La castalda/Lettera di dedica

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Lettera di dedica

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La castalda L'autore a chi legge
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A SUA ECCELLENZA

IL SIGNOR

MARCELLO DURAZZO

del fu Eccellentissimo Gian Luca

PATRIZIO GENOVESE1.


V
IVEVA ancora per gloria della Patria sua, e consolazione di quelli che venivano da lui protetti, l’Eccellentissimo Signor Girolamo Durazzo, Suocero dell’E. V., allora quando ebbi l’alto onor di conoscerla, e di dedicarle l’umilissima servitù mia. Passò a miglior vita quell’adorabile Cavaliere, e siccome la cosa più cara ch’egli avesse fra i suoi tesori al mondo era l’E. V., lasciò in lei un’immagine di se stesso, e in lei le speranze si radicarono di coloro che sotto il di lui patrocinio vivevano. I benefizi che ho da lui ricevuti, mi hanno fatto piangere la di lui morte, e son certo che pianto lo averanno moltissimi, poichè la pietà ch’egli usava verso di tutti, lo rendeva caro ad ogni ordine, necessario alla Patria, e consolatore degl’infelici.

Permesso a me non fu, fin ch’ei visse, di dargli un pubblico testimonio del grato animo mio, poichè superato non aveva ancora il rossore di esporre i parti miei alla luce, ma nell’annoverare ch’io faccio il nome grande di V. E. fra quelli de’ respettabili Protettori miei, spero che la bell’anima collocata in alto glorioso seggio se ne compiaccia, e l’umile ossequio mio in verso l’E. V. gradisca. Faccia egli così che il di lei cuore magnanimo benignamente lo accetti, e della miserabile offerta non isdegnandosi, la protezione sua mi continui. E come temere io posso che ciò a [p. 104 modifica]gloria mia non accada, se alle belle virtù del di Lei animo vo riflettendo? So anche di più, per eccesso di vera consolazione, che le Opere mie discare all’E. V. non sono; so che le ha piacevolmente ascoltate e lette, e so altresì che vanno colla di lei autorevole approvazione per cotesto colto Paese accreditate e felici. Genova abbonda egualmente di Virtù e di Ricchezze, e l’uno e l’altro di questi pregj la rendono rispettabile e invidiata. Essa non ha un erario solo, onde far pompa di sua grandezza, ma gl’infiniti tesori sparsi fra i doviziosi suoi Concittadini, formano all’occasione una ricchezza unita, pronta al sagrifizio per la salvezza comune; siccome le varie virtù, che costì regnano in sommo grado, della pietà, del valore, della giustizia, oprano di concerto per la conservazione de’ propri diritti e per aumento della sua gloria. Per dar un’idea di cotesto illustre Paese, basterebbe, a chi non ne avesse notizia, propor per modello l’E. V., che ha le ricchezze in casa e le virtudi nel cuore, e sa di queste e di quelle far sì modesta pompa e sì profittevole uso. Una sì eccelsa casa, a cui la provvidenza i suoi tesori profuse, ma di questi usa farne la più lodevol distribuzione, mantiene e fa istruire parecchi Giovani in un Collegio contiguo alle proprie mura, dalla Famìglia eretto. Alimenta in pio Conservatorio grosso numero di Donzelle. Doti distribuisce a oneste Spose, a Vergini Religiose. Aumenta il culto Divino nei sacri Templi; soccorre infiniti poveri con elemosine quotidiane, generose, importanti; indi adempito a quanto la Cristiana Pietà insegna, splendono in ogni angolo del suo Palazzo gli ori e gli argenti, e le preziose suppellettili sono in delizioso ordine distribuite; ed a comodo della Città, un vago, rinomato Teatro2 apresi fra le sue domestiche mura. Per supplire egualmente a tante varie grandiose spese, convìen dire che dilatati sieno i confini di un’ordinaria ricchezza; ma benedetta sia la mano del Signore, che ha fatto la casa di V. E. depositaria della fortuna de’ poveri, e benedetto sia il di Lei cuore, che con tanta esattezza corrispondendo alle disposizioni divine, degno si rende ancora di [p. 105 modifica]maggior gloria e di maggiore fortuna. Ecco come Dio la rimunera con cento altri beni, che non dipendono punto dallo stato suo dovizioso. Ella ha conseguito una sposa, ch’è il ritratto della vera bontà. La nobilissima Dama, la Signora Maddalena Durazzo, non solo ha ereditato dal Padre il ricchissimo suo patrimonio, ma tutte quelle dolci prerogative che lo adornavano, onde ha reso l’E. V. compiutamente felice. Ricordami ancora dell’allegrezza ch’io vidi nella di Lei casa non solo, ma in tutta Genova sparsa, allora quando, vivente ancora l’Avolo fortunato, diede l’illustre Dama alla luce il suo Primogenito. Anche in tale occasione videsi gareggiare la pietà, la magnificenza, poichè riconoscendo da Dio un tal dono, corrisposero a lui con profusion di elemosine a’ bisognosi, e resero altresì giustizia alla qualità del novello nato con tale grandiosità, che altrove non mi è accaduto vedere. Genova è una città che abbonda di superbi palazzi, e quello di V. E., per la vastità e per l’architettura, è uno de’ più cospicui3. Corrisponde all’esterior della fabbrica la preziosità degli arredi, e non so esprimere quanto restassi maraviglioso veggendo questi in pochi giorni cambiati, sostituiti agli ordinari mobili doviziosi altri ancora di ricchissimo prezzo: l’oro e l’argento e il meno che vi si ammiri; le pitture sono singolarissime, fra le quali il magnifico quadro di Paolo Veronese, una delle più belle opere di sì eccellente Autore; e i lavori, e i disegni, e le gioje formavano un apparato piacevole e maraviglioso. Ma il cuore magnanimo di V. E., la benignità sua, la sua ammirabile gentilezza, superano di gran lunga il pregio di tante magnificenze, e fanno sì che lodata sia la Giustizia Divina, che le ha sì ben collocate. Sulla distribuzione de’ beni di questa vita, non manca chi variamente ragioni. Alcuni che soffrono mal volentieri la povertà, guardano i ricchi come posseditori della porzione che loro manca al bisogno, e valendosi de’ falsi nomi inventati dal Gentilismo di Fortuna, Fato, Destino, non sanno umiliarsi ai decreti della Provvidenza. Questa, dopo la creazione della natura, non ha abbandonato al caso le vicende [p. 106 modifica]dell’umanità, ma le regge con mano viva e presente, ed è opera sua tutto quello che noi veggiamo accadere. Arcano egli è della Provvidenza, che vi sia il ricco ed il povero. Il povero ha bisogno del ricco per mantenersi; il ricco ha bisogno del povero per l’uso de’ propri beni: l’uno presta all’altro la mano, e questa è del Mondo la più perfetta armonia. Quei Filosofi che hanno desiderata in tutti l’egualità, non hanno saputo sciogliere gli obietti della confusione. Non vi è cosa più utile al Mondo oltre la subordinazione di una all’altra persona. I Re non sono usurpatori tiranni di un arbitrario dominio, ma da Dio stesso voluti, per frenare i popoli e rappresentare un immagine della Maestà Sua. E così i ricchi non sono eglino che amministratori della Provvidenza Divina, la quale non lascia in balia de’ poveri le ricchezze, perchè non ne facciano abuso. Dio volesse però che tutti corrispondessero ai suoi disegni, come esattamente dall’E. V. vien fatto. Veggiamo pur troppo di quelli che cadono negli estremi della prodigalità o dell’avarizia, ma sono eglino tostamente puniti: gli uni colla miseria, gli altri con il martirio di se medesimi. Felice quello che sa tenere la via di mezzo. Felicissima l’E. V., che più d’ogni altro sa conoscere i doveri dell’uomo ed il carattere del Cavaliere. Queste belle virtù non solo le ha Ella ereditate da’ suoi maggiori, che furono della Repubblica Serenissima gloria e ornamento, illustrando coi meriti loro la dignità Ducale e i seggi dell’eccelso Senato, e le cariche più cospicue della Città; ma le ha coltivate sì bene nell’animo suo, che superano di gran lunga l’aspettazione che da Lei si ebbe fino ne’ suoi primi anni. Convien dar lode anche in questo alla Nobilissima di Lei Genitrice, la Signora Paola Durazzo, nota al Mondo non solo per la peregrina bellezza sua, ma per la vivacità del suo spirito, per la rarità del talento, e per le doti del cuore. Due sono i principi, da’ quali le virtù dell’uomo nell’età tenera son radicate: il sangue e l’educazione. Tutti e due nell’E. V. furono in sommo grado perfetti, onde non potea non riuscire ammirabile e caro agli occhi di tutto il mondo, degno cui s’offeriscano e le lodi e i tributi. Volesse Dio ch’io fossi uno di que’ fortunati, che spiegar sanno l’ammirazione [p. 107 modifica]e l’ossequio. Ma povero de’ talenti, e scarsissimo d’ogni mezzo, altro non mi resta, per darle un segno del mio rispetto, che l’umile offerta di una miserabile operetta mia. Che se l’E. V. si degnerà accettarla, infinito onore raccoglierò io da sì picciola offerta, in quella guisa che suole da pochi grani raccogliere abbondante messe l’agricoltore. Piacciale sopra tutto non riguardare alla qualità dell’opera che Le presento, per non farmi maggiormente arrossire, intendendo io col mezzo di questa di offerirle tutto me stesso; ma poco si qualifica l’offerta mia anche per questo, poichè infelice son nato, e tale son condannato a vivere, ma lo sarò assai meno, se l’E. V. mi farà degno dell’alta sua protezione, e potrò vantare il glorioso titolo, con cui ossequiosamente mi sottoscrivo

Di V. E.




Umiliss. Devotiss. ed Obbligatiss. Serv.
Carlo Goldoni.


  1. Questa lettera di dedica uscì la prima volta l’anno 1753 (falsam. ’54) nel t. VIII dell’ed. Paperìni di Firenze.
  2. Il teatro detto Falcone: vol. 1 di questa ed., pag. 121.
  3. In via Balbi. Si ricordino le descrizioni dei viaggiatori del Settecento: De Brosses, Richard, Lalande ecc.