La scienza nuova seconda/Libro quarto/Sezione duodecima/Capitolo secondo

Da Wikisource.
Sezione duodecima - Capitolo secondo - Della custodia degli ordini

../Capitolo primo ../Capitolo terzo IncludiIntestazione 28 gennaio 2022 75% Da definire

Sezione duodecima - Capitolo secondo - Della custodia degli ordini
Sezione duodecima - Capitolo primo Sezione duodecima - Capitolo terzo

[p. 93 modifica]

[CAPITOLO SECONDO]

della custodia degli ordini

985La custodia degli ordini cominciò da’ tempi divini con le gelosie (onde vedemmo sopra esser gelosa Giunone, dea de’ matrimoni solenni), acciocché indi provenisse la certezza delle famiglie incontro la nefaria comunion delle donne. Tal custodia è propietá naturale delle repubbliche aristocratiche, le quali vogliono i parentadi, le successioni, e quindi le ricchezze, e per queste la potenza, dentro l’ordine de’ nobili; onde tardi vennero nelle nazioni le leggi testamentarie (siccome tra’ Germani antichi narra Tacito che non era alcun testamento): il perché, volendo il re Agide introdurle in Isparta, funne fatto strozzare dagli efori, custodi della libertá signorile de’ lacedemoni, com’altra volta si è detto. Quindi s’intenda con quanto accorgimento gli adornatori della legge delle XII Tavole fissano nella tavola decimaprima il capo «Auspicia incommunicata plebi sunto», de’ quali dapprima furono dipendenze tutte le ragioni civili cosí pubbliche come private, che si conservavano tutte dentro l’ordine de’ nobili; e le private furono nozze, patria potestá, suitá, agnazioni, gentilitá, successioni legittime, testamenti e tutele, come sopra si è ragionato; — talché, dopo avere, nelle prime tavole, col comunicare tai ragioni tutte alla plebe, stabilite le leggi propie d’una repubblica popolare, particolarmente con la legge testamentaria, dappoi, nella tavola decimaprima, in un sol capo la formano tutta aristocratica. Ma, in tanta confusione di cose, dicono pur questo, quantunque indovinando, di vero: che nelle due ultime tavole passarono in leggi alcune costumanze antiche d’essi romani; il qual detto avvera che lo Stato romano antico fu aristocratico.

986Ora, ritornando al proposito, poi che fu fermato dappertutto il gener umano con la solennitá de’ matrimoni, vennero le [p. 94 modifica] repubbliche popolari e, molto piú appresso, le monarchie; nelle quali, per mezzo de’ parentadi con le plebi de’ popoli e delle successioni testamentarie, se ne turbarono gli ordini della nobiltá, e quindi andarono tratto tratto uscendo le ricchezze dalle case nobili. Perché appieno sopra si è dimostrato ch’i plebei romani sin al trecento e nove di Roma, che riportarono da’ patrizi finalmente comunicati i connubi, o sia la ragione di contrarre nozze solenni, essi contrassero matrimoni naturali; né, in quello stato sí miserevole quasi di vilissimi schiavi, come la storia romana pure gli ci racconta, potevano pretendere d’imparentare con essi nobili. Ch’è una delle cose massime, onde dicevamo in quest’opera la prima volta stampata che, se non si danno questi principi alla giurisprudenza romana, la romana storia è piú incredibile della favolosa de’ greci, quale finora ci è stata ella narrata. Perché di questa non sapevamo che si avesse voluto dire; ma, della romana, sentiamo nella nostra natura l’ordine de’ disidèri umani esser tutto contrario: che uomini miserabilissimi pretendessero prima nobiltá nella contesa de’ connubi, poi onori con quella che loro comunicassesi il consolato, finalmente ricchezze con l’ultima pretensione che fecero de’ sacerdozi; quando, per eterna comune civil natura, gli uomini prima disiderano ricchezze, dopo di queste onori, e per ultimo nobiltá.

987Laonde s’ha necessariamente a dire ch’avendo i plebei riportato da’ nobili il dominio certo de’ campi con la legge delle XII Tavole (che noi sopra dimostrammo essere stata la seconda agraria del mondo) ed essendo ancora stranieri (perché tal dominio puossi concedere agli stranieri), con la sperienza furono fatti accorti che non potevano lasciargli ab intestato a’ loro congionti, perché, non contraendo nozze solenni tra essoloro, non avevano suitá, agnazioni, gentilitá; molto meno in testamento, non essendo cittadini. Né è maraviglia, essendo stati uomini di niuna o pochissima intelligenza, come lo ci appruovano le leggi furia, voconia e falcidia, che tutte e tre furono plebisciti; e tante ve n’abbisognarono perché con la legge falcidia si fermasse finalmente la disiderata utilitá ch’i retaggi [p. 95 modifica] non si assorbissero da’ legati. Perciò, con le morti d’essi plebei ch’eran avvenute in tre anni, accortisi che, per tal via, i campi loro assegnati ritornavano a’ nobili, coi connubi pretesero la cittadinanza, come sopra si è ragionato. Ma i gramatici, confusi da tutti i politici, ch’immaginarono Roma essere stata fondata da Romolo sullo stato nel quale ora stanno le cittá, non seppero che le plebi delle cittá eroiche per piú secoli furono tenute per istraniere, e quindi contrassero matrimoni naturali tra loro; e perciò essi non avvertirono ch’era una, quanto in fatti sconcia, tanto nelle parole men latina espressione quella della storia: che «plebei tentarunt connubio patrum», ch’arebbe dovuto dire «cum patribus» (perché le leggi connubiali parlan cosí per esemplo: «patruus non habet cum fratris filia connubium »), come si è sopra detto. Che, se avessero ciò avvertito, avrebbono certamente inteso ch’i plebei non pretesero aver diritto d’imparentare co’ nobili, ma di contrarre nozze solenni, il qual diritto era de’ nobili.

988Quindi, se si considerano le successioni legittime, ovvero le comandate dalla legge delle XII Tavole: — ch’al padre di famiglia difonto succedessero in primo luogo i suoi, in lor difetto gli agnati e ’n mancanza di questi i gentili, — sembra la legge delle XII Tavole essere stata appunto una legge salica de’ romani; la quale ne’ suoi primi tempi si osservò ancora per la Germania (onde si può congetturare lo stesso per l’altre nazioni prime della ritornata barbarie), e finalmente si ristò nella Francia e, fuori di Francia, nella Savoia. Il qual diritto di successioni Baldo, assai acconciamente al nostro proposito, chiama «ius gentium Gallorum»: alla qual istessa fatta, cotal diritto romano di successioni agnatizie e gentilizie si può con ragion chiamare «ius gentium romanarum», aggiornavi la voce «heroicarum», e, per dirla con piú acconcezza, «romanum»; che sarebbe appunto «ius quiritium romanorum», che noi provammo qui sopra essere stato il diritto naturale comune a tutte le genti eroiche.

989Né ciò, come sembra, egli turba punto le cose da noi qui dette d’intorno alla legge salica, in quanto esclude le femmine [p. 96 modifica] dalla successione de’ regni: che Tanaquille, femmina, governò il regno romano. Perché ciò fu detto, con frase eroica, ch’egli fu un re d’animo debole, che si fece regolare dallo scaltrito di Servio Tullio, il qual invase il regno romano col favor della plebe, alla qual aveva portato la prima legge agraria, come sopra si è dimostrato. Alla qual fatta di Tanaquille, per la stessa maniera di parlar eroico, ricorsa ne’ tempi barbari ritornati, Giovanni papa fu detto femmina (contro la qual favola Lione Allacci scrisse un intiero libro), perché mostrò la gran debolezza di ceder a Fozio, patriarca di Costantinopoli, come ben avvisa il Baronio e, dopo di lui, lo Spondano.

990Sciolta adunque si fatta difficultá, diciamo ch’alla stessa maniera che prima si era detto «ius quiritium romanorum», nel significato di «ius naturale gentium heroicarum romanarum», non altrimente sotto gl’imperadori, quando Ulpiano il diffinisce, con peso di parole dice «ius naturale gentium humanarum», che corre nelle repubbliche libere e molto piú sotto le monarchie. E per tutto ciò il titolo dell’Instituta sembra doversi leggere: De iure naturali gentium civili, non solo, con Ermanno Vulteo, togliendo la virgola tralle voci «naturali» «gentium» (supplita, con Ulpiano, la seconda «humanarum»), ma anco la particella «et» innanzi alla voce «civili». Perché i romani dovetter attendere al diritto loro propio, come, dall’etá di Saturno introdutto, l’avevano conservato prima coi costumi e poi con le leggi, siccome Varrone, nella grand’opera Rerum divinarum et humanarum, trattò le cose romane per origini tutte quante natie, nulla mescolandovi di straniere.

991Ora, ritornando alle successioni eroiche romane, abbiamo assai molti e troppo forti motivi di dubitare se, ne’ tempi romani antichi, di tutte le donne succedessero le figliuole; perché non abbiamo nessuno motivo di credere ch’i padri eroi n’avessero sentito punto di tenerezza, anzi n’abbiamo ben molti e grandi tutti contrari. Imperciocché la legge delle XII Tavole chiamava un agnato anco in settimo grado ad escludere un figliuolo, che trovavasi emancipato, dalla succession di suo padre. Perchè i padri di famiglia avevano un sovrano diritto di vita [p. 97 modifica] e morte, e quindi un dominio dispotico sopra gli acquisti d’essi figliuoli: essi contraevano i parentadi per gli medesimi, per far entrar femmine nelle loro case degne delle lor case (la qual istoria ci è narrata da esso verbo «spondere», ch’è, propiamente, «promettere per altrui», onde vengono detti «sponsalia »); consideravano le adozioni quanto le medesime nozze, perché rinforzassero le cadenti famiglie con eleggere strani allievi che fussero generosi; tenevano l’emancipazioni a luogo di castigo e di pena; non intendevano legittimazioni, perché i concubinati non erano che con affranchite e straniere, con le quali ne’ tempi eroici non si contraevano matrimoni solenni, onde i figliuoli degenerassero dalla nobiltá de’ lor avoli; i loro testamenti per ogni frivola ragione o erano nulli o s’annullavano o si rompevano o non conseguivano il lor effetto, acciocché ricorressero le successioni legittime. Tanto furono naturalmente abbagliati dalla chiarezza de’ loro privati nomi, onde furono per natura infiammati per la gloria del comun nome romano! Tutti costumi propi di repubbliche aristocratiche, quali furono le repubbliche eroiche, le quali tutte sono propietá confaccenti all’eroismo de’ primi popoli.

992Ed è degno di riflessione questo sconcissimo errore preso da cotesti eruditi adornatori della legge delle XII Tavole, i quali vogliono essersi portata da Atene in Roma: che de’ padri di famiglia romani l’ereditá ab intestato, per tutto il tempo innanzi di portarvi tal legge le successioni testamentarie e legittime, dovettero andare nelle spezie delle cose che sono dette nullius. Ma la provvedenza dispose che, perché ’l mondo non ricadesse nell’infame comunion delle cose, la certezza de’ domini si conservasse con essa e per essa forma delle repubbliche aristocratiche. Onde tali successioni legittime per tutte le prime nazioni naturalmente si dovettero celebrare innanzi d’intendersi i testamenti, che sono propi delle repubbliche popolari e molto piú delle monarchie, siccome de’ Germani antichi (i quali ci dánno luogo d’intendere lo stesso costume di tutti i primi popoli barbari) apertamente da Tacito ci è narrato; onde testé congetturammo la legge salica, la quale certamente fu celebrata [p. 98 modifica] nella Germania, essere stata osservata universalmente dalle nazioni nel tempo della seconda barbarie.

993Però i giureconsulti della giurisprudenza ultima, per quel fonte d’innumerabili errori (i quali si sono notati in quest’opera) d’estimare le cose de’ tempi primi non conosciuti da quelle de’ loro tempi ultimi, han creduto che la legge delle XII Tavole avesse chiamate le figliuole di famiglia all’ereditá de’ loro padri, che morti fussero ab intestato, con la parola «suus», su quella massima che ’l genere maschile contenga ancora le donne. Ma la giurisprudenza eroica, della quale tanto in questi libri si è ragionato, prendeva le parole delle leggi nella propissima loro significazione; talché la voce «suus» non significasse altro che ’l figliuol di famiglia. Di che con un’invitta pruova ne convince la formola dell’istituzione de’ postumi, introdutta tanti secoli dopo da Gallo Aquilio, la quale sta cosí conceputa: «Si guis natus natave erit», per dubbio che nella sola voce «natus» la postuma non s’intendesse compresa. Onde, per ignorazione di queste cose, Giustiniano nell’Istituto dice che la legge delle XII Tavole con la voce «adgnatus» avesse chiamati egualmente gli agnati maschi e l’agnate femmine, e che poi la giurisprudenza mezzana avesse irrigidito essa legge, restringendola alle sole sorelle consanguinee; lo che dev’esser avvenuto tutto il contrario, e che prima avesse steso la parola «suus» alle figliuole ancor di famiglia, e dipoi la voce «adgnatus » alle sorelle consanguinee. Ove a caso, ma però bene, tal giurisprudenza vien detta «media», perch’ella da questi casi incominciò a rallentare i rigori della legge delle XII Tavole: la qual venne dopo la giurisprudenza antica, la quale n’aveva custodito con somma scrupolositá le parole, siccome dell’una e dell’altra appieno si è sopra detto.

994Ma, essendo passato l’imperio da’ nobili al popolo, perché la plebe pone tutte le sue forze, tutte le sue ricchezze, tutta la sua potenza nella moltitudine de’ figliuoli, s’incominciò a sentire la tenerezza del sangue, ch’innanzi i plebei delle cittá eroiche non avevano dovuto sentire, perché generavano i figliuoli per fargli schiavi de’ nobili, da’ quali erano posti a [p. 99 modifica] generare in tempo ch’i parti provenissero nella stagione di primavera, perché nascessero non solo sani, ma ancor robusti (onde se ne dissero «vernae», come vogliono i latini etimologi, da’ quali, come si è detto sopra, le lingue volgari furono dette «vernaculae»), e le madri dovevano odiargli anzi che no, siccome quelli de’ quali sentivano il solo dolore nel partorirgli e le sole molestie nel lattargli, senza prenderne alcun piacere d’utilitá nella vita. Ma, perché la moltitudine de’ plebei, quanto era stata pericolosa alle repubbliche aristocratiche, che sono e si dicon di pochi, tanto ingrandiva le popolari, e molto piú le monarchiche (onde sono i tanti favori che fanno le leggi imperiali alle donne per gli pericoli e dolori del parto), quindi da’ tempi della popolar libertá cominciaron i pretori a considerare i diritti del sangue ed a riguardarlo con le bonorum possessioni; cominciaron a sanare co’ loro rimedi i vizi o difetti de’ testamenti, perché si divorassero le ricchezze, le quali sole son ammirate dal volgo.

995Finalmente, venuti gl’imperadori, a’ quali faceva ombra lo splendore della nobiltá, si dieder a promuovere le ragioni dell’umana natura, comune cosí a’ plebei com’a’ nobili, incominciando da Augusto, il quale applicò a proteggere i fedecommessi (per gli quali, con la puntualitá degli eredi gravati, erano innanzi passati i beni agl’incapaci d’ereditá), e lor assistè tanto, che nella sua vita passarono in necessitá di ragione di costrignere gli eredi a mandargli in effetto. Succedettero tanti senaticonsulti, co’ quali i cognati entrarono nell’ordine degli agnati; finché venne Giustiniano e tolse le differenze de’ legati e de’ fedecommessi, confuse le quarte falcidia e trebellianica, di poco distinse i testamenti da’ codicilli e, ab intestato, adeguò gli agnati e i cognati in tutto e per tutto. E tanto le leggi romane ultime si profusero in favorire l’ultime volontá, che, quando anticamente per ogni leggier motivo si viziavano, oggi si devono sempre interpetrar in maniera che reggano piú tosto che cadano.

996Per l’umanitá de’ tempi (ché le repubbliche popolari amano i figliuoli, e le monarchie vogliono i padri occupati nell’amor [p. 100 modifica] de’ figliuoli), essendo giá caduto il diritto ciclopico ch’avevano i padri delle famiglie sopra le persone, perché cadesse anco quello sopra gli acquisti de’ lor figliuoli, gl’imperadori introdussero prima il peculio castrense per invitar i figliuoli alla guerra, poi lo stesero al quasi castrense per invitargli alla milizia palatina, e finalmente, per tener contenti i figliuoli che né eran soldati né letterati, introdussero il peculio avventizio. Tolsero l’effetto della patria potestá all’adozioni, le quali non si contengono ristrette dentro pochi congionti. Approvarono universalmente le arrogazioni, difficili alquanto ch’i cittadini, di padri di famiglia propia, divengano soggetti nelle famiglie d’altrui. Riputarono l’emancipazioni per benefizi. Diedero alle legittimazioni che dicono «per subsequens matrimonium» tutto il vigore delle nozze solenni. Ma sopra tutto, perché sembrava scemare la loro maestá quell’«imperium paternum», il disposero a chiamarsi «patria potestá»; sul lor esemplo, introdutto con grand ’avvedimento da Augusto, che, per non ingelosire il popolo che volessegli togliere punto dell’imperio, si prese il titolo di «potestá tribunizia», o sia di protettore della romana libertá, che ne’ tribuni della plebe era stata una potestá di fatto, perch’essi non ebbero giammai imperio nella repubblica: come ne’ tempi del medesimo Augusto, avendo un tribuno della plebe ordinato a Labeone che comparisse avanti di lui, questo principe d’una delle due sètte de’ romani giureconsulti ragionevolmente ricusò d’ubbidire, perché i tribuni della plebe non avessero imperio. Talché né da’ gramatici né da’ politici né da’ giureconsulti è stato osservato il perché, nella contesa di comunicarsi il consolato alla plebe, i patrizi, per farla contenta senza pregiudicarsi di comunicarle punto d’imperio, fecero quell’uscita di criare i tribuni militari, parte nobili parte plebei, «cum consulari potestate», come sempre legge la storia, non giá «cum imperio consulari», che la storia non legge mai.

907Onde la repubblica romana libera si concepí tutta con questo motto, in queste tre parti diviso: «senatus autoritas», «populi imperium», «tribunorum plebis potestas». E queste due voci restarono nelle leggi con tali loro native eleganze: che [p. 101 modifica] l’«imperio» si dice de’ maggiori maestrati, come de’ consoli, de’ pretori, e si stende fino a poter condennare di morte; la «potestá» si dice de’ maestrati minori, come degli edili, e «modica coërcitione continetur».

998Finalmente, spiegando i romani principi tutta la loro clemenza verso l’umanitá, presero a favorire la schiavitú e raffrenarono la crudeltá de’ signori contro i loro miseri schiavi; ampliarono negli effetti e restrinsero nelle solennitá le manoimessioni; e la cittadinanza, che prima non si dava ch’a’ grandi stranieri benemeriti del popolo romano, diedero ad ogniuno ch’anco di padre schiavo, purché da madre libera (nonché nata, affranchita) nascesse in Roma. Dalla qual sorta di nascere liberi nelle cittá, il diritto naturale, ch’innanzi dicevasi «delle genti» o delle case nobili (perché ne’ tempi eroici erano state tutte repubbliche aristocratiche, delle quali era propio cotal diritto, come sopra si è ragionato), poi che vennero le repubbliche popolari (nelle quali l’intiere nazioni sono signore degl’imperi) e quindi le monarchie (dove i monarchi rappresentano l’intiere nazioni loro soggette), restò detto «diritto naturale delle nazioni».