La Perla Sanguinosa/Parte seconda/8 - Una lotta spaventosa

Da Wikisource.
../7 - Il quarto di guardia di Jody

../9 - Sul Kalawa IncludiIntestazione 29 luglio 2016 75% Da definire

Parte seconda - 7 - Il quarto di guardia di Jody Parte seconda - 9 - Sul Kalawa

8 — Una lotta spaventosa


Jody, come abbiamo detto, non avendo veduto nulla di sospetto e certo di essersi ingannato, aveva fatto ritorno all'accampamento, riprendendo il suo posto e aspettando pazientemente il suo turno per cacciarsi sotto la tenda.

Non erano però trascorsi dieci minuti, che era stato costretto ad alzarsi nuovamente. Verso il fiume gli era sembrato di udire un certo brontolio, tale da metterlo nuovamente in sospetto. Risoluto questa volta a scoprire la causa di quel rumore, si era nuovamente diretto verso la sponda, colla ferma convinzione di essere spiato da qualche animale feroce.

Vi era appena giunto, quando gli sembrò di scorgere dall'altra parte del corso d'acqua qualche cosa di nero scivolare sotto l'ombra delle piante.

Come tutti i negri ed i mulatti, aveva una vista abbastanza acuta. Fu allora che lanciò il primo grido, obbligando l'irlandese a far fermare di colpo la scialuppa.

Non ricevendo alcuna risposta, il bravo mulatto, convinto che qualche battello cercasse di passare inosservato dinanzi all'accampamento e temendo che fosse montato da quei formidabili selvaggi a cui aveva accennato il malabaro, dopo aver chiamato ripetutamente Moselpati, potendo anche darsi che fosse giunto, aveva risalito la riva, non già coll'idea di rinunciare alla sua sorveglianza.

Voleva assolutamente accertarsi se si era ingannato o se realmente si trattava di un'imbarcazione.

Finse così di avviarsi verso l'accampamento; invece, appena raggiunti i primi alberi, si slanciò nella foresta, risalendo il corso del fiume per circa mezzo chilometro.

Si era impegnato in mezzo ad un caos di cespugli, quando udì dietro di sé un rumore di foglie e di rami scossi, che gli fece battere fortemente il cuore.

«Qualcuno mi ha seguito, — mormorò, imbracciando la carabina. — Che sia uno degli uomini che montavano quella misteriosa scialuppa? Temo di aver commesso una grande sciocchezza a non svegliare Palicur ed il signor Will. Se li sorprendessero nel sonno?»

Un'angoscia inesprimibile si impadronì del mulatto. Era necessario tornare al più presto e far alzare i suoi compagni: però pel momento la cosa non era facile, perché aveva la ritirata tagliata.

Tuttavia non era persona da rimanere a lungo perplessa, e prese subito la sua risoluzione.

«Torniamo, girando il bosco, — disse. — Se mi assalgono, mi difenderò.»

Volse le spalle al fiume senza più occuparsi della scialuppa e s'internò nella foresta, guardando dietro di sé.

Percorse una cinquantina di passi, poi tornò a udire a breve distanza un fruscio di foglie secche, come se qualcuno le calpestasse, ed un rumore di canne spezzate.

Si fermò subito, gridando:

«Chi va là?»

Nessuno rispose, poi mentre era in procinto di rimettersi in cammino, udì per la terza volta stormire le fronde e poco dopo un animale di dimensioni enormi gli cadde di balzo dinanzi, a soli quindici passi.

Jody si sentì rimescolare il sangue. Soffocò però subito lo spavento, preferendo dover affrontare un animale piuttosto che un drappello di quei terribili Vadassi. Si appoggiò contro il tronco d'un albero, tenendo il fucile spianato, e guardò attentamente l'avversario che lo fissava, con due occhi fosforescenti, dai bagliori verdastri.

Non ci volle molto al disgraziato per capire con quale animale aveva a che fare. Aveva dinanzi a sé una tigre mostruosa. La belva teneva la coda bassa, aveva le fauci spalancate e dondolava la testa con movimento ritmico e terribile.

Rimase un istante in quella posa, senza staccare dal mulatto i suoi occhi che pareva diventassero sempre più fosforescenti, poi tese bruscamente la coda e si slanciò con un salto immenso.

Jody l'aspettava a piè fermo, risoluto a vendere cara la vita. Cercò di allontanare il pensiero del pericolo e di tirare con calma e fece fuoco due volte, essendo la sua carabina a doppia canna.

La belva mandò un urlo spaventoso che si ripercosse sotto la volta di verzura, e fuggì a grandi salti verso il bosco.

«Credo che ne abbia abbastanza,» mormorò il mulatto, asciugandosi la fronte madida di sudore.

Ricaricò rapidamente la carabina e, sicuro di non venire più disturbato, ritornò verso il fiume, seguendone la riva.

Will e Palicur dovevano aver udito quei due spari e certamente si erano alzati. Voleva quindi rassicurarli.

Aveva invece fatto i conti senza tener conto della fame e dell'ostinazione della belva. E infatti doveva trovarsi ancora a quattrocento metri dall'accampamento quando, con sua grande sorpresa, se la vide ricomparire dinanzi.

«Che l'abbia ferita solo leggermente?» si domandò, indietreggiando.

Cercava un rifugio senza riuscire a trovarlo. A sinistra aveva il fiume, incassato fra due alte rive; di dietro e a destra ammassi di cespugli bassi che non potevano offrirgli alcun riparo nel caso d'un nuovo attacco.

La tigre gli si era posta di fronte e s'avanzava brontolando sordamente. Il suo corpo si allungava e si accorciava come quello d'un serpente; colla coda si sferzava violentemente i fianchi e colle unghie graffiava il terreno come se volesse scavare una fossa.

Jody mandò due grida:

«Signor Will! Palicur!»

Un urlo orrendo mandato dalla belva le coprì. Annunciava l'assalto.

«A te, allora!» esclamò Jody.

E fece partire quasi simultaneamente i due colpi della sua carabina. Non poté vedere l'effetto di quella seconda scarica, poiché si sentì subito urtare poderosamente dal corpo mostruoso della tigre.

L'imminenza del pericolo, invece di paralizzarlo, gli diede una forza più che sovrumana.

Rivoltandosi rapidamente su se stesso, riuscì a liberarsi dalla stretta del formidabile animale e, trovandosi sull'orlo dell'alta riva, si lasciò scivolare nel fiume colla speranza di avere il tempo di guadagnare l'altra riva.

Per sua sventura le acque in quel luogo erano assai basse per lungo tratto e l'animale, che doveva essere sfuggito a quelle nuove scariche, lo seguì cercando di raggiungerlo.

Il povero mulatto, semi-nascosto fra le piante acquatiche che erano numerose in quel luogo, si avanzava pian piano, vigilando sempre i movimenti dell'animale, e già stava per raggiungere le acque profonde, quando la tigre lo raggiunse e con un colpo di zampa lo immobilizzò.

La scossa fu così violenta che la carabina gli sfuggì dalle mani. D'altronde quell'arma non gli era più d'alcuna utilità, essendo la polvere ormai bagnata.

L'aspetto della belva era terribile. Resa furibonda dalle ferite riportate dalle due prime scariche, che le avevano prodotto due squarci, uno sulla fronte e l'altro presso la spalla sinistra, mugolava ferocemente e i suoi denti scricchiolavano.

Jody impugnò risolutamente il coltello da caccia, un'arma di fabbrica cingalese, larga parecchi pollici e coll'estremità quadra anziché acuta, e si mise a menare colpi disperati, tentando di decapitarla.

Fu nuovamente afferrato e le unghie della fiera gli laceravano la casacca ed insieme la carne, mentre le fauci spalancate gli alitavano in viso un soffio ardente e corrotto.

La spaventevole lotta in mezzo alle acque durò pochi secondi. Il coltellaccio di Jody ogni volta che cadeva produceva ferite orribili dalle quali il sangue sgorgava a torrenti.

L'acqua intorno ai due combattenti era tutta rossa.

Ad un tratto la belva allargò la stretta, mandò un ultimo au-ugh e stramazzò sul fondo del fiume, rimanendo semi-coperta dalle acque. Quasi nel medesimo istante il valoroso mulatto udì una voce gridare:

«Jody!... Jody!»

«Palicur!» ebbe appena la forza di rispondere il disgraziato, che si sentiva mancare rapidamente le forze.

Due ombre umane si lasciarono scivolare giù dalla riva e lo ricevettero fra le loro braccia.

«Ventre di pescecane! — esclamò il quartiermastro della Britannia, sentendosi bagnare le mani da un getto tiepido. — È sangue questo! Ehi, Jody, che cosa è successo?»

Il mulatto borbottò qualche parola incomprensibile, poi s'abbandonò svenuto fra le braccia robuste di Palicur.

«È ferito, signor Will!» gridò il malabaro, spaventato.

«Me ne sono accorto, — rispose il quartiermastro, lanciando intorno un rapido sguardo. — Ah! Comprendo! Il disgraziato è stato assalito da una tigre! Guardala là, Palicur! Era stato lui a far fuoco sulla terribile belva. Presto, portiamolo all'accampamento. Può essere stato ferito gravemente.»

Il malabaro, che come abbiamo detto aveva una forza più che straordinaria, prese il mulatto e risalì la riva seguito dal quartiermastro, che aveva raccolto la carabina ed il coltello da caccia, quantunque si trovassero sott'acqua.

In un lampo attraversarono la distanza che li separava dall'accampamento e giunti presso il falò, che non si era ancora spento, denudarono il mulatto.

Lo svenimento era stato prodotto più dall'emozione della lotta che dalle ferite, poiché quantunque la giacca di grossa tela, assai resistente, fosse stata stracciata in più luoghi, l'uomo non aveva riportato che delle graffiature, piuttosto profonde, alle braccia ed alle spalle.

«Nulla di grave, — disse il quartiermastro. — Portami dell'acqua e straccia una manica della tua camicia. Domani quest'uomo potrà seguirci, se la scialuppa giungerà.»

Palicur discese nel fiume e riempì una fiasca. Il quartiermastro lavò accuratamente le ferite e le fasciò per bene, poi fece inghiottire al mulatto una sorsata di gin.

Un fragoroso sternuto, accompagnato da un colpo di tosse, avverti i due ex-forzati che il loro compagno stava per tornare in sé.

«È solido questo mezzo negro e mezzo bianco,» disse Will ridendo.

«E coraggioso, — aggiunse Palicur. — Deve aver sostenuto una lotta corpo a corpo con quella tigre.»

Jody riaperse gli occhi. «È morta?» chiese, cercando di alzarsi.

«Credo che a quest'ora abbia già fatto la sua entrata nei paradiso dei felini, ammesso che ve ne sia uno, — disse Will. — Perbacco! Come l'hai conciata, mio bravo Jody!»

«L'ho uccisa?»

«Sta bagnandosi nel fiume.»

«Che paura, signor Will. Mi aveva afferrato così strettamente che non ero più capace di levarmela d'attorno.»

«E perché sei andato così lontano? — chiese Palicur. — Potevi prima destarci.»

«Ho lasciato il campo perché mi pareva d'aver scorto una scialuppa radere la riva opposta, e volevo assicurarmene.»

«Una scialuppa! — esclamò Will. — Sei ben certo di non esserti ingannato?»

«Non posso affermarvi di averla proprio veduta. Può darsi che fosse invece qualche grosso coccodrillo.»

«O qualche canotto montato da pescatori Vadassi, — disse Palicur. — Non dobbiamo troppo inquietarci. Quando quei selvaggi sono in pochi, non osano assalire.»

«Ricoricatevi, signor Will, e tu cerca di riposare, Jody. Io monto il mio quarto di guardia.»

«Potrai dormire?» chiese il quartiermastro al mulatto.

«Le ferite non mi danno fastidio, signore. Noialtri abbiamo la pelle dura e siamo meno sensibili degli uomini bianchi.»

Lo portarono sotto la tenda, su un ammasso di foglie fresche e profumate, poi il malabaro si sedette accanto al fuoco, cominciando il suo quarto.

Nessun altro avvenimento turbò il riposo degli accampati.

Poco dopo il sorgere del sole, Will, a cui spettava l'ultimo quarto, udì verso la foce del fiume un fischio acuto che annunciava l'arrivo di una scialuppa a vapore.

Cinque minuti dopo una bella imbarcazione, montata dal mandah e da sei vigorosi indiani, che rimorchiava una piccola pinassa, si arrestò presso la riva occupata dai tre ex-forzati.

«Buon giorno, amici, — gridò Moselpati, risalendo la sponda. — Date la colpa ai venti contrari se abbiamo tardato a giungere.»

«Hai caricato tutto?» chiese Palicur, che si era affrettato a uscire dalla tenda.

«Avete viveri, armi, tende, coperte, tutto ciò insomma che occorre per un lungo viaggio in regioni deserte.»

«Anche la spingarda?» chiese Will.

«Con cinquecento cariche,» rispose il pescatore di perle.

«E del Guercio, hai avuto più notizie?»

«Nessuna, Palicur. L'ho fatto cercare invano nella Città delle perle. Speriamo che sia andato a farsi impiccare lontano da Ceylon. Quando contate di partire?»

«Fra qualche ora, — rispose Palicur. — La tua barca t'aspetta al largo?»

«Sì ed ho fretta di tornarmene al banco di Manaar. Ho perduto già troppi giorni e fra due settimane la pesca si chiuderà definitivamente.»

«Facciamo almeno colazione insieme prima, — disse Will. — sarà il pasto d'addio.»

I quattro indiani, dopo aver legato la scialuppa a vapore e la piccola pinassa, finirono di fare a pezzi il porco selvatico ucciso il giorno innanzi dal malabaro, e allestirono in breve tempo un'abbondante colazione, aggiungendo alle costolette dei pesci freschi che avevano preso alla foce del fiume e alcune bottiglie tolte dalle provviste che avevano portato.

Jody, che non pareva soffrisse molto per le sue ferite, partecipò al pasto facendosi onore.

A mezzodì i tre ex-forzati presero posto nella scialuppa a vapore che era ben fornita di carbone e la cui macchina era sotto pressione, mentre il mandah e i quattro indiani s'imbarcavano sulla piccola pinassa.

Si scambiarono gli ultimi addii, poi la scialuppa si staccò dalla riva risalendo velocemente il fiume, mentre i pescatori di perle tornavano alla loro barca.