri, amico mio, qui non soffia buon vento per noi, e temo un disastro.

– Pel Kohinoor, è vero? – chiese l'ex favorito diventando spaventosamente pallido.

– Più per noi che pel diamante, almeno per ora.

– Credi tu che quegli uomini ci abbiano già veduti e che scendano per attaccarci?

– Vedremo, Indri; intanto non abbandoniamo questo cadavere che può servirci da trincea. Bene armati lo siamo, tiratori infallibili pure, e daremo molto filo da torcere a quei bricconi se vorranno prenderci.

Gli uomini che avevano varcata la montagna, continuavano le loro manovre pericolose per calarsi sul sentiero che fiancheggiava il Senar.

Erano una quindicina, tutti quasi nudi, non avendo indosso che un piccolo languti che avvolgeva a malapena le loro anche, ma tutti armati di fucili e di pugnali.

Si trovavano ancora ad un'altezza di tre o quattrocento piedi e dovevano calarsi attraverso a rocce quasi perpendicolari; però non vi era da dubitare che riuscissero a giungere sul sentiero, dalla sicurezza e dall'agilità con cui manovrano.

Quando le rupi diventavano lisce, si tenevano per le mani e per le gambe, imitando le scimmie, e ben presto raggiungevano le piattaforme inferiori, improvvisando delle piramidi umane per far scendere gli ultimi.

Talvolta invece si servivano di corde che poi abbandonavano appese alle rocce.

– Che diavoli d'uomini – borbottava Toby, meravigliato.

– Sono giocolieri e saltimbanchi – rispondeva Indri. – E poi tu conosci la sorprendente agilità degl'indiani.

– E li lasceremo scendere? Se cominciassimo invece il fuoco?

– No, Toby; forse non ci hanno veduti, ed eviteremo un combattimento, le cui conseguenze potrebbero essere fatali per noi. Sono in quindici o sedici, e noi, due. E poi saranno soli? Sitama può essere più vicino di quello che possiamo supporre.

– Hai ragione, Indri; aspettiamo.

I dacoiti, tali almeno dovevano essere, giunti sull'ultima piattaforma, s'arrestarono alcuni minuti per riprendere lena e per cercare il mezzo di scendere l'ultima rupe, la quale cadeva a piombo sul sentiero, senza crepacci e senza spaccature.

La loro esitazione non durò molto. Furono veduti annodare parecchie fasce, quelle che sorreggevano i loro languti, poi, formata una corda, la lanciarono.

L'estremità non toccava ancora il sentiero, ma che cos'era un salto di quattro metri per quegli uomini così agili e così elastici?

Il primo si lasciò scorrere lungo la corda, poi si lasciò risolutamente cadere.

Cadde, poi si rialzò mandando un grido di trionfo.

Gli altri imitarono quell'ardita manovra, senza badare che se cadevano male potevano fracassarsi le gambe.

Radunatisi tutti sul sentiero, si gettarono a terra, mettendosi a strisciare come serpenti e nascondendosi dietro i massi che incontravano.

– Si dirigono verso di noi! – mormorò Indri. – Non li vedi?

– Per la mia morte! – esclamò Toby. – Siamo stati scoperti!

– Salviamoci nel fiume.

– Ci fucilerebbero prima d'averlo attraversato.

– Rimarremo qui? Ci prenderanno.

– Abbiamo duecento colpi da sparare, e ce ne basteranno quindici o venti.

– Diamo battaglia?

– Sì, Indri.

– A me il primo colpo!

L'indiano s'alzò sulle ginocchia guardando sopra il cavallo. I dacoiti non erano che a cinquanta passi e continuavano a strisciare sul suolo, muovendo verso l'animale.

– Chi vive? – gridò Indri.

– Soldati degli hudi – rispose una voce.

– Allora che il comandante si avanzi solo, onde noi possiamo accertarci se è un soldato del rajah di Pannah.

– Eccomi!

Un uomo s'alzò dietro un masso, ma invece di farsi innanzi, puntò rapidamente il fucile e fece fuoco sull'ex favorito del guicowar.

A quello sparo un altro era rimbombato. Toby aveva fatto fuoco sul traditore, e come sempre non aveva mancato al bersaglio.

Il dacoita si era portato ambe le mani sul petto lasciando cadere l'arma, poi era caduto nel fiume, fracassandosi il cranio sulle rocce sottostanti.

– Sei ferito? – aveva chiesto il cacciatore di tigri ad Indri.

– No, la palla è passata sopra di me.

– Non esporti altro; ora sappiamo con chi abbiamo da fare.

– Non mi mostrerò, Toby.

I dacoiti, spaventati dalla matematica precisione di quel colpo di fucile, avevano arrestata la loro marcia, schiacciandosi, per così dire, contro il suolo, onde offrire meno bersaglio.

– Si sono raffreddati – disse Toby.

– Però non accennano a ritirarsi.

– Quando ne avremo abbattuti sette od otto, vedrai che si decideranno a lasciarci tranquilli.

– E dove sarà Sitama?

– Non occupiamoci di lui, per ora.

– E se allarmato da questi spari tornasse indietro e ci prendesse alle spalle?

– Lo vorrei, Indri.

– Perché, Toby?

– Per ucciderlo con una buona palla in mezzo al petto.

– Guarda!

– Che cosa vedi?

– Alcuni dacoiti cercano di scendere nel fiume per girare la nostra posizione.

– Vediamo un po'; devono passare sotto il fuoco della mia carabina.

Toby alzò la testa gettando un rapido sguardo verso il fiume. Quattro uomini strisciavano lungo la sponda tentando di raggiungere la spaccatura, per la quale poco prima egli era disceso.

– Li vedo – disse. – Ora si scopriranno meglio.

Si allungò meglio che poté, caricò la carabina, poi la puntò verso due rocce, fra le quali dovevano passare i quattro dacoiti.

Una testa si mostrò, poi subito si ritrasse.

– Hanno paura – mormorò Toby. – Si sono accorti che io li aspetto a quel passaggio.

Passarono alcuni secondi, poi la testa riapparve. Il cacciatore di tigri, pronto come il lampo, premette il grilletto.

La detonazione fu seguìta da un grido.

Il dacoita s'alzò di scatto, agitando pazzamente le braccia, poi piombò al suolo.

Subito gli altri tre si slanciarono innanzi per passare sul cadavere e precipitarsi verso la spaccatura, ma anche Indri sorvegliava il passaggio.

S'udì un secondo sparo, ed un altro uomo cadde.

– E tre – disse Toby, mentre i compagni dei due morti retrocedevano precipitosamente. – Non ne rimangono che tredici e abbiamo ancora centonovantasette cariche. Non possiamo lamentarci dei nostri colpi. Ah! Cominciano anche loro! Fortunatamente siamo al coperto.

I dacoiti, furiosi di essere tenuti in scacco da due soli uomini, avevano aperto un fuoco vivissimo.

Le palle entravano, con sordo rumore, nella carcassa del cavallo, senza riuscire ad attraversarlo, non avendo molta penetrazione.

Toby e Indri, sdraiati al suolo, li lasciavano fare, non osando esporsi.

Quando però gli spari rallentavano, alzavano un momento la testa, per vedere se gli assalitori si avvicinavano.

Quella fucilata durò cinque minuti, poi cessò.

Alcuni uomini, credendo che Indri e Toby fossero stati uccisi, abbandonarono i loro nascondigli e si spinsero innanzi.

– Attento – disse il cacciatore di tigri, al compagno. – Vengono! Faremo un bel doppietto. È carica la tua carabina?

– Sì, Toby.

– Preparati a riceverli.

I dacoiti s'avanzavano cautamente, a passi di lupo, tenendosi curvi e stringendo i moschetti. Ogni due o tre passi si arrestavano per ascoltare, poi, rassicurati dal silenzio, tornavano a spingersi innanzi per altrettanti.

Erano cinque, guidati da un capo, a quanto pareva, il quale dava di quando in quando qualche ordine ai compagni.

Toby e Indri non fiatavano: attendevano che quegli avversari si trovassero vicini per fucilarli a bruciapelo.

– Alto! – disse ad un tratto l'uomo che li guidava.

– Lesto, Indri – mormorò Toby.

Balzarono in piedi simultaneamente, scaricando le loro carabine proprio in mezzo al gruppo, che si era arrestato a soli quindici passi.

L'effetto di quella improvvisa scarica fu disastroso. Tre uomini caddero l'uno sull'altro; gli altri, spaventati da quell'inaspettato ricevimento, fuggirono a rompicollo, salutati da due colpi di pistola.

Era troppo per quei banditi.

Senza pensare a far uso dei loro moschetti, si gettarono all'impazzata attraverso la spaccatura, lasciandosi scivolare fino nel fiume, dove si nascosero in mezzo alle scogliere.

– Ecco il momento di andarcene – disse Indri. – Il sentiero ormai è libero.

– Adagio, amico – rispose Toby. – Non facciamoci vedere.

– Perché?

– Per non farci inseguire. Striscia dietro il cavallo, raggiungi quei massi e allontanati tenendoti sempre al coperto. Quei bricconi crederanno che noi non abbiamo lasciato il posto, e non oseranno, per ora, di risalire.

– E noi guadagneremo intanto via.

– Sì, Indri.

– Tu saresti riuscito un famoso generale.

– Ed invece ho terminata la mia carriera col grado di sergente – rispose il cacciatore, ridendo. – In ritirata!

Girarono con precauzione attorno al cadavere del cavallo, poi rincularono fino alla linea dei massi, tenendo sempre gli sguardi fissi sulla riva del fiume, per tema che i dacoiti avessero lasciati i loro nascondigli.

Quando si trovarono sotto l'ombra della parete rocciosa, s'alzarono e si misero a correre a tutte gambe, scendendo il sentiero.

Percorsero così un buon chilometro, tutto d'un fiato, aumentando sempre la velocità, poi si fermarono di comune accordo, indicandosi il fiume.

– Li vedi? – chiese Toby.

– Sì – rispose Indri.

– Che siano quelli che ci hanno assaliti, od altri?

– Ecco quello che vorrei sapere, ma credo che non siano gli stessi. Non muoverti, e vediamo se fra costoro vi è quel maledetto fakiro.