La miseria di Napoli/Parte II - La ricchezza dei poveri/Capitolo IX. Conclusione della Parte seconda. - Opere pie

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Parte II - La ricchezza dei poveri - Capitolo IX. Conclusione della Parte seconda. - Opere pie

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Parte II - La ricchezza dei poveri - Capitolo IX. Conclusione della Parte seconda. - Opere pie
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CAPITOLO NONO.

Conclusione della Parte seconda. — Opere pie.


Preparando per la ristampa questo articolo sulle Opere pie scritto un anno fa, avrei sperato di potervi aggiungere:

«Ora tutto ciò è cambiato, ossia il tempo delle inchieste, dei poteri eccezionali è finito. Il Governo ha messo la falce alla radice dell’albero marcio, ha inaugurato un sistema uniforme per principio e adattato ai bisogni delle singole e diverse provincie.»

E ce lo dicono a ciò deliberato e vogliamo prestar fede al fausto detto.

Ma le stesse cose ci vennero udite durante sedici anni.

E intanto stampiamo due articoli trovati a caso: quello del Pungolo sopra un fatto speciale; quello del Diritto intorno alle Opere pie in generale.

L’articoletto del Pungolo riguarda lo Stabilimento di Santa Maria Vertecœli (Pia Associazione per mutuo soccorso e per opere di carità e di beneficenza).

Scopo antico di questo Stabilimento era di [p. 140 modifica]servire come opera di culto e per conferimento di doti alle figlie così dei confratelli che degli estranei al Sodalizio se orfane e povere, e concessioni di patrimonii sacri ai figli dei medesimi confratelli e soccorsi in denaro ai poveri. Suo scopo presente sono opere di cristiana pietà, di carità, di beneficenza pubblica, amministrate da un Sopraintendente nominato dal Prefetto della Provincia e di tre ascritti coi nomi di Priore, Sottopriore e Fiscale, eletti dai confratelli per terne, e prescelti e nominati dallo stesso Prefetto, udita la Deputazione provinciale. La sua storia si compendia nelle seguenti parole: Taluni tra i più zelanti collettori di elemosine che già appartennero ad una pia Associazione, detta di Santa Maria a Sicula, poi rimasta disciolta, proseguirono privatamente la pia pratica, e volendo renderla duratura, si riunirono nel tempietto di Santa Maria Vertecœli posto nel Vico dell’Etera nell’anno 1646, e fu formato uno Statuto che s’è posto in esecuzione in virtù di regio assenso conceduto dal Duca d’Arcos vicerè, in data 27 marzo 1648. Lo scopo della istituzione era il Mutuo soccorso e la celebrazione di Messe per le anime del Purgatorio. L’Opera pia si mantenne modesta ed oscura fino a che le vicende della peste nell’anno 1657 non fecero accreditare tale istituzione, essendosi in quel tempo generalizzata la divozione alle anime del Purgatorio, e così si accrebbe di molto il numero degli ascritti e le entrate diventarono più in genti. Allora venne ampliato il tempio, acquistando dal Principe di Marsiconuovo un giardino ed un edificio. Ha Statuto approvato con R. Decreto 25 aprile 1867. [p. 141 modifica]

Ecco dunque l’articoletto del Pungolo, del 6 aprile 1877:

«Giorni or sono, l’onorevole deputato Marcello Pepe, delegato regio sull’Amministrazione di Vertecœli, convocò nella chiesa dell’Opera tutta la fratellanza, alla quale, con cifre e dati di fatto alla mano, mostro lo stato e le condizioni, in cui avea trovato lo Stabilimento.

La esposizione rivelò che, per lo spendere lautissimo ed improvido, e per la trascuraggine nelle esazioni delle rendite, e pel disordine amministrativo, il Patrimonio dello Stabilimento avea patito non poca diminuzione di capitali, e versava in condizioni tali da potersi dire sullo sdrucciolo del fallimento!

Disse che nello scorcio solo del 1876 si erano vendute oltre 5000 lire di rendita per estinguere obbligazioni contratte, e che, non ostante le 78,000 lire ricavate da tale rendita, esistevano ancora obbligazioni arretrate da estinguere, fra le quali i maritaggi del 1875 e 1876!

Deplorò la leggerezza, con la quale si amministrava un patrimonio sacro alla carità civile, e la facilità con cui si largheggiava nel profondere denari, fino a sconfinare dal bilancio positivo fra le entrate e le spese, e far sorgere necessità di pignorare rendite e gravare l’opera di obbligazioni.

Aggiunse, che mentre l’Amministrazione versava in grave sperequazione economica, egli avea trovato nella Segreteria un personale abusivo sì per numero di persone che per misura di stipendii; e conchiuse dichiarando che, a rialzare la efficienza [p. 142 modifica]economica e morale dello Stabilimento, egli avrebbe adottato uno stretto rigore di giustizia e di amministrazione per raggiungere il pareggio del bilancio e risollevare il prestigio dell’Istituto.

La fratellanza, accorsa numerosa come non mai da gran tempo era avvenuto, udi con grande attenzione le parole franche e severe dell’onorevole Pepe, le quali, avendo rivelato piaghe profonde e tracciato i rimedii opportuni, riscossero viva adesione.

Le condizioni deplorabili di quell’importante Luogo Pio non ci giungono nuove. Pur troppo, pel passato, si era invano domandato un rimedio; ma oggi si può confidare nell’opera onesta e solerte dell’onorevole Pepe.»

Ed ecco l’articolo del Diritto, 21 marzo:

«Abbiamo in Italia un patrimonio di circa un miliardo e mezzo, la cui condizione si può riassumere in questi termini:

Gestione arbitraria; irresponsabilità degli amministratori; sorveglianza derisoria; destinazione di una parte dei redditi a fini contrarii al bene pubblico, o in aperta opposizione colle necessità e le esigenze della società moderna.

Questo è il patrimonio di quegli Istituti e Lasciti che la legge chiama, con linguaggio che serba l’impronta delle secolari usurpazioni ecclesiastiche, Opere Pie.

Si vogliono fatti? Eccoli: scegliamo a caso, nelle Statistiche pubblicate dal Ministero dell’Interno.

Nel 1873 su circa 25,000 Istituti, Lasciti o Enti morali con fini di beneficenza, solo 5236 avevano [p. 143 modifica]compilato i loro bilanci; e le Deputazioni provinciali non avevano avuto il tempo di approvare 15,211 resoconti; 1330 Opere pie mancavano di registri, di protocolli, di deliberazioni, di archivii; 4429 mancavano perfino di qualsiasi inventario! — È il disordine eretto a sistema.

Nella capitale del Regno, sotto gli occhi del Governo, 420 Opere pie non avevano presentato i loro conti; 1270 li avevano arretrati; 355 mancavano perfino degl’inventarii!

Nella Provincia di Palermo non avevano presentato i loro conti 474 Opere pie, e 5354 li avevano arretrati.

Nella Provincia di Messina mancavano i bilanci di 298 Opere pie; 5128 avevano i conti arretrati, e 207 non avevano inventarii.

Non parliamo della dispersione e del consumo dei patrimonii: non dell’uso che si fa dei redditi anche da parte degli amministratori onesti, quando si tratta di istituzioni sedicenti caritative, come i Monti frumentari, i Monti per doti, i Monti di pietà: sono fatti e cifre spaventevoli.

E questi fatti e queste cifre le ricaviamo dalle Relazioni del Ministero dell’Interno, compilate sui dati, la cui insufficienza sarà giudicata quando si pensi che esso li riceve dai Prefetti, i quali non hanno altri elementi se non quelli delle Deputazioni provinciali, cui è affidata la tutela delle opere pie, tutela che adempiono così bene, come si è veduto.

È chiaro: la Legge 3 agosto 1862 è una legge assurda: essa è fatta per perpetuare lo sperpero, il [p. 144 modifica]disordine, lo sviamento della beneficenza, e, diciamolo pure, per favorire la pubblica e privata immoralità. V’è dunque una gran riforma da compiere.

Ma come compierla? Con quali criterii? Con quale scopo?

Abbiamo dei progetti. Egregi cultori delle scienze economiche e amministrative, che si sono occupati con amore e con competenza delle Istituzioni di beneficenza, hanno pubblicato eccellenti lavori: e basterà citare quelli dell’egregio Scotti che ne scrisse lungamente e con amore, degli onorevoli avvocati A. S. De Kiriati, E. Salvagnini. Essi espongono sagaci considerazioni, e suggeriscono riforme utili.

Ma si tratta di ben altro.

È necessario anzitutto penetrare a fondo in questa «selva selvaggia e aspra e forte,» che è il patrimonio delle Istituzioni di beneficenza: di conoscerlo in tutti i suoi elementi, in tutte le sue condizioni: di esaminarne gl’indirizzi, l’organismo, la sostanza: è necessario, in una parola, di aprir una larga e vigorosa indagine, che penetri in tutti i meati di questa immensa ricchezza, che ora è un arcano sospetto.

A dir breve, è necessario che il Parlamento ordini e organizzi una inchiesta in tutte le Istituzioni di beneficenza, per poi studiare e votare una legge con cui questo patrimonio, che ora si spande e di sperde, acqua sterile o miasmatica, divenga forza motrice e fattrice feconda di redenzione delle nostre classi diseredate.

Le poche e confuse notizie che abbiamo delle [p. 145 modifica]Opere pie, sono sprazzi fuggenti che gittano una luce sinistra sulle oscurità profonde e inquietanti.

La teoria del laisser faire, laisser passer non va spinta fino alla tacita complicità dello Stato col disordine mantenuto a sistema. Da Torino a Palermo l’Opera Pia oggi è essenzialmente in urto colla società, in urto coll’interesse generale, in urto persino col nostro diritto pubblico. Ecco ciò che non bisogna dimenticare.

Il Governo e il Parlamento non mancheranno alla loro missione. Ordinando un’inchiesta, si farà conoscere all’Italia di quali forze latenti essa dispone, e si preparerà per le Istituzioni di beneficenza un ordinamento, che le metterà in armonia colle vere e reali necessità del nostro tempo e del nostro paese.»