La notte di san Giovanni

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Nikolaj Vasil'evič Gogol' 1830 1916 Domenico Ciampoli Indice:Gogol - Novelle, traduzione di Domenico Ciampoli, 1916.djvu Novelle La notte di san Giovanni Intestazione 22 dicembre 2023 75% Da definire

Questo testo fa parte della raccolta Novelle (Gogol)


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LA NOTTE DI SAN GIOVANNI


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Foma Grigorevic aveva una bizzarria tutta sua: non gli andava a verso il raccontar sempre la stessa storia. Se talvolta, a furia d’annoiarlo, lo s’induceva a ripetere una fiaba che ci aveva fatta sentire già, potete pur giurare ch’egli ve la rinnovellava di pianta, o vi aggiungeva varianti, o la trasfigurava in guisa che i due racconti non avevano più fra loro alcuna simiglianza.

Un giorno, uno di quei messeri (di quelli che noi, gente semplice, ci è difficile definire; sono, a dirla, scrittori o scribacchini? certo, son pari a quei cantambanchi da fiera che van mendicando, raspolando, rubacchiando di qua e di là qualcosa per scodellarvela poi in fogliettini una volta al mese o alla settimana) uno di quei messeri, dico, imparò questa storia da Foma Grigorevic, il quale con l’andar del tempo l’ha persino dimenticata.

Or eccoti giungere appunto da Poltava quel signorino incappottato color pisellino, del quale vi parlai altra volta! forse avrete letto anche il suo racconto: lui porta seco un libercolo e ce lo mostra aprendolo nel mezzo. Foma Grigorevic sta per inforcar gli occhiali sul naso; poi, ricordandosi di non averli rabberciati con filo e cera, passa il libro a me. Io che so leggere alla meglio e non ho bisogno di occhiali, mi metto a far da lettore ad alta voce. Avevo appena voltato due pagine, quando a un tratto Foma mi ferma col braccio.

— Un momento! Dimmi, anzi tutto: che cosa leggi?

Confesso che rimasi lì per lì stupito dalla dimanda.

— Come, cosa leggo, Foma Grigorevic? Ma leggo appunto la vostra storia, leggo le stesse vostre parole.

— Chi vi ha detto che sono le mie stesse parole?

— Non c’è dubbio; è bell’e stampato: «raccontata da un certo sagrestano...».

— Eh via! Sputategli in faccia, a colui che ha stampato codesto! Lui mènte, codesto figlio di cane, codesto mo[p. 130 modifica]scovita. Ma proprio in codesta maniera io avrei raccontata questa storia? Bisognerebbe avere una ragna in zucca! Udite, invece, che io vo’ narrarvela come va fatto.

Noi ci avvicinammo alla tavola, e lui cominciò:

Mio nonno (Dio l’abbia in gloria, e mangi nell’altro mondo solo panini al latte e torte col miele!), mio nonno, lui, sapeva raccontare d’incanto! Messo una volta in carreggiata, non ti saresti mosso di lì per una giornata intera ad ascoltarlo. Non era un di codesti bubbolieri d’oggidì che cercan di darvela a bere e trascinano il racconto in lingua blesa, come se non avessero mangiato da tre giorni; c’è da prendersi il berretto e scappar via.

La mia vecchia mamma era tuttora al mondo; e, come fosse adesso, ricordo che una lunga sera di verno, quando la gelata crepitava di fuori e murava la stretta fenestrella della nostra capanna, lei se ne stava seduta, tenendo a fianco la conocchia, e con la mano tirava un lungo filo, e col piede faceva dondolar la cuna, cantarellando una canzone che mi par sempre di sentire. La stanza era rischiarata da una lampada tremolante, che, di quando in quando, si riavvivava a un tratto come avesse paura di qualcosa; il filatoio ronzava; e noi, bambini, tutti ammucchiati in gruppetto, ascoltavamo il nonno, che, per la vecchiaia, da oltre cinque anni non scendeva dalla stufa1.

Per quanto meravigliosi fossero i suoi bei racconti del tempo antico sulle invasioni dei Zaporoghi, sui Polacchi, sulle grandi prodezze di Podkova, di Sagaidacnij2, non v’era uno che meglio ci piacesse d’una di quelle vecchie leggende che mettono i brividi in corpo e vi fan drizzare i capelli sulla testa. Talora ci coglieva tanta paura da creder di vedere alla sera un mostro anche nelle minime cose. Quando mi avveniva d’esser costretto a uscir di stanza durante la notte, involontariamente pensavo: Non verrà intanto qualche spettro a coricarmisi sul letto? — E possa io morire, se non prendevo la mia propria viska posata lì, dal lato del capo, per un diavolo accovacciato... Ma quel che più conta nelle fiabe del nonno, è il fatto che in tutta [p. 131 modifica]la vita lui non mentiva mai, e ciò che narrava era avvenuto addirittura tale e quale.

Ora vo’ raccontarvi appunto una di codeste storie singolari. So che al mondo ci sono tanti ragionatori, magari scrittori pubblici, saputi anche nel leggere i caratteri laici3, a’ quali poi è inutile metter fra mano il semplice breviario, perchè non vi distinguono neppure il bianco dal nero; e so pure ch’essi son sempre pronti a rider di voi e a mostravi i denti senza punto vergogna... Ogni cosa che raccontate loro li fa ridere. Ecco a quale estremo si è sparsa ormai la incredulità! Così, lo credereste? (Dio e la Vergine santa mi condannino, se così non è), un giorno io parlava di streghe a certa gente, ed eccoti un giovialone a dire che lui alle streghe non ci credeva.

Sì, posso dirlo a ragion veduta; ne ho incontrati sulla mia via di codesti increduli, ai quali costa il mentire in confessione men che a noi il gustare una presa di tabacco. Naturalmente, a costoro le streghe non han mai fatto paura. Ma se d’improvviso balzi loro davanti... tremo anche a nominarlo... Via! Non val la pena di badar a simile gente.

Sono oramai più di cent’anni, diceva il mio defunto nonno, e non v’è anima che avrebbe potuto riconoscere il nostro villaggio; un casale, il più misero casale. Una diecina di capanne, neppur imbiancate a calce, mal coperte, si alzavano qua e là in mezzo al campo. Non siepi, non tettoie da riparare alla peggio il bestiame e i carri, e dire che erano i ricchi a abitare quei tuguri; se aveste veduto noialtri poveri! Un buco, uno speco scavato nella terra, era la capanna nostra. Solo dal fumo si poteva capire che una creatura umana vivesse laggiù. Voi mi chiederete, forse, perchè le cose andassero così. Non si trattava proprio di povertà, poichè di quel tempo quasi tutti facevano i liberi cosacchi e andavano a raccogliere ogni ben di Dio di là dalle terre nostre; si trattava invece dell’idea che era inutile costruir case migliori. E che figuri non vi si vedevano gironzare! Tatari, polacchi, lituani. Anche gli Ukraini venivan a bande per saccheggiare i loro. C’era da aspettarsene da’ quattro venti. [p. 132 modifica]

Dunque, in quel casale compariva spesso un uomo, o meglio, un diavolo sotto forma di uomo. D’onde veniva? perchè veniva? Nessuno lo sapeva. Gavazzava, si ubriacava; poi, d’improvviso, scompariva come sotterra, e non si sentiva più parlar di lui. Poi eccolo di nuovo, come cader dal cielo, girar per le vie del villaggio, delle quali non restano ora neppure le traccie. Raccoglieva sulla strada tutti i cosacchi che incontrava, e via, a ridere, a cantare; spendeva e spandeva denaro, e lasciava scorrer l’acquavite come acqua piovana... Bombardava le ragazze coi regali: nastri, orecchini, collane di zecchini, là, a chi vuol pigli, e guai non volerne. Bisogna dire però che le ragazze tentennavano ad accostarsi. — Chi sa? Non eran dessi passati per le zampe del Maligno?

La zia del nonno teneva allora sulla via una bettola, dove spesso davasi bel tempo Basavriuk (così chiamavano quel diavolo d’uomo), e lei diceva che per tutto l’oro del mondo non avrebbe accettato da lui il minimo dono. E tuttavia, come non accettare, quando si vedeva Basavriuk aggrottar le folte sopracciglia e guardar di sott’occhio così truce da farti correr lontano le mille miglia? Ma se si abboccava all’amo tentatore e si accettava il dono, la notte stessa, dal pantano, ecco qualcuno dalle corna in testa, venirvi visitare, e porsi a stringervi la gola se adorna di zecchini, o a morder le dita che portavan gli anelli, o a tirarle trecce, se legate col nastro. Allora, voi capite? Grazie del bel dono! E il guaio era pur questo; non si poteva liberarsene: lo gettavate nell’acqua, e quel diavolo di collana o di anello nuotava e tornava da sè a mettersi dov’era prima.

Si trovava in quel villaggio una chiesa dedicata a San Pantaleone, se ben rammento. Il curato della parrocchia, padre Atanasio, di santa memoria, essendosi accorto che Basavriuk non veniva in chiesa neppur la domenica di Pasqua, volle riprenderlo e infliggergli una penitenza... Bene; ebbe appena il tempo di svignarsela!

— Senti, brav’uomo; bada alle tue faccende, — tuonò Basavriuk; — e lascia star quelle d’altri, se non vuoi che ti tappino la gola con lesso bollente.

Cosa far mai con quel dannato? Padre Atanasio si contentò di far sapere come qualmente chiunque avesse il menomo punto di contatto con Basavriuk, sarebbe considerato come nemico della chiesa ortodossa e di tutto il genere umano. [p. 133 modifica]

Nello stesso villaggio viveva, presso un cosacco di nome Korze, un servo che la gente chiamava Pietro senza famiglia, forse perchè lui non si ricordava più del babbo e della mamma. Vero: il fabbriciere diceva bensì ch’essi eran proprio morti di peste l’anno dopo la nascita di Pietro; ma la mia bisavola non ci credeva punto, anzi si arrovellava a trovargli parenti da ogni parte, se ben lui se ne curasse tanto quanto noi ci curiam della neve al tempo de’ tempi.

Lei diceva che il babbo di Pietro, ora nel paese dei zaporoghi, era stato un giorno prigioniero dei turchi, dove aveva sofferto spaventevoli torture ed era giunto a scampare quasi miracolosamente solo travestendosi da eunuco. Ma che contava la parentela di Piero? Le ragazze vi badavan poco; dicevan solo che, a vestirlo d’un caffettano nuovo, d’una cintura rossa attorno alle reni, a mettergli in capo un berretto d’astracan terminante in cima con un leggiadro cocuzzolo di velluto azzurro, una scimitarra a fianco, una bella pipa rabescata in mano, lui la vincerebbe su tutti i giovinotti della contrada; ma per suo malanno il povero Piero non aveva, al tirar delle somme, che un lercio gabbanello grigio, forato da tanti pertugi quanti non ha scudi un ebreo. Alla fine delle fini, codesta non sarebbe poi stata la sventura estrema. Eccola, invece, la miseria vera: mastro Korze aveva una figliuola, una bellezza tale da non averne vista mai simile nè ora nè allora, com’io penso. Diceva mia nonna (e voi sapete, con rispetto parlando, che una donna abbraccerebbe piuttosto il diavolo che dir bella ad un’altra donna), mia nonna diceva che le guancie di quella giovinetta cosacca eran più rosse della corolla del papavero più acceso, più fresche d’una tenera rosa, quando roride per la rugiada mattutina, civettine, fiammeggiano, stendono i petali e si pavoneggiano ai raggi del sole levante; ella paragonava le sue sopracciglia nere, ombranti gli occhi limpidi come se vi si volessero mirare, ai cordoncini che le ragazze comprano dai moscoviti ambulanti per appendervi al collo croci e medaglie; la bocca di lei, che i giovinotti non potevan guardare senza lambirsi le labbra, sembrava come creata a modulare solo canti di rosignolo. La sua capigliatura, nera come la piuma del corvo, e morbida come lino (allora le fanciulle non l’annodavano in trecce; la lasciavan pender giù, legandovi solo qualche bel nastro scarlatto), la sua capigliatura le cadeva in riccioli e [p. 134 modifica]onde sulle spalle, sul kontus4 trapunto d’oro, e possa io non cantare più mai un alleluia nel coro, s’io stesso, vedendola così, non mi sentii spinto ad abbracciarla, pur coi capelli bianchi che s’intrecciano nella vecchia foresta che mi copre il capo, e con la vecchia mogliera, la quale non mi lascia.

Or voi sapete che cosa avviene dove stanno vicini un giovinotto e una ragazza: spesso, sull’alba, si scoprivan le impronte dei tacchi ferrati degli stivali rossi di Pidorka nel luogo ov’ella discorreva con Pierino. Tuttavia Korze non avrebbe sospettato di niente, se un bel giorno (spinto forse dal Maligno) Piero, da stordito, non avesse scoccato a cuore aperto un sonoro bacio sulle rosee labbra della cosacca; così, e probabilmente il Maligno (quel figlio di cane veda la croce anche in sogno!) ficcò pure in questo la coda, avvenne che il vecchio ràvano aperse su quel punto la porta sul vestibolo. Korze, impietrito, a bocca aperta, quasi lì per lì sullo stramazzare dalla sorpresa, si riafferrò con la mano all’uscio. Quel maledetto bacio pareva averlo sbalordito; se lo sentiva echeggiare all’orecchio come uno schianto di folgore.

Tornato in sè, staccò dalla parete lo knut del suo nonno e già si disponeva a far la festa sulle spalle del povero Piero, quando d’un subito Ivas, il fratellino di Pidorka, garzoncello di sei anni, accorse, e pieno di spirito, abbracciando con le manine le gambe del babbo, prese a gridare: «Babbo, babbo, non picchiare Pierino!...» — Che fare? Il cuore d’un padre non è di macigno. Dopo di aver riappiccata la frusta al muro, spinse pian piano Piero alla porta:

— Se tu ricompari un’altra volta inanzi alla mia casa o sotto le mie finestre, corri il rischio di restar senza un pelo de’ tuoi mustacchi neri; e si perda il nome di Korze, se gli osedeti5, che ti giran due volte alle orecchie, non diranno un addio alla tua cotenna.

Un lieve scappellotto sulla nuca, col quale accompagnò queste parole, mandò Piero fuori di casa come sasso che non tocchi terra. Così finì il convegno del bacio. [p. 135 modifica]

Le nostre tortorelle s’intristirono. Proprio di quei giorni cominciò a correr la voce nel villaggio che un certo polacco avesse preso il gusto di visitar Korze. Egli era un uomo tutto fregi d’oro, baffuto, con sciabola, speroni e due scarpette risonanti come l’elemosiniera con la quale il nostro scaccino fa la questua di fila in fila nella chiesa.

Via; si sa per quale ragione un uomo vada per casa d’un padre che ha una ragazza dalle ciglia nere. Ed ecco un giorno Pidorka, tutta lacrimosa, piglia fra le braccia il suo fratellino Ivas, e gli dice:

— Ivas, carino mio: Ivas, tesoretto mio, corri da Pierino, diletto mio, come una freccia, raccontagli quel che avviene: digli che io amerei sempre i suoi occhi neri, che bacerei sempre il suo viso bianco, ma il destino non vuole. Ho bagnato tanti fazzoletti con lacrime ardenti; l’angoscia mi sta come pietra sul cuore; il babbo, il padre mio stesso mi diventa nemico; mi costringe a sposare un polacco, che non posso amare. Digli che già fanno i preparativi per le nozze; solo, non vi sarà musica; i sagrestani canteranno invece della kobza6 e de’ pifferi. Io non ballerò col mio fidanzato. Mi porteranno via; la mia stanzetta sarà scura scura; le sue imposte saran di legno bianco, e in luogo di fumaiolo, sul mio tetto si alzerà una croce.

Inorridito, senza batter ciglio, Piero ascolto l’innocente bambino ripeter le parole di Pidorka.

— Ed io, sciagurato, — disse, — pensavo di andarmene in Crimea, in Turchia a battagliare, ad accumular oro e tornar ricco da te, bellezza mia! La sorte, aimė, decide altrimenti! Il malocchio ci scaglia la malaventura. Orsù, anch’io, colomba mia, anch’io avrò le mie nozze; ma al matrimonio mio non ci sarà neppure un sagrestano. Mi crociderà sopra il corvo nero invece del prete; sarà mia stanza il vasto campo deserto; sarà mio tetto la nuvola grigia; l’aquila col becco giallo mi caverà gli occhi; la pioggia laverà le ossa del cosacco, il vento le seccherà... Ma che vo dicendo? Di chi mi lamento? A chi mi lagno? Dio così volle, e così sia!

E difilato corse all’osteria.

Mia nonna fu un po’ sorpresa nel veder Pierino nella [p. 136 modifica]bettola, tanto più che in quel momento ogni persona per bene era alla messa mattutina. Lei spalancò gli occhi quant’eran grandi, come si destasse allora allora, quando egli le chiese un orcio d’acquavite contenente quasi un mezzo secchio. Invano il disgraziato credeva di annegarvi il suo strazio. L’acquavite gli produceva sulla lingua l’effetto del pizzicore d’ortica, e gli sembrava più amara dell’assenzio; onde gettò l’orcio per terra.

— Smetti dallo straziarti, cosacco! — mormorò d’un tratto una voce da basso dietro di lui.

Piero si volse: era Basavriuk. Che ceffo! Capelli, come setole; occhi, occhi di bove.

— So che ti manca, — disse: — ecco quel che ti manca.

E allora, con diabolico sorriso, fece tintinnar la borsa appesa alla cintura.

Pietro trasalì.

— Ah, ah!... — Ve’ come brilla, ve’! — ghignava quel tristo, versandosi a piova da una mano all’altra gli scudi tratti dalla borsa. — Ah, ah, ah! senti il bel suono! Eppure, per un mucchio di questi giocherelli, io non vorrei da te che un favore solo.

— Dài pure, diavolo! — esclamò Piero; — io sono pronto a tutto.

Allora, si percossero a vicenda la palma delle mani.

— Basta, Piero. Tu verrai all’ora stabilita. Domani è la festa di S. Giovanni: solo in questa notte dell’anno fiorisce la felce. Cogli la palla al balzo. Ti aspetterò stanotte nella Fossa dell’Orso.

Credo che le galline non aspettino la fattoressa che porta loro il becchime, così impazienti, come impaziente Piero aspettava la sera. Egli non faceva che guardar se l’ombra degli alberi non si allungasse, se il sole al tramonto non prendesse il purpureo splendore; e, a ogni minuto, gli cresceva la febbre: — Com’è lungo il tempo!

Ecco, intanto, scomparso il sole! Il cielo è rosso solo a un punto dell’orizzonte; ma pur laggiù la luce va spegnendosi a poco a poco. Levasi la frescura da’ campi; si fa buio; più buio ancora... scende la notte... alla fine!

Il cuore gli balzava nell’ansia, come se stesse per scoppiargli nel petto; egli attraversò la foresta e scese nella profonda forra chiamata la Fossa dell’Orso. Basavriuk lo aspettava.

Ivi la notte era buia, come sotto terra. Presisi a brac[p. 137 modifica]cetto, i due compagni sfangavano nei paduli, impigliandosi nelle prunaie fitte e spinose. Giunsero alla fine in luogo aperto. Piero si guardò intorno. Lui non s’era mai spinto fino a quel luogo. Basavriuk si fermò a sua volta.

— Ti vedi costi dinanzi, vero? tre poggetti, — domandò costui. — Or ora vi spunteranno mille fiori diversi. Bada che non ti venga mai voglia di toccarne alcuno. Ma appena fiorisca la felce, strappane il fiore e non guardarti indietro, crolli pure il mondo e avvenga che avvenga.

Piero voleva star sulle dimande, ma Basavriuk era già scomparso. Piero, allora, s’inoltrò verso i tre monticelli; ma niuno aveva fiori nè ombra di fiori; eran solo coperti di nera erba selvaggia densa.

A un tratto apparve in cielo la stella della sera; e là, in terra, un’aiuola di fiori meravigliosi, quali Piero non aveva mai veduti, gli si schierò davanti. Fra loro si trovava anche la semplice verdura della felce, Piero con ambo le mani ai fianchi rimase incerto e pensieroso.

— Ma, cosa c’è poi, in fin dei conti, di portentoso tanto? — diceva tra sè: — almeno dieci volte al giorno accade d’incontrar quell’erba. Cosa c’è di tanto prodigioso? Non avrà voluto quella grinta del diavolo burlarsi di me?

D’improvviso, vide una gemmetta, un bottoncino rosso, spuntare e agitarsi, come animata dalla vita.

Strano davvero!

Il bottone seguita a crescere, ad agitarsi, ingrandisce ed arde come un tizzo. Scoppia una scintilla; si ode un lieve crepitio, e il fiore gli sboccia lì, sotto gli occhi, come fiamma, gettando sprazzi di luce ardente sugli altri fiori che lo circondano.

— È tempo ormai, — dice fra sè Piero stendendo il braccio; ma nel tempo stesso si vede uscir di dietro centinaia di braccia villose, che si stendono pur esse verso il fiore, e indovina come un calpestio di passi che accorrono. Chiude gli occhi, attira lo stelo a sè, e il fiore gli resta fra le mani.

Tutto tace: sul ceppo di un albero mozzo, appare pronto Basavriuk, come un morto; non un muscolo solo in lui aveva segno di vita. Gli occhi immobili fissavano una cosa che egli solo vedeva. La bocca semiaperta era senza parola. Non un alito intorno a lui... Ah!... che spavento!

A un tratto, si ode un sibilo che addiaccia il sangue [p. 138 modifica]nelle vene di Piero; a lui sembra che l’erba sussurri, che i fiori comincino a parlar fra loro con le vocine acerbe, simili al tintinnire di campanelli d’argento. Dagli alberi scapigliati, che stormivano minacciandosi, scendeva come un grandinar di male parole.

La faccia di Basavriuk si animò d’improvviso; gli occhi gettaron lampi:

— Eccoti giunta, alla fine, strega! — brontolò fra i denti. — Guarda, Piero: la bella ti comparirà or ora dinanzi. Fai tutto quanto ti comanderà; se no, sei perduto.

Poi, con la mazza nodosa, aperse un varco nel cespuglio spinoso, e lì per lì comparve la solita casettina delle streghe, costrutta, come si sa, sulle zampe di gallina. Basavriuk percosse col pugno e il muro vacillò: un cagnaccio nero, ringhiando furioso, balzò contro Basavriuk e il compagno; poi, d’incanto, si trasformò in gatto e si avventò contro di loro.

— Non far la furibonda; non far la furibonda, vecchia diavolessa! — fece Basavriuk con tale bestemmia, che ogni persona dabbene si sarebbe tappate le orecchie.

Ed ecco, invece del gatto, mostrarsi una vecchia dal volto rugoso come mela cotta, curvata in due, col naso e il mento a schiaccia-nocelle.

— Bella davvero! — pensò Piero, mentre un brividio gli correva per le reni.

La strega gli strappò il fiore, si chinò, e, tenendolo tra mano, lo inaffiò di non so quale acqua, mormorando a lungo. Le sprizzaron di bocca faville, mentre le saliva schiuma sulle labbra.

— Gettalo, — disse a Piero, rendendogli il fiore.

Piero obbedì, e, vedi portento! il fiore non cadde all’istante, ma si vide per un pezzo come una pallottolina di fuoco vogar per aria, simile a una barchetta, via per l’oscuro. Alla fine, adagio adagio, prese a discendere e cadde si lontano da parer solo, solo una stelletta, più piccina d’un granello di papavero.

— Qui! — disse la vecchia con voce roca e cupa, mentre Basavriuk consegnava a Piero una vanga, dicendo:

— Scava qui, Pierino. Vi troverai tanto oro che nè tu ne Korze ne avete mai visto al mondo, neppure in sogno.

Piero si sputò nelle mani, prese la vanga, poggiò il piede al pressoio, e giù; scavò zolle una volta, una seconda, una terza, e un’altra volta ancora... ecco; s’incon[p. 139 modifica]tra qualcosa di duro. La vanga crocchia sonando, e non va oltre. Allora egli comincia a scorgere una cassettina cerchiata di ferro; e già si affretta a trarla fuori, quand’essa si ficca più giù nel terreno. Lui si affanna a ghermirla, e più lui si affanna e più la cassetta sprofonda. Alle sue spalle si udì una risata, che somigliava meglio a sibilo di serpe.

— No! tu non avrai l’oro, se prima non ti procuri sangue umano, — disse la strega, conducendogli inanzi un bambino di sei anni, coperto di un bianco lenzuolo, e con un cenno fece comprendere a Piero di dovergli mozzar la testa.

Il giovane restò impietrito. Non doveva solo mozzar la testa a un essere umano, ma quell’essere era un bambino innocente...

Sdegnato, strappò il lenzuolo che copriva il fanciullo, e che vide mai? Ivas...

Il povero piccino aveva le manine conserte al petto e la testa china!... Fuor di sè, Piero si lanciò col coltello sulla strega, e già levava la mano...

— E la promessa fatta per ottener la ragazza?... — chiese Basavriuk con voce tonante, che picchiò come una palla la schiena di Piero.

La strega battè il piede. Sorse di terra una fiammata azzurra, che rischiarò quel luogo: il suolo diventò trasparente come cristallo, e quanto era lì sotto divenne pur visibile come sulla palma della mano. Laggiù, sotto ai suoi piedi, si vedevano scudi, pietre preziose, ammucchiati in casse, in caldaie... gli occhi di Piero avvamparono; gli girava la testa, torva. Folle, strinse il coltello... e il sangue innocente gli schizzò sul viso.

D’ogni parte echeggiarono diaboliche risa; mostri spaventevoli balzarono a torme davanti a lui. La strega, ficcando gli artigli nel corpo decapitato, ne bevve il sangue come una lupa... Tutto nella testa di Piero girò a turbine; raccogliendo le forze, egli si dette a fuggire, mentre ogni cosa d’inanzi gli si colorava di vermiglio. Gli alberi insanguinati divampavan gemendo; il cielo di bracia tremava... Frappe di fuoco come folgori gli passavan balenando sugli occhi. Stremato di forze, egli rientrò correndo nella sua capanna, e, come un covone, cadde sull’impiantito. E subito, fu colto da un sonno di morte.

Due giorni e due notti Piero dormì senza destarsi: al [p. 140 modifica]terzo giorno, tornando in sè, prese a scrutare ogni cantuccio della sua stanza; ma tentava invano ri raccozzare i ricordi. La memoria gli era diventata come la borsa di un vecchio avaro, dalla quale non si può trarre neppure il becco d’un quattrino. Stirandosi un poco, intese suonarsi qualcosa ai piedi. Guardò e vide due sacchetti pieni d’oro. Allora soltanto ricordò vagamente che cercava un tesoro e aveva avuto, così solo, una gran paura nella foresta... Ma, a qual costo, come mai aveva potuto procurarsi quel tesoro? no, non riesciva a raccapezzare, non c’era verso...

Quando Korze vide i sacchetti, s’intenerì; fu tutto un dire: «Oè, Piero di qui, oè, Pierino di là. Guardatelo il moretto! Forse io non gli volevo bene? Non è qui a casa mia, come un figliuolo?»

E il vecchio rafano si mise a contargliene tante, e tante a contargliene in ogni tono, che il giovinotto ne fu commosso fino alle lacrime.

Di questi giorni Pidorka gli confidò come zingari di passaggio avessero rapito Ivas; ma Piero non ricordava più nulla, tanto l’infernale diavoleria l’aveva stordito. Non v’era tempo da perdere. Misero bellamente alla porta il polacco, e cominciarono a por mano ai preparativi del matrimonio. Fecero cuocere degli siska7; cucirono asciugamani trapunti e fazzoletti; salirono dalla cantina un barile di birra, un altro di acquavite; fecero porre a mensa i giovani sposi; fu tagliato il pane delle nozze; risonaron bandure, cimbali, pifferi e koobze.

Non si possono paragonare i vecchi sponsali cogli sponsali di oggi. Quando la zia di mio nonno si metteva a raccontarveli... via, non vi dico che questo... Prima parlava delle ragazze, e come eran riccamente adorne in capo di nastri gialli, azzurri, rosei, e un po’ per tutta la persona, e coi nastri ci annodavan passamani dorati; e avevan camicie di tela finissime ricamate e orlate nelle cuciture in seta rossa e sparse di stelline di argento; calzavan stivali di marocchino con alti talloni ferrati, strisciavan e facevan la coda come pavonesse, o chiassose come temporali, saltavan per le stanze. Diceva poi di altre ragazze, imparruccate d’un korablik8, la cui vetta era in broccato d’oro, con [p. 141 modifica]una lieve divisa sulla nuca, d’onde uscivano un berrettino aurato e due trisce a cornetti di lievissima pelliccia di agnello nero, una delle quali andava dinanzi e l’altra dietro; esse vestivan il kontus turchino di ottima seta, con ornamenti rossi sul petto, avanzavan superbamente una dopo l’altra, battendo coi piedi la misura dell’hopak. Diceva ancora come i giovani cogli alti berrettoni da cosacchi, vestiti con le svitke di panno fine, stretti in cinture cesellate di argento, con la pipa fra i denti, si dimenavano attorno alle ragazze, sussurrando loro paroline dolci.

Lo stesso vecchio Korze non potè trattenersi nel veder quei giovani, e si mischiò nella brigata. Con una bandura fra le mani, tirando dalla pipa buffi di fumo e canticchiando nell’un tempo, con una ciotola sulla testa, si slanciò e si mise a trotterellare girando sì che le strida de’ bontemponi lo accompagnavano fra le risa.

Che cosa non salta in mente quando abbiamo già la testa in fiamme? Si travestirono, si misero le maschere. Perdettero quasi la propria figura. Ma quelli non eran punto i travestimenti che usan oggi nelle sponsalizie. Cosa fanno adesso? Si contentan d’imitare gli zingari e i Moscoviti; mentre allora si travestivano da ebrei gli uni, gli altri da diavoli; cominciavan sulle prime dall’abbracciarsi, poi si tiravan pei capelli... che dire, insomma? Si rideva a crepapelle. Indossavano vesti da turchi, abiti da tatari, che vi splendevan sulla persona come foco... E quando prendevano a giocar de’ tiri... allora, occorreva portar via tutti i santi della chiesa9.

Alla mia bisavola che assisteva a codeste nozze avvenne una piacevole storia.

Lei si era camuffata con un’ampia gonna di tatara e, con una ciotola in mano, serviva garbatamente gli ospiti. Or ecco, il Maligno spinge uno de’ convitati a versarle addosso dell’acquavite; un altro, ch’era dell’intesa, battè l’acciarino sull’istante e accese di dietro la nonna. La disgraziata, presa di spavento, si affrettò a spogliarsi innanzi a tutti... Che chiasso! Che risa! Una vera baldoria da fiera... In una parola, neppure i più vecchi ricordavano che ci fossero mai state nozze più gioconde. [p. 142 modifica]

Così Pidorka e Piero presero a vivere addirittura da signori. Avevano tutto in abbondanza, e tutto riluceva intorno a loro... Tuttavia, la gente dabbene tentennava il capo con diffidenza...

— Non v’è bene mai dove il diavolo mette la coda, — dicevano a una voce: — giacchè d’onde mai Piero aveva potuto aver tanta ricchezza, se non dal turbatore della gente ortodossa? Perchè, proprio nel giorno che egli divenne ricco, Basavriuk disparve come sotto terra?

Andate poi a dir che la gente si diverte a inventare! Non era ancora passato un mese dal matrimonio, e già Piero non si riconosceva più. Perchè e come era cambiato tanto? Dio lo sa. Certo è ch’egli restava là seduto in un canto, senza cambiar parola con anima viva, sempre assorto nel suo pensiero e come intento a ricordar qualche cosa. Quando Pidorka giunse a fargli profferir qualche parola, egli parve animarsi a un tratto, sollevarsi, divenir persino allegro; ma se per caso lui gettava lo sguardo sui sacchi d’oro:

— Aspetta, aspetta! Ho scordato! — esclamava; e tornava trasognato, cercando sempre di ricordare. A momenti, quando rimaneva a lungo nello stesso posto, gli pareva che nella mente spuntasse qualche bagliore... ma in breve tutto scompariva. Rammentava bensì d’essere andato alla bettola; vi si rivedeva: ecco; gli portano dell’acquavite; l’acquavite gli brucia la gola, lo nausea; qualcuno gli si avvicina; gli batte sulla spalla... poi, ogni cosa gli si annebbia davanti; il sudore gli inonda la faccia, e lui resta lì, estenuato, nel suo cantuccio.

Che cosa non faceva Pidorka? Dimandava consiglio agli esperti di guarigioni; faceva stillar il perepolokh, bollire la soniasniza...10 non c’era via di sollevare il povero Piero.

Passò così l’estate. Molti cosacchi avevan già falciato e raccolto. Molti altri, più coraggiosi, eran partiti a predare. Stuoli di anitre selvaggie svolazzavano ancora nei nostri paduli, ma già da gran tempo il reattivo era scomparso. Le steppe pigliavan già la rossastra tinta dell’autunno. Qua e là simili a berrettoni di cosacchi sorgevan le mete pei [p. 143 modifica]campi. Per le strade s’inoltravan carri pieni di stipe e di legna. Il terreno già diventava più duro sotto i piedi, e, in certi luoghi, gelava. Già cominciava a venir giù come stacciata la neve, e le rame degli alberi, infarinate di brina, sembravan coperte di pelo di coniglio. Già il fringuello marino, nelle limpide giornate di gelo, col bel petto vermiglio, come un elegante ganimede polacco, gironzava su’ mucchietti di neve bezzicandovi granelli, razzolando, e i fanciulli con lunghe pertiche facevan girare le ruzzole di legno, mentre fuoco, apparivan di quando in quando sulla soglia della i loro babbi, dopo essersela goduta beatamente accanto al casa, colla pipa fra i denti, per mandar un malanno di buona lega sulla gelata ortodossa o per prendere un po’ d’aria o smuovere il frumento nel granaio.

Alla fine, anche la neve comincia a sciogliersi. Il luccio con la coda ha rotto il ghiaccio, ma Piero non è punto cambiato; anzi, più va e più divien torvo. Se ne sta seduto, come inchiodato in mezzo alla sua katha, coi sacchi d’oro ai piedi: è diventato selvaggio, si è lasciato crescer la barba e i capelli; fa terrore; e pensa a una cosa sola: «ricordare!», e si arrovella nel non potere.

Spesso, in aria smarrita, alzasi sulla sedia, brancola a braccia levate, e, cogli occhi fisi, sembra accennare a qualche cosa che vuole afferrare. Gli si muovon le labbra come a proferir parole dimenticate... poi, si ferma; — no — lui è invaso dall’ira. Pazzo, si rode, si morde le mani, si strappa rabbiosamente manate di capelli, sin che calmato cade in una sorte di torpore; poi riprende a rammentare, a incollerire e a non aver un’ora di tregua.

Onde viene codesta maledizione di Dio? Pidorka non la dura più in quella vita. Sulle prime, aveva paura di restar sola col marito nella katha; non di meno, a poco a poco, la poveretta si abituò alla sciagura.

Ma la Pidorka d’un tempo non si riconosce più; non più il rosso delie guancie, non più il sorriso sulle labbra; ella è stanca, smagrita, ha le lacrime impietrite sugli occhi.

Un giorno, han pietà di lei e le consigliano di andare a consultare la strega, che abitava nella fossa dell’orso, e che godeva fama di saper guarire tutte le malattie del mondo. Pidorka si persuase a usare questo mezzo estremo. Si recò nel luogo indicatole e giunse a indurre la vecchia a seguirla nel villaggio.

Ricorreva appunto quella sera la vigilia di S. Giovanni. [p. 144 modifica]Piero se ne stava steso sur una panca e non vide giungere la megera; ma, a poco a poco, cominciò a levarsi e a osservarla. A un tratto trasalì come sul ceppo; gli si rizzarono sul capo i capelli e scoppiò in tale risata che Pidorka ne fu inorridita.

— Ricordo, ricordo! — gridò con terribile gioia; e brandendo una scure, la scaraventò sulla vecchia. La scure si sprofondò per tre pollici nell’uscio di quercia. La vecchia scomparve, e un fanciullo di sette anni, in camicia bianca, con la testa coperta, restò lì, in mezzo alla katha. Il sudario cadde.

— Ivas! — esclamò Pidorka accorrendo verso di lui; ma il fantasma si coperse di sangue dalla testa ai piedi, diffuse per la stanza una luce vermiglia... Piena di spavento, Pidorka fuggì di casa; poi, ritornando in sé, volle correre in soccorso del fratello; ma invano. L’uscio se le era chiuso alle spalle si forte, che lei non ebbe forza di aprirlo.

Accorse gente; si dettero a picchiare, e finalmente sfondaron la porta... non un’anima nata. Tutta la katha era piena di fumo; e, nel mezzo, là dov’era Piero, trovarono un mucchio di cenere, d’onde, qua e là, esalava ancora del vapore. Si avventarono sui sacchi, e, invece di sacchi, non vi trovaron che cocci di stoviglie. Cogli occhi e le bocche spalancati, non osando muover pelo de’ mustacchi, i cosacchi restavan lì, come chiodati al suolo, tanto fu lo spavento che li colse!

Non ricordo più niente di quel che avvenne dopo. Pidorka fece voto di mettersi in pellegrinaggio; raccolse quanto le veniva dal padre; e, pochi giorni dopo, aveva lasciato il villaggio. Dove andava? Niuno sapeva dire.

Le vecchie comari l’avevan sulle prime mandata là dove già si trovava Piero. Ma un cosacco che veniva da Kiev, raccontava di aver visto nella laura11 una monaca ischeletrita pregar senza tregua; da quel ch’egli diceva, i compaesani riconobbero Pidorka. Egli diceva pure che nessuno l’aveva udita mai profferir parola; ch’ella era giunta a piedi portando per l’icona della madonna un gioiello sparso di pietre preziose così splendido, che, guardandolo, gli occhi si chiudevano abbagliati. [p. 145 modifica]

Scusate; ma qui la storia non finisce ancora. Il giorno stesso nel quale Pietro era stato portato via dal diavolo, Basavriuk ricomparve di nuovo; ma tutti lo sfuggivano. Conoscevano il nibbio oramai; lui non era altro che Satana in petto e in persona, che aveva preso maschera d’uomo per iscoprir tesori; ma siccome i tesori non si lasciavan prendere da mani impure, lui seduceva la gente...

Nello stesso anno tutti abbandonarono le loro capanne e andarono a metter casa in un grosso villaggio. Ma neppur là trovarono scampo dal maledetto Basavriuk. La zia del mio defunto nonno soleva dire che egli se la pigliava con lei, perchè le aveva abbandonata la sua bettola sulla strada maestra, e cercava di vendicarsi in ogni maniera.

Un giorno gli anziani del villaggio, raccoltisi nell’osteria, si trattenevano tra loro seduti intorno a una tavola, nel bel mezzo della quale, a dirla schietta, fumava tutto un agnello arrosto. Si parlava di questo, di quello, si raccontavano anche storie meravigliose. A un tratto i convitati credono di vedere, e non uno solo, ma addirittura tutti, vedere, dico, l’agnello alzar la testa, aprire e accender gli occhi spenti, e muovere arditamente un gran paio di baffoni irsuti e cresciutigli lì per lì, verso i banchettanti, come volesse ammonirli.

E subito riconobbero nella testa dell’agnello il grugno di Basavriuk. La mia bisavola si aspettava persino che da un momento all’altro lui le chiedesse dell’acquavite. I venerandi anziani afferrarono senza indugio i loro berretti, e via di buon passo.

Un’altra volta, lo stesso fabbriciere, che di tanto in tanto amava discorrer in solitario convegno coi bicchieri degli avi, aveva guardato solo per la seconda volta il fondo del boccale, quand’ecco vide quello stesso boccale salutarlo rispettosamente.

— Il diavolo ti porti! — esclamò, facendosi il segno della croce. Nel tempo stesso avvenne alla sua metà cosa pur essa stranissima: lei si era messa appena ad ammassar la pasta in una grossa madia, quand’ecco, d’improvviso, la madia si mette a saltarellare.

— Ferma! Ferma!

Sì, ferma, sì, ferma! Proprio come un uomo che si tenesse le mani ai fianchi, la madia, in aria maestosa, ballava per tutta la katha...

Ridete, ridete pure di ciò... ma i nostri nonni non ne [p. 146 modifica]ridevano punto; e sebbene padre Anastasio girasse tutto il villaggio per scacciare il diavolo, aspergendo le vie dell’acqua benedetta, la mia bisavola si lagnava pur sempre dicendo che, appena scesa la notte, qualcosa picchiava sul tetto e graffiava le pareti.

Ma che! anche adesso, nel luogo stesso ov’è costrutto il nostro villaggio e dove tutto par tranquillo, non è tuttavia gran tempo (mio padre buon’nima se ne ricordava e me ne ricordo anch’io), la buona gente non poteva passare vicino all’osteria crollata: per un pezzo la genia degli impuri la tenne aperta per conto proprio. Dal nero fumaiolo della stufa usciva il fumo in colonna e saliva tanto alto che, a volerlo guardare, il berretto cascava di testa; e quel fumo si spandeva in tizzi ardenti per la steppa, mentre il diavolo (non dovrei neppur nominarlo quel figlio di cane!) il diavolo singhiozzava così lamentosamente nel suo rifugio che i corvi, spaventati, volavan via dalla vicina foresta di querci e solcavano il cielo col lungo crocidare selvaggio.

Note

  1. La stufa, nelle capanne russe, larghissima, ha sempre angoli ove il calore temperato consente di coricarsi.
  2. Etmano dei zaporoghi.
  3. I libri di devozione ed ecclesiastici, in Russia sono scritti in caratteri slavonici, coi quali si cominciava a leggere un tempo e la cui conoscenza costituiva un titolo di cultura superiore fra il popolo.
  4. Sorte di manto o sopravvita, che si portava, un tempo, con fodera di pelliccia.
  5. Ciocche di capelli che circondano le orecchie. La parola è ukraina.
  6. Sorte di mandolino a otto corde.
  7. Panini da nozze.
  8. Antica acconciatura ukraina.
  9. Frase che significa: l’allegrezza è giunta alla follia.
  10. Esorcismi popolari per cacciar via lo spavento e il mal di cuore.
  11. Monastero di grande importanza.