La scienza nuova seconda/Libro secondo/Prolegomeni/Capitolo terzo

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Prolegomeni - Capitolo terzo - Del diluvio universale e de' giganti

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Prolegomeni - Capitolo terzo - Del diluvio universale e de' giganti
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[CAPITOLO TERZO]

DEL DILUVIO UNIVERSALE E DE’ GIGANTI

369Gli autori dell’umanitá gentilesca dovetter essere uomini delle razze di Cam, che molto prestamente, di Giafet, che alquanto dopo, e finalmente di Sem, ch’altri dopo altri tratto tratto rinnonziarono alla vera religione del loro comun padre Noè, la qual sola nello stato delle famiglie poteva tenergli in umana societá con la societá de’ matrimoni, e quindi di esse famiglie medesime; e perciò dovetter andar a dissolver i matrimoni e disperdere le famiglie coi concubiti incerti. E, con un ferino error divagando per la gran selva della terra — quella di Cam per l’Asia meridionale, per l’Egitto e ’l rimanente dell’Affrica; quella di Giafet per l’Asia settentrionale, ch’è la Scizia, e di lá per l’Europa; quella di Sem per tutta l’Asia di mezzo ad esso Oriente — per campar dalle fiere, delle quali la gran selva ben doveva abbondare, e per inseguire le donne, ch’in tale stato dovevan esser selvagge, ritrose e schive, e sí sbandati per truovare pascolo ed acqua, le madri abbandonando i loro figliuoli, questi dovettero tratto tratto crescere senza udir voce umana nonché apprender uman costume, onde andarono in uno stato affatto bestiale e ferino, nel quale le madri, come bestie, dovettero lattare solamente i bambini e lasciarli nudi rotolar dentro le fecce loro propie, ed appena spoppati abbandonargli per sempre. E questi — dovendosi rotolare dentro le loro fecce, le quali co’ sali nitri maravigliosamente ingrassano i campi; — e sforzarsi per penetrare la gran selva, che per lo diluvio doveva esser foltissima, per gli quali sforzi dovevano dilatar altri muscoli per tenderne altri, onde i sali nitri in maggior copia s’insinuavano ne’ loro corpi; — e senza alcun timore di dèi, di padri, di maestri, il qual assidera il piú rigoglioso dell’etá fanciullesca; — dovettero a dismisura ingrandire [p. 142 modifica] le carni e l’ossa, e crescere vigorosamente robusti, e sí provenire giganti. Ch’è la ferina educazione, ed in grado piú fiera di quella nella quale, come nelle Degnitá si è sopra avvisato, Cesare e Tacito rifondono la cagione della gigantesca statura degli antichi Germani, onde fu quella de’ goti che dice Procopio, e qual oggi è quella de los patacones che si credono presso lo stretto di Magaglianes; d’intorno alla quale han detto tante inezie i filosofi in fisica, raccolte dal Cassanione che scrisse De gigantibus. De’ quali giganti si sono truovate e tuttavia si truovano, per lo piú sopra i monti (la qual particolaritá molto rileva per le cose ch’appresso se n’hanno a dire), i vasti teschi e le ossa d’una sformata grandezza, la quale poi con le volgari tradizioni si alterò all’eccesso, per ciò che a suo luogo diremo.

370Di giganti cosí fatti fu sparsa la terra dopo il diluvio, poiché, come gli abbiamo veduti sulla storia favolosa de’ greci, cosí i filologi latini, senza avvedersene, gli ci hanno narrati sulla vecchia storia d’Italia, ov’essi dicono che gli antichissimi popoli dell’Italia detti «aborigini» si dissero αὐτόχθονες, che tanto suona quanto «figliuoli della Terra», ch’a’ greci e latini significano «nobili». E con tutta propietá i figliuoli della Terra da’ greci furon detti «giganti», onde madre de’ giganti dalle favole ci è narrata la Terra; ed αὐτόχθονες de’ greci si devono voltare in latino «indigenae», che sono propiamente i natii d’una terra, siccome gli dèi natii d’un popolo o nazione si dissero «dii indigetes», quasi «inde geniti», ed oggi piú speditamente si direbbero «ingeniti». Perocché la sillaba «de», qui, è una delle ridondanti delle prime lingue de’ popoli, le quali qui appresso ragioneremo; come ne giunsero de’ latini quella «induperator» per «imperator», e nella legge delle XII Tavole quella «endoiacito» per «iniicito» (onde forse rimasero dette «induciae» gli armistizi, quasi «iniiciae», perché debbon essere state cosí dette da «icere foedus», «far patto di pace»). Siccome, al nostro proposito, dagl’«indigeni», ch’or ragioniamo, restarono detti «ingenui», i quali, prima e propiamente, significarono «nobili» (onde restarono dette «artes [p. 143 modifica] ingenuae», «arti nobili»), e finalmente restarono a significar «liberi» (ma pur «artes liberales» restaron a significar «arti nobili»), perché di soli nobili, come appresso sará dimostro, si composero le prime cittá, nelle qual’i plebei furono schiavi o abbozzi di schiavi.

371Gli stessi latini filologi osservano che tutti gli antichi popoli furon detti «aborigini», e la sagra storia ci narra esserne stati intieri popoli, che si dissero emmei e zanzummei, ch’i dotti della lingua santa spiegano «giganti», uno de’ quali fu Nebrot; e i giganti innanzi il diluvio la stessa storia sagra gli diffinisce «uomini forti, famosi, potenti del secolo». Perché gli ebrei, con la pulita educazione e col timore di Dio e de’ padri, durarono nella giusta statura, nella qual Iddio aveva criato Adamo, e Noè aveva procriato i suoi tre figliuoli; onde, forse in abbominazione di ciò, gli ebrei ebbero tante leggi cerimoniali, che s’appartenevano alla pulizia de’ lor corpi. E ne serbarono un gran vestigio i romani nel pubblico sagrifizio con cui credevano purgare la cittá da tutte le colpe de’ cittadini, il quale facevano con l’acqua e ’l fuoco; con le quali due cose essi celebravano altresí le nozze solenni, e nella comunanza delle stesse due cose riponevano di piú la cittadinanza, la cui privazione perciò dissero «interdictum aqua et igni». E tal sagrifizio chiamavano «lustrum», che, perché dentro tanto tempo si ritornava a fare, significò lo spazio di cinque anni, come l’olimpiade a’ greci significò quel di quattro. E «lustrum» appo i medesimi significò «covile di fiere», ond’è «lustrari», che significa egualmente e «spiare» e «purgare», che dovette significar dapprima spiare sí fatti lustri e purgargli dalle fiere ivi dentro intanate; e «aqua lustralis» restò detta quella ch’abbisognava ne’ sagrifizi. E i romani, con piú accorgimento forse che i greci, che incominciarono a noverare gli anni dal fuoco che attaccò Ercole alla selva nemea per seminarvi il frumento (ond’esso, come accennammo nell’Idea dell’opera e appieno vedremo appresso, ne fondò l’olimpiadi); con piú accorgimento, diciamo, i romani dall’acqua delle sagre lavande cominciarono a noverare i tempi per lustri, perocché dall’acqua, la cui [p. 144 modifica] necessitá s’intese prima del fuoco (come, nelle nozze e nell’interdetto, dissero prima «aqua» e poi «igni»), avesse incominciato l’umanitá. E questa è l’origine delle sagre lavande che deono precedere a’ sagrifizi, il qual costume fu ed è comune di tutte le nazioni. Con tal pulizia de’ corpi e col timore degli dèi e de’ padri, il quale si truoverá, e degli uni e degli altri, essere ne’ primi tempi stato spaventosissimo, avvenne che i giganti degradarono alle nostre giuste stature. Il perché forse da πολιτεία, ch’appo i greci vuol dir «governo civile», venne a’ latini detto «politus», «nettato» e «mondo».

372Tal degradamelo dovette durar a farsi fin a’ tempi umani delle nazioni, come il dimostravano le smisurate armi de’ vecchi eroi, le quali, insieme con l’ossa e i teschi degli antichi giganti, Augusto, al riferire di Svuetonio, conservava nel suo museo. Quindi, come si è nelle Degnitá divisato, di tutto il primo mondo degli uomini si devono fare due generi: cioè uno d’uomini di giusta corporatura, che furon i soli ebrei, e l’altro di giganti, che furono gli autori delle nazioni gentili; e de’ giganti fare due spezie: una de’ figliuoli della Terra, ovvero nobili, che diedero il nome all’etá de’ giganti, con tutta la propietá di tal voce, come si è detto (e la sagra storia gli ci ha diffiniti «uomini forti, famosi, potenti del secolo»); l’altra, meno propiamente detta, degli altri giganti signoreggiati.

373II tempo di venire gli autori delle nazioni gentili in sí fatto stato si determina cento anni dal diluvio per la razza di Sem, e duecento per quelle di Giafet e di Cam, come sopra ve n’ha un postulato; e quindi a poco se n’arrecherá la storia fisica, narrataci bensí dalle greche favole, ma finora non avvertita, la quale nello stesso tempo ne dará un’altra storia fisica dell’universale diluvio.