La Nascita della Tragedia/Capitolo XXV

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Capitolo XXIV

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Capitolo XXV.

L’incarnazione della dissonanza. — L’istante. — La bellezza rigeneratrice. — L’antica Ellade. — La gioia e il dolore: le due divinità.

La musica e il mito tragico sono in pari guisa l’espressione della capacità dionisiaca di un popolo, e indivisibili l’una dall’altro. Derivano ambedue da un mondo artistico posto di là dall’apollineo; ambedue trasfigurano una plaga, nei cui concenti dilettosi la dissonanza risuona irresistibile non meno che l’immagine tremenda dell’universo; ambedue giocano col pungolo del tormento confidando nella soverchianza delle loro arti incantate; ambedue giustificano con tale gioco resistenza stessa del «pessimo dei mondi». Qui lo spirito dionisiaco, commisurato con l’apollineo, si rivela come l’eterno potere artistico primordiale, che in genere chiama all’esistenza l’intero mondo del fenomeno, nel cui seno s’impone la necessità di una nuova illusione trasfiguratrice per mantenere in vita il mondo fluente dell’individuazione. Se potessimo immaginare un’incarnazione della dissonanza divenuta uomo (e che cos’altro mai è l’uomo?), cotesta dissonanza, per vivere, avrebbe bisogno di una splendida illusione, che coprisse di un velo di bellezza la sua propria natura. È questo il vero fine artistico di Apollo, sotto il cui nome sussumiamo tutte le innumerevoli illusioni della [p. 213 modifica] bella parvenza della realtà, le quali in genere rendono per ogni istante l’esistenza degna di essere vissuta, e la spingono a vivere l’istante, di attimo in attimo.

Perciò di quel fondamento di tutte le esistenze, di quel sostrato dionisiaco del mondo non può pervenire altro sentore alla coscienza dell'individuo umano, se non precisamente quanto la forza trasfiguratrice apollinea è in grado di dominarne; talmente, che questi due istinti artistici sono costretti a svolgere le rispettive energie nella più rigorosa misura di reciprocità, secondo la legge dell’eterna giustizia. Quando le potenze dionisiache si sollevano a tempesta, quali noi ora le sperimentiamo, bisogna pure che Apollo, avvolto in una nube, sia già disceso verso di noi; e una prossima generazione ne contemplerà certamente le più rigogliose opere di bellezza.

Che questa azione della bellezza sia però necessaria, lo intuisce con la maggiore certezza ognuno che, sia pure in sogno, si senta vivere in pieno mondo dell’antica Ellade. Passeggiando nel portico tra gli alti colonnati ionici, guardando lontano l’orizzonte tagliato dalle pure e nobili linee, specchiando rischiarato il volto nei marmi luminosi, vedendosi intorno uomini dal passo maestoso o dall’andatura leggiadramente spedita accompagnare col gesto ritmico e spontaneo il suono della parlata armoniosa, oh! davanti a quest’onda perenne di bellezza, egli eleverebbe le mani ad Apollo esclamando: «O beato popolo degli elleni! Quale potere enorme sopra [p. 214 modifica] di voi ha dovuto avere Dioniso, se il dio deliaco tenne necessario un tale incantesimo per guarirvi dalla follia ditirambica!». Ma a lui che così parlasse, un vecchio ateniese, figgendogli in viso il sublime occhio di Eschilo, saprebbe osservare: «O singolare straniero, aggiungi anche questo: quanto ha dovuto soffrire un tal popolo, per poter diventare tanto bello! Ed ora seguimi alla tragedia, e sacrifica con me nel tempio delle due divinità!».

FINE.