La Signora di Monza/Conchiusione

Da Wikisource.
Conchiusione

../Epilogo ../Indice delle materie e delle date IncludiIntestazione 29 marzo 2024 100% Da definire

Epilogo Indice delle materie e delle date
[p. 167 modifica]

CONCHIUSIONE

[p. 169 modifica]





Supponiamo ch’io vada ascritto alla famiglia dianzi poderosa, però sempre vegeta, degli eruditi puro sangue; di que’ che negli uomini consideran anzitutto le vesti, nelle città gli edifizj, ne’ libri l’edizione, ne’ popoli le quantità statistiche, nel genere umano lo spignersi materiale delle ondate delle razze;

oppur che mi trovi arruolato all’esercito dei sofisti di buona volontà, che dall’alto di lor sistemi d’antropologia senza viscere, di filosofia senz’anima, di religione senza Dio, frugate le origini a traverso lor lenti da miope, indi chiamati i secoli a sfilar ossequiosi per entro la babelle de’ lor sistemi, gettano alteri e noncuranti un pugno di quel loro fango in viso al Cristianesimo ed alle sue istituzioni;

oppur che appartenga alla clamorosa scuola di letteratura, che, professando l’arte per l’arte, nei campi della immaginazione, ne’ regni della natura unicamente aspira a mercarsi l’oro, cui le carezzate passioni profondono:

nell’una o nell’altra di coteste ipotesi, cadutomi tra mano il processo originale della Signora di Monza, qual uso ne farei?

Erudito senza cuore, lo riguarderci qual miniera di genuine minute notizie sulle fogge d’abitare, vestire, cibarsi, diportarsi, così della plebe, come del patriziato nel [p. 170 modifica] Seicento: provvederei di annotare frasi, gerghi, proverbj, interrogati più diligentemente i mozzi di stalla dell’Osio, i portinai di santa Margherita, i molinari del Lambro, i vignajuoli di Velate, che la Signora, l’Osio, il Lancillotto, il Borromeo; fatta ragione più di sigle, caratteri, formule, che delle strazianti confessioni di suor Virginia, o dei rimorsi di suor Ottavia morente:

letterato senza coscienza, domanderei alla tavolozza i colori più vivi, alla tela i contorni più lussurianti: la santità violata del Chiostro, le sagre tenebre della Chiesa profanate mi fornirebbero sfondo acconcio all’atteggiarsi di gruppi mossi da iniqui appetiti; domandato ai candidi lini monastici rinvigorimento alla infernale espressione de’volti, chiesta al panneggiarsi delle nere tuniche vibratezza al contorcersi, o agonizzar delle membra, ritratta, in una parola, cornice di ribaldi drammi da pareti decorate di ascetiche immagini e devote rappresentazioni: il lettore conquiso dalla potenza del mio tocco forse che mi decorerebbe del titolo di buon discepolo del Grande, che seppe convertire Nostra Donna di Parigi in un vestibolo dello inferno:

sofista senza Dio, che non saprei immaginare e scrivere! da quella pallida fanciulla de’ tempi evangelici, cui Goethe evocò malediccnte il voto materno che la dannava alla verginità, sino ad Eloisa, che, ne’ ricorrenti delirii della cella, imprecava le assaggiate e perdute dolcezze d’amore, sino a questa Monaca tremenda, cui libidini c assassinii reser famosa, qual belletta non rimesterei per cavarne — il Cristianesimo, nemico della felicità del genere umano, essersi valso del monachismo a comprimere, a schiacciare ciò che nel cuore umano si accoglie di più sensitivo e vitale! —

Erudito senza cuore, letterato senza coscienza, sofista senza Dio, lieto d’essermi imbattuto in un suggetto peregrino, e che altri rese illustre a mio pro, qual’è la Monaca di Monza , poiché l’avrei vestito a modo mio ad infarcir [p. 171 modifica] pagine (per giunta decorate delle più pruriginose creazioni di matite o bulini) darei fine al mio lavoro con frasi artificiose, entro le quali velatamente adagierei, così la fatua compiacenza dell’opera mia, come quell’ invito che i romani istrioni lanciavano agli spettatori in accomiatarli, ed or applaudite!...

Epperò, siccome io mi tengo ad onore che il mio nome non vada scritto nei ruoli di veruna delle summentovate famiglie, nonostante che le scorga maggiorenti nella incomposta repubblica letteraria, il mio lavoro, che pur esso aspira ad una chiusa atta a sempre più amicarmi i lettori la cui anima risponde alla mia, ecco che deliberatamente imprende a domandare tal chiusa ain ordini d’idee che mi sono più sacri, quelli da cui mi provviene la convinzione della osservanza dovuta a Dio, ed alla sua Legge.

...Ma parmi vedere ironico sorriso avvisarmi, che, nella foga del mio fanatismo, già già scambio la cattedra spesso spregiata, lo scanno spesso fischiato dell’uom di lettere, in torreggiante irresponsabil pulpito sacerdotale...

Quel sorriso non m’induce a silenzio; conciossacchè da molti anni contrassi abitudine di reputare che la letteratura, appo gli onesti, sia appunto un sacerdozio.

Ecco, pertanto, la conchiusione del mio scritto, ch’è ad un tempo la risposta a’ sorridenti.

La terribile storia, che vi ho rivelata senza belletti e lenocinii, non avrà saputo, o signori, non chiamarvi qua e là ad un pulpito cruccioso: or fate di fecondarlo! al qual uopo v’invito a considerar tre grandi verità; le due prime dal senno de’ prischi Vati pagani formulate nel principiis obsta con quanto segue, e nel raro antecedentem scelestum, pede licet claudo, pœna deseruit comes, qual l’udiste or ora ripetuto dal buon Ripamonti: la terza verità, poi, è onninamente cristiana, e suona — infinite essere le misericordie del Signore, le quali avanzano ogni aspettazione, e trascendon ogni misura... [p. 172 modifica]Sorridete da capo... sì, gli è un sermoncino, ne convengo... comportatevelo in pace; sarà breve.

Primo punto. — Principiis obsta... Davide oziava su d’una terrazza lorchè gli venne veduta in soggiacente giardino la sposa d’Uria, e si fermò incauto a guardarla; n’avvenne che cadde in adulterio, e l’adulterio lo trascinò all’omicidio: or bene, non vi par egli d’ugual tenore, similmente pregno di non dissimili nequizie l’affacciarsi furtivo della Signora di Monza al finestrino da cui pegli occhi le penetrò nel cuore quella vampa d’inferno?

Secondo punto. — Raro antecedentem scelestum, etc. Ma la pena insegue il reo, e, benchè zoppa, finisce a ghermirlo. L’ Osio fu denunziato da Ottavia, da Benedetta uscite quasi paurosi spettri di là dov’ei diede opera di vive seppellirle: di là uscì anco il teschio accusatore di Caterina da Meda: Giampaolo in casa amica fu colto a tradimento da quella medesima maniera di morte che aveva inflitta alla sua vittima...

Terzo punto. — Ma com’è ineffabile la bontà del Signore! come sono riuscenti le fiducie delle anime che a Lui si volgono! Ecco due infelici su cui impende la morte, che si genuflettono alla Madonna delle Grazie (qual presagio nel nome!): pochi istanti dopo son precipitate... son salve!... La misera, ch’è protagonista alla paurosa tragedia, invia a Loreto una tavoletta votiva in segno di dolore, di domanda... e il suo pianto ha trovato grazia presso Lei che tanto pianse benchè innocente!... Quattro orrende carceri ricettan quattro femmine omicide; calce e sassi dividon le sepolte dai vivi; di là non denno uscir che cadaveri... ma, quel muro cade pria che induri... e n’escono quattro Sante!...

Mi fu detto — tu rendi il devoto onore all’intervento della Misericordia Divina, mercè cui quelle disgraziate Monache dal fondo della nequizia si rialzarono a pentimento e salute: tu affronti coraggiosamente un dramma lugubre [p. 173 modifica] di cui altri avrebbe potuto di leggeri valersi a denigrazione del monachismo, per difendere questa nobile istituzione, e mondarla da ovvii rimproveri, da vulgate accuse; sta bene; temo però che dallo assieme del tuo scritto possa, per avventura, scendere in mente a’ lettori la seguente opinione — ben iscaduti e magagnati doversi reputare a que’ giorni i conventi se maturavano di tai frutti: erano dunque riuscite vane le riforme operate poc’anzi dal maggior Borromeo? —

Rispondo.

Il monachismo somiglia albero, che oggi depone questa foglia inaridita, domani quel ramo essicato; Il sapiente giardinier che l’ha in cura, avanti che ramo o foglia, recato ingombro o sconcio alla sempre viva e fiorente chioma della simbolica pianta, si stacchino da sè, recideli al primo segno che danno di volersi guastare: a questo modo i Templari, poichè cominciarono a corrompersi sotto il sole dell’Asia, venner soppressi; e sì che loro legislatore era stato san Bernardo; così gli Umiliati andaron disciolti da san Carlo, perchè s’erano discostati da’ lor primi principii.

Benedettine Umiliate eran le Religiose di santa Margherita di Monza: qualche cosa della corruzione del principal tronco avviseremmo che s’infiltrasse in questo tralcio, cui la mitezza del gran Borromeo aveva lasciato sussistere: ivi convenivano ad esser educate nobili fanciulle milanesi, che seco traevano dannose vanità secolaresche, e pericolosi interventi di consanguinei. Se un qualche chiostro, soggiacque a falsificazione (però infrequente) della propria natura, a deviazione (sempre clamorosa) dal proprio scopo, questi furon effetti direttamente causati dalla corruttela del laicato: i monasteri si elevavano in grembo alla società secolaresca come isole di rifugio in mar procelloso, come oasi verdeggianti per le arene del libico deserto: che se la tempesta talora subbissò le isole, o turbini di sabbia seppellirono le oasi, accagionerem le affondate della subìta ro[p. 174 modifica]vina? Non era infrequente che fanciulle sagrificate a calcoli d’ambizione, d’avarizia, venissero allora trasferite dai sogni dorati dell’ adolescenza, ai silenzii austeri della cella, da nascenti amori all’isolamento della clausura, cui tosto popolavano de’ fantasmi d’una cupa disperazione, d’un irraffrenabil desiderio; e guai se lor si presentava il destro di attuar que’ fantasmi! Ma, dico io, se nella nidiata d’un tortore, divoratine gli ovi, un’ aspide deponesse i suoi, accuseremmo di pervertita natura la specie dell’inconscio pennuto perchè dagli ovi ch’ei covo aspidi anzichè tortore escirono?

Quando san Carlo soppresse gli Umiliati, fu visto fondare gli Oblati, e favoreggiare i primordii de’ Barnabiti, quelli riuscenti apostoli contro le minaccie dell’eresia scendenti dai Grigioni; questi esimii educatori di giovani, e, mercè la predicazione, rinfervoratori di cristiane virtù in ogni classe. Nella vicina Orzinovi Orsola Meriggi ponevasi madre della gran famiglia a cui diè nome, dalla qual le fanciulle popolane continuano anche oggi a ritrarre gl’insegnamenti primi, così delle industrie proprie della lor condizione e del loro sesso, come delle virtù che nobilitano la indigenza, e letificano la stessa sventura. Questi, a compenso d’un ramoscello reciso, erano i rami del gran tronco monastico sbocciati e germogliati robusti entro i ristretti confini della Lombardia: ma la Cristianità è una come Dio; e, se consideriamo il monachismo qual fu a’ giorni della Signora di Monza ci consolerà scernere che il punto nero ch’ella segnò negli annali di quello va sommerso nella luce attorniante. Vincenzo de’ Paoli, Francesco di Sales, Giovanna Francesca di Chantal creavano e ordinavano in Francia poderose sagre famiglie intese a distribuire per le capanne, nelle carceri, negli spedali i più illuminati conforti, famiglie, a taluna delle quali perfino i veli furono interdetti acciò potessero guardar meglio in faccia ogni umana sciagura, comprenderla, alleviarla... Il [p. 175 modifica] Calasalanzio, Filippo Neri, Gerolamo Emiliani illustravano, beneficavan l’Italia colle Scuole Pie, cogli Oratorii, colle Missioni: in Ispagna lo spirito di Pier d’Alcantara e di Teresa s’era trasfuso in Giovanni di Dio, degno del duplice nome dacchè fondò l’Ordine che si appella dal beneficare che fa i fratelli in Cristo: Kosta, e Bobola, l’un angelo, l’altro martire, ambo monaci, aveano brillato nel Settentrione: l’Americhe, l’Indie s’erano popolate di missionarii usciti da chiostri; e sulla cattedra di san Pietro sedeva un Frate a’ cui piedi erano state deposte le bandiere che i Mussulmani perderono a Lepanto, quel dì che fu primo al loro irreparabil tramonto...

Ricche compensazioni concesse Dio a Carlo e Federico Borromei: lamentarono polluti alcuni conventi, ma benedissero fondati, e fiorenti grandi sodalizii monastici; inorridirono d’alcuni delitti, ma li consolò il fervore cresciuto appo l’universale: le stesse traviate di santa Margherita di Monza non fecer csse gustare al buon Pastore la ineffabile contentezza di tal conversione che le restituiva purificate all’ovile?