La Palingenesi di Roma/La Creazione/I. L'annalistica dei primi secoli

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I. L'annalistica dei primi secoli

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I.


L’ANNALISTICA DEI PRIMI SECOLI.


Nel De Oratore di Cicerone Antonio domanda, a un certo punto, se per scriver di storia sia anche necessario essere un buon oratore, e Catulo gli risponde:

«È necessario, se si scrive alla maniera dei Greci, ma secondo la nostra non c’è nessuna ragione di far dell’eloquenza: basta non essere falsi».

«Non disprezzare i nostri» replica Antonio. «Anche i Greci scrissero in principio come Catone, come Fabio Pittore, come Pisone. La storia non era altro che una fabbrica d’annali; e per questo, cioè per conservare le pubbliche memorie, dalle origini di Roma fino al pontificato di Mucio, il Pontefice massimo raccoglieva tutti gli avvenimenti dei singoli anni, li scriveva nell’albo e poneva dinanzi alla sua casa la tavola, perchè il popolo potesse consultarla. Son quelli che si chiamano anche oggi annali massimi. E molti seguirono questo stile lasciando senz’ornarlo soltanto il ricordo dei tempi, degli uomini, dei [p. 6 modifica] luoghi e delle imprese. Perciò come i Greci hanno Ferecide, Ellanico, e Acusilas, così noi abbiamo Catone, Pisone e Fabio Pittore, che non sanno come ornare un’orazione (da poco infatti è stata importata presso di noi quest’arte); e purché si capisca quello che dicono, credono che bisogna soltanto ricercare la brevità».1

Questo passo ci dimostra che si conoscevano a Roma due modi di scrivere la storia: uno più antico, e più schiettamente romano, più rigidamente ufficiale, che non si elevava fino al racconto, ma si contentava di notare gli eventi, in uno stile diremmo quasi scheletrico se non stenografico; l’altro più recente, di origine greca, che apparteneva all’eloquenza, intesa non nel senso stretto, come arte del parlare in pubblico, ma nel suo senso largo, come arte del buon comporre e del narrare ornato.

Così infatti Cicerone, un po’ più innanzi, ritratta lo storico oratore:

«Non vedete che la storia è uno dei compiti maggiori dell’oratore, quello che richiede maggiore ricchezza e varietà di stile... Chi ignora che la prima legge della storia è di non tacere mai il falso e di dire sempre il vero, evitando il sospetto di parzialità? Questi fondamenti sono noti a tutti: i materiali son le cose e le parole. L’esposizione dei fatti richiede l’ordine dei tempi, la descrizione dei luoghi, e poiché negli avvenimenti importanti e degni [p. 7 modifica] di memoria ci si aspetta prima di conoscerne il disegno, poi l’esecuzione e il risultato, lo scrittore deve prima enunciare la sua opinione sul disegno, e poi narrando l’esecuzione dichiarare non solo ciò che è stato detto o fatto, ma anche in che modo; e quanto al risultato, elencarne le cause tutte, o il caso o le prudenze o le temerità dei personaggi; infine non solo raccontare le imprese, ma se essi eccellono per fama o per nome, studiarne la vita e l’indole. Lo stile e il genere del discorso deve essere «fusum atque tractum», scorrevole con una certa misurata dolcezza; senza quella asprezza e quelle punte maligne proprie dell’eloquenza forense».2

È facile riconoscere nel munus oratoris di Cicerone, quella che noi chiamiamo la storia artistica, ascritta alla famiglia dei più nobili generi letterari, e contrapposta per questo, allora come ora, alla nuda e asciutta cronaca dei fatti positivi, sollecita solo di raccontare con una certa minuzia. La storia artistica entrò tardi in Roma, dove per lunghi secoli la rude annalistica aveva signoreggiato senza rivali, d’accordo con la tenace diffidenza dell’aristocrazia per tutte le forme dell’intellettualismo greco. Il maggior numero degli storici più antichi, di cui la tradizione ci ha trasmesso i nomi, appartiene all’annalistica. Ma se la storiografia artistica entrò così tardi a Roma, quando Roma, maturata ormai al dominio da una lunga esperienza di guerre, di contese [p. 8 modifica] politiche, di rivoluzioni, sede di un pensiero politico e di una direzione morale di valore universale, era già il centro e il cervello di un vasto impero; quando ci entrò finalmente, in questa atmosfera satura di una così grande esperienza storica, generò tre grandissimi scrittori — Sallustio, Tito Livio, Tacito — che noi dobbiamo studiare, perchè in essi e per essi lo spirito di Roma ha sopravvissuto alla rovina della civiltà antica, come un elemento creatore dei tempi nuovi, di cui noi siamo i figli, forse degeneri e parricidi. Quel che noi dobbiamo agli storici romani, lo dobbiamo a Sallustio, a Tito Livio ed a Tacito.

  1. De Oratore, II, 12.
  2. De Oratore, II, 15.